(Da "Le voci dei Viventi nell'Oltre", SugarCo, Milano)
Tono nate come
espressione più o meno ben strutturata d'una fede nell'Aldilà. Tutte ammettono
la sopravvivenza d'una parte dell'uomo alla morte fisica, anche se essa assume
una connotazione particolare a seconda del singolo credo religioso. Tutte
prevedono un "mondo altro", anche se per alcune è un "paese senza ritorno". Si
può negare Dio, ma non il "bisogno di Dio e dell'Oltresensibile", che è una
esigenza pre-razionale e che ha il suo luogo di espressione solo nel "simbolo".
Scrive René Thom: "La voce della realtà è nel senso dei simboli".
Presso gli antichi Egizi l'uomo era considerato composto
da tre elementi: il corpo fisico, quello etereo ("Ba") e l'anima ("Ka"). Quando
il corpo fisico muore, l'anima resta presso di esso (di qui la pratica diffusa
della mummificazione) e deve ingaggiare una dura lotta contro i demoni
(=proiezione dei propri pensieri negativi?). L'anima riuscirà a vincerli solo
grazie all'uso di precise formule magiche, delle quali, naturalmente, al
momento del trapasso deve ricordarsi. Trascorso questo periodo oscuro di lotta,
ma anche di continue reincarnazioni, e
solo dopo averlo superato positivamente, in seguito alla "pesatura dell'anima
sulla bilancia della giustizia e della verità" davanti a un tribunale di 42
divinità presieduto da Osiride, potrà entrare, se trovata "leggera", nel regno della luce (con Osiride e i propri
cari) (43). Riporto alcuni brani tratti da antichi testi: "Un uomo sopravvive
alla sua morte e le sue azioni sono ammassate accanto a lui. E' in gioco l'eternità" (Merikara); "Vivi la vita in quanto con la
morte non muori veramente" (Testo delle piramidi, 810 a); "L'essere di luce è
destinato al cielo" (Testo delle piramidi, 474 a).
Nel "Libro tibetano dei morti", insegnamento preistorico trascritto
verso l' VIII sec. d.C., si sostiene, come idea centrale, la necessità di
liberarsi dalla materia per poter pervenire all'incontro con la Luce (=Thodol).
Se questo processo di liberazione non è completo al momento della morte, allora
si fa ritorno al corpo fisico in modo da poter continuare l'opera di autopurificazione.
In ogni caso, superato il momento intermedio della morte (="Bardo" o corpo
doppio), l'anima esce dal corpo, entra in un vuoto (dove ode rumori
assordanti), avverte un vago senso di confusione (non sa, avendo un secondo
corpo, di essere viva o morta), sosta presso i luoghi più familiari, scopre di
avere un corpo luminoso e sgombro da malattie, incontra altri esseri simili a
lei e viene sottoposta a un esame della vita come in uno specchio. Ognuno
nell'Aldilà abiterà un "proprio" mondo a misura delle personali abitudini, dei
particolari pensieri e dei singoli desideri. Sicché la psiche troverà la piena
realizzazione delle proprie istanze a seconda delle intime esigenze di ciascuno
(44).
Secondo il Buddismo, l'anima (=Rupa), dopo la morte del corpo, prima di
giungere all'incontro con il Principio Assoluto (=Nirväna), va incontro a una
serie di reincarnazioni ("Ruota delle nascite e delle morti") in altri "gusci"
corporei, aventi come scopo quello di promuovere una progressiva liberazione
dai condizionamenti della materia e, quindi, una "fuga dall'eterno ritorno"
(delle reincarnazioni): questo processo durerà fino a quando non saranno totali
la presa di coscienza (Karma) e il dominio dell'uomo sulla propria fisicità
(cfr. il "Canone Pali" dello Sri Lanka). Più o meno a queste idee si rifà la Teosofia della H. P. S. Blavatsky (1831-1891) e di H. S.
Olcott (1852-1907): quando la Triade immortale
"Atmä-Buddhi-Manas", dopo i vari cicli terreni, sarà giunta al Settimo Cielo, si troverà
allora in uno "stato di riposo nell'onniscienza" (Nirväna).
Presso lo Zoroastrismo (religiosità che permea di sé l'antica identità
iraniana), Ahura Mazda (divinità del Bene) alla fine sconfiggerà il Male, però
anche gli uomini devono contribuire con il loro impegno alla vittoria del Bene:
per essi alla fine del Tempo c'è il premio dell'immortalità da trascorrere in un giardino di delizie.
