Pagina 1 di 6 Convegno Internazionale di Parapsicologia
Bellaria - Rimini 25-28 marzo 2004
Sul tema della morte si sono creati riti e simboli
religiosi, salvate memorie individuali e collettive con epigrafi e monumenti,
inscenati scongiuri di ogni genere, scritti libri di antica saggezza (come
quella tibetana, egiziana e veterotestamentaria) oltre che saggi di ricerca
teologica e filosofica, ma anche racconti di angoscianti tragedie con i loro
relativi incubi notturni. Il fatto è che la morte è una realtà alla quale
nessuno può sfuggire, nonostante i progressi, gli annunci e i miraggi della farmacologia e della
medicina. Naturalmente il salto nell'ignoto, per alcuni nel nulla, ha sempre
provocato ansie e paure, lugubri panorami e reazioni disperate: la ferita del
distacco da una persona cara, specialmente se avvenuta in maniera violenta e in
giovane età, è vissuta comunque come una lacerante vuota assenza o, se si vuole,
come una sconfitta rassegnata e deprimente o un fallimento con una lunga scia
di rabbia compressa.
Di
fronte al mistero della morte, quando si lascia l' "avere" e si veste il "nudo
essere" (cfr. "A livella" di Totò), l'uomo ha sempre avuto una sensazione di
inquietudine, di rifiuto e di impotenza:
con essa ogni forma di razionalità e di certezza sembra scricchiolare e naufragare, ogni parola tende a perdere di
significato e lo stesso tempo sperimenta la sua irreversibile precarietà, anzi
si ferma e si cancella del tutto nella sua sequenzialità di passato, presente e
futuro.
Cosa
c'è dopo la dissoluzione biologica dell'ordine organico del corpo con la
cessazione delle sue funzioni vitali (respiratorie, circolatorie e nervose)?
Come si spiega l'esigenza di immortalità, altrettanto naturale e sperimentabile
com'è quella della morte? Se una domanda, com'è quella della sopravvivenza, si
pone, non dovrebbe esserci anche la possibilità di una risposta per la sua
giustificazione? Se non fosse così, perché allora la presenza di una simile
domanda? La schiusura dell'enigma non si situa, forse, come voleva
Wittgenstein, al di là del confine spazio-tempo? Il grande matematico Kurt Gödel
non ha provato che niente si spiega con se stesso, ma solo facendo ricorso a un
altro ordine di logica?
Non
si può eludere questa serie di interrogativi, negando con sbrigativa superficialità
che essi non esistano o che una soluzione non abbiano. Tutto sta, allora, a
saper cogliere e affrontare con correttezza il nucleo del problema.
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