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Psicologia, neoplasie, trapianti PDF Stampa E-mail

(Conferenza, Cinema Cicolella, San Severo 5 novembre 1999)

L'era dei trapianti, si sa, è iniziata il 2.12.1967 al Groote Shuur Hospital di Città del Capo con il famoso cardiochirurgo sudafricano Christian Barnard. Da allora molta strada è stata percorsa e anche importante.
Oggi, nell'epoca dominata dalla tecnologia, dove, come direbbe Umberto Galimberti, ogni cosa è diventata mezzo e tutto, come in una sorta di autoriproduzione, è divorato da un mercato fine a se stesso (la Trinità moderna: bellezza, internet e appunto il mercato), anche il senso del vivere è stato piegato alle esigenze di ciò che l'uomo stesso ha creato. Ha ragione Pietro Citati quando afferma che "le cose non rivelano più la nostra anima", eclissata com'è quest'ultima a mera ipotesi e avvolti come siamo tutti nello stridore della civiltà del rumore dove il silenzio, luogo privilegiato dell'ascolto, viene spesso soffocato, non senza furbizia, da un fiume di vuote parole. Se non si recupera il filo della propria dignità, il discorso etico sui trapianti si muta, o almeno questo è il rischio, in una dotta disquisizione scientifica e nulla più.
L'uomo, e con lui il dono della vita di cui è portatore nella vicenda di questa terra, è un valore che andrebbe posto in cima alla gerarchia del rispetto (altro che asta degli ovuli ventilata dalle top-model non senza un venale scopo di lucro!). Esso è irripetibile nella sua unicità: qualunque clonazione mai annullerà le differenze individuali. Checché se ne pensi, l'essere umano, storicamente costituito, è una unità psicofisica, nella quale i confini dell'uno (corpo) diventano gli orizzonti dell'altra (psiche) in uno scambio continuo di interazioni e di conseguenti elaborazioni pressoché infinite. Basti pensare agli innumerevoli miliardi di reticoli e di connessioni neuronali con tutto ciò che ne segue in quanto a vastità di informazioni trasmesse. Senza un Io, nel quale si unifica e si riconosce la varietà dei fenomeni e degli eventi (la cosiddetta autocoscienza del Sè), nulla si spiega e paradossalmente tutto si potrebbe giustificare, compresa la soppressione della vita. L'antinomia corpo-anima, fondata sul principio dualistico della separazione, è, dunque, più il frutto di un intelletto che divide che non della esperienza di ogni giorno.
Da questa doverosa premessa scaturisce la necessità etica di onorare una componente di questa unità che è il corpo, che in nessuna maniera, quando è ancora in vita (come supporto alla psiche), può essere mutilato nelle sue parti vitali, in quelle cioè, senza delle quali, subentrerebbe la morte. Il trapianto, allora, di un organo (o di parte di esso) prelevato da un individuo ancora in vita, ma non essenziale alla permanenza in esistenza di quest'ultimo, se volontario e se finalizzato ad aiutare altri individui in pericolo (come si ha, per esempio, per i reni o per il midollo osseo) è sempre un dono e, io aggiungerei, il supremo gesto di un grande atto di amore. Se espiantato post-mortem (si intende entro sei ore dalla morte cerebrale), oltre che costituire un'occasione preziosa per far rivivere o ridare una speranza a un altro essere sofferente, è anche una sorta di proiezione o, se si vuole, una continuazione della propria esistenza riscritta in un'altra realtà vitale. In ambedue i casi è sempre e comunque un segno di quella "caritas" che si può chiamare altruismo, filantropia, generosità cristiana, civiltà: cambia la terminologia nella