Per i Celti la morte era intesa come un "viaggio" verso meravigliose
contrade (forse l'isola descritta nel "Viaggio di Buan"), dove, accedendo da
caverne, si celebravano continue feste.
Almeno questo sostenevano i "saggi" della casta sacerdotale (i Druidi),
depositari di una millenaria e sconosciuta sapienza.
Gli antichi Greci e Romani, a parte l'esigenza di purificazione espressa dai
riti misterici e orfici (trasmigrazione delle anime: Pitagora e Platone in "La
Repubblica", X, 614 ss.), generalmente hanno visto l'Aldilà (Ade, Tartaro,
Inferi, Campi Elisi) come un luogo popolato da ombre evanescenti. Ne parlano in
maniera esplicita Omero (Ulisse che
interroga Tiresia: canto XI dell'Odissea) ) e Virgilio (Enea che incontra il
padre Anchise nell'Ade: canto VI dell'Eneide). Tale luogo è situato sotto il
lago d'Averno ed è formato da un vestibolo (con la selva oscura, i fantasmi,
l'albero dei sogni e i mostri), un antinferno (con i campi del pianto e quello degli eroi), un inferno (con la
reggia di Dite e il Tartaro, la città dei criminali) e i Campi Elisi (il luogo dei giusti e degli artisti).
Dalla fig.1 si può visualizzare
agevolmente l'insieme dell'Aldilà, come visto dalla religiosità greco-romana.
Indubbiamente è una visione statica della sopravvivenza, tutta dipendente dai
comportamenti adottati nell'Aldiqua e senza alcun dinamismo né di ordine
conoscitivo né affettivo. Assente è poi l'idea di un Dio personale, momento
assoluto d'incontro e di sintesi nel
quale si realizzano le più profonde aspirazioni dell'uomo (45).
Una variante interessante a
questa visione, dovuta non solo allo stoicismo ma forse anche a qualche
influsso culturale di origine orientale (quello cristiano?), è quella prospettata da Seneca, che sembra
collocare le anime dei giovani "in cielo". Nella "Consolatio ad Polibium" scrive:"Egli vaga liberamente lassù e
contempla con sommo piacere tutti i beni della natura" (c. 9, 8) e nella "Consolatio ad Marciam: "Si è
soffermato brevemente in un luogo superiore, per purificarsi e scuotersi di
dosso i difetti e tutte le patine che ineriscono alla vita mortale, poi si è
innalzato nel più alto del cielo e colà si muove liberamente, tra le anime
felici. Lo ha accolto una compagnia sacra...Lo vede godere nella nuova luce...per
conoscenza diretta, è lieto di introdurlo agli arcani della natura...Si trovano
nel luogo più sublime...Ammessi ai liberi ed immensi spazi dell'eternità...: tutto
per loro è piano...Noi anime felici che abbiamo avuto in sorte l'eternità" (c.
25, 1-2; c.26, 7).
Anche presso le popolazioni
precolombiane (Aztechi e Maya) e
quelle antiche del nord-America era molto forte la fede nell'Aldilà, inteso
come una perfezione dell'ambiente terreno, ricco di cibo e fiori, presieduto da Tlaloc, dio della
pioggia, ma riservato solo agli uomini sacrificati e agli annegati. Per i
Pellerossa esso consisteva in una immensa prateria, in cui gli stessi indiani
vivevano, ma con abbondanza di selvaggina e la presenza degli antenati.
Lo stesso era ed è per la religiosità africana (John S. Mbiti):
il paradiso ("Ehin-Iwa") è un luogo di felicità, dove si perviene, partendo da
fantasmi e diventando poi spiriti (Ghana e Alto Volta), sicché l'oggi
(l'attuale "casa" terrena ) non è altro che una condizione nella quale si è
"ospiti" solo temporaneamente (Nigeria).
Nel Taoismo, filosofia nata in Cina, l'idea di immortalità è sempre
stata viva. Il saggio taoista desiderava diventare ""hsien" (=immortale) in un
paradiso ancora troppo legato alla materialità (felicità ricca di piaceri in
un'isola per immortali, custodita da otto semidei, con un giardino circolare e un grande albero di giada con rami
d'oro e custodito da draghi). In esso, come viene descritto nel libro "Lieh
Tzu" (IV-III sec. a.C.), è il corpo che si trasforma, non l'anima. Di
tutt'altro avviso è invece il Confucianesimo.
Nell'Induismo, praticato soprattutto in India (dal 1300-1500 a.C. e
codificato dal 600 a. C. circa), esiste un paradiso (=un altro piano di
coscienza), in cui l'anima si riunisce al "corpo rinato", in un mondo molto
simile a quello terreno, ma senza l'ombra della sofferenza (cfr. "Rig Veda").
Presso gli Indù molta attenzione si presta al "culto degli antenati" (i "pitri"
o i "kami della famiglia" per lo shintoismo giapponese), perché considerati
spiriti in grado di aiutare chi li invoca. In questo luogo si viene rifocillati
in attesa di reincarnarsi. L'obiettivo finale è l'unione spirituale al Dio creatore e l'annullamento del sé.
Presso gli Ebrei l'uomo, oltre al corpo, possiede anche uno spirito (=Ruah),
della cui sopravvivenza si parla spesso (Isaia 26, 1; Daniele 12,2): per i
giusti è l'incontro con Iahve, per i peccatori c'è un luogo di sofferenza
(=Sheol, Gehenna). Più non si dice sulle modalità di vita nell'Aldilà, tranne
qualche vago accenno nel libro della Genesi, nei Salmi e nel Cantico dei
Cantici. Solo nel Libro di Enoch si parla di quattro "scomparti" o
cavità-serbatoio ai quali sono destinate le anime dopo morte: nei primi tre
sono sistemati i peccatori, nell'ultimo i giusti. Generalmente, secondo gli
Ebrei, le anime conducono una vita piuttosto triste e degradata.
Nel Cristianesimo c'è una migliore precisazione della religiosità
ebraica. Innanzitutto l'uomo è visto come un insieme composto da tre elementi:
soma, psiche, pneuma (I Corinti 15, 33-52). Al momento della morte, abbandonato
il corpo fisico (soma), segue il giudizio di Dio e il successivo collocarsi
dello spirito (pneuma) o nel regno di
Dio (=Paradiso) o in quello delle
tenebre e del fuoco (=Inferno) (cfr. Matteo 16, 18) o in una situazione
intermedia per liberarsi dalle ultime scorie della colpa (=Purgatorio). Tre
sono le novità introdotte dal
Cristianesimo: il regno di Dio inizia dall'Aldiqua ed è "dentro" l'uomo stesso,
la felicità o l'infelicità non sono legate a un luogo ma a una "condizione" di
vita, Dio è l'Essere che "ricapitola
tutto in Sé" ed esprime la Sua infinita grandezza presentandosi soprattutto
come "Amore" ("Dio è amore. Dio è luce", I Lettera di S. Giovanni, Atti degli
Apostoli 26, 19-26; inoltre Isaia 64, 3
e I Corinti 2, 98). Si accenna solo vagamente a un processo evolutivo
nell'Aldilà, di cui l'ultimo grado è quello descritto nei Vangeli con la
Trasfigurazione di Cristo, contemplato in compagnia di Mosè ed Elia (cfr. Marco
9, 3 e Matteo 17, 2): la fede e la
speranza, nell'Aldilà, cedono il passo alla carità (S. Paolo), che è l'elemento
fondante la vita e il suo essere ultimo oltre la morte. Non meraviglia, allora, l'espressione
estasiata degli Apostoli: "Signore, è bello per noi stare qui..." (cfr. Matteo 17, 4). Certamente l'incontro con il Dio
Amore-Luce non è visto come un fatto statico, ma dinamico (anche fra gli Angeli
ci sono vari stadi evolutivi con le diverse gerarchie: cfr. Apocalisse), sicché
è da presumere la presenza di un grande dinamismo conoscitivo e affettivo.
Comunque la "Comunione dei Santi" è un articolo di Fede sin dal V secolo.
Tranne alcuni teologi (minoritari), che non credono nella sopravvivenza immediata
"post mortem" ma solo nella risurrezione finale dopo il "secondo giudizio" ,
tutti gli altri, e sono la quasi totalità, sottolineano dell'Aldilà tre
fondamentali elementi: le differenze "locali" (Inferno-Purgatorio-Paradiso), la "temporaneità" dell'eventuale "sonno" e
un rapporto relazionale inteso come "presente" (visione beatifica). M. Hulin
afferma che "l'Aldilà potrebbe non essere altro che una deformazione, un
adattamento, una trasposizione immaginaria di un'esperienza reale, quella della
non-morte", cioè "eterno presente" (43 a). Volendo entrare maggiormente nei
dettagli non si riesce a saperne di più. La teologia, partendo dal fatto che se Dio è ovunque anche i suoi
amici (cioè i defunti) lo sono, avanza
l'ipotesi che i nostri cari ci sono vicini anche localmente, quasi
"sostando" nei luoghi presso i quali si
è svolta la loro esistenza terrena e ciò allo scopo di aiutarci e sostenerci
nelle difficoltà (46), come anche nel Catechismo degli Adulti si afferma che
l'Inferno (autoesclusione dalla comunione con Dio) non sarebbe un annientamento
"per sempre" (Catechismo della Chiesa Cattolica , n°1033). Più di questo nella
Escatologia non si dice.
La letteratura medioevale
cristiana, specialmente con Dante Alighieri nella Divina Commedia, ha
elaborato
una visione quasi topografica del regno dell'oltretomba, ma a me appare
troppo
macchinosa e ancora "terrena" per poterla prendere in seria
considerazione per
il nostro discorso. Tre particolari, però, mi sembrano interessanti: la
presenza della selva oscura, la figura-guida di Virgilio e Dio come
Luce. La selva oscura, come si sa, è la metafora del trapasso, che
poi è
ripresa da tante altre esperienze (lotta con i mostri, il tunnel...),
Virgilio è
l'equivalente dell'Essere di Luce, che con affetto accoglie e invita a
riflettere sulla propria vita, Dio
come Luce (nel Paradiso) è un concetto mutuato dalla tradizione biblica
e
riferito poi unanimemente in tutte le esperienze religiose e non.
Medioevale, ma non meno
suggestiva, è anche l'immagine riportata da Lutero: "(Nell'Aldilà) l'uomo
giocherà con cielo e terra e sole e con le creature. E tutte le creature
proveranno anche un piacere, un amore, una gioia lirica e rideranno con Te,
Signore, e Tu, a Tua volta, riderai con loro".
Per quanto riguarda la Religione Islamica, che crede nella
predestinazione (il "Maktub"=Sta scritto), il Corano parla dell'anima del
morente che viene afferrata da Azra'il (l'angelo della morte) e portata davanti
a Munkar e Nakir (gli angeli inquisitori o della tomba) con il compito di interrogare
il defunto e una conseguente prima severa selezione. L'anima poi deve
attraversare, come una prova, il ponte
As-sirat e mantenersi su di esso in
equilibrio fino a giungere all'altra sponda (il "Bacino del Profeta") dove
dimorerà in eterno, perché il Paradiso è tale. Nel Giorno del Giudizio Finale
gli atti di ogni uomo saranno pesati sulla bilancia dall'Arcangelo Michele e,
risultato questo positivo, di una condizione di perenne felicità per l'anima in
compagnia di Allah e dei suoi fedeli in un luogo luminoso, che ricorda e
richiama tanto un immenso giardino (Janna)
dove sensi e percezione vengono potenziati e gratificati nella maniera
più piena (con sorgenti e banchetti dove si è serviti e riveriti da vergini, le "urì", ed efebi). Si legge, infatti, in
esso: "In verità quel giorno i destinati al paradiso gioiranno di cose belle:
essi e le loro spose riposeranno sopra alti letti, sistemati in luoghi ombrosi
e avranno frutti e tutto quello che desidereranno e: pace! Sarà la parola che
udiranno pronunciare dal loro Signore misericordioso" (XXXVI, 55-58). Solo gli
omosessuali sono esclusi da una simile prospettiva. Questa descrizione
dell'Oltre mi sembra più una proiezione dovuta alle tante frustrazioni del
presente che non una reale riflessione sulla consistenza del futuro. Tant'è che
presso i moderni teologi dell'Islam, specialmente quelli di ispirazione mistica
(il Sufismo), si pensa che questa sia più che altro una metafora della visione
diretta di Dio.
Come si può notare, le principali
religioni danno dell'Aldilà una visione piuttosto sfumata e assertiva, ma
sostanzialmente povera di particolari descrittivi, utili a far delineare una
sorta di cartografia dell'Oltre. Per avere un quadro più completo occorre
integrare queste conoscenze con altre derivanti
da altri ambiti di esperienza. utte le religioni s
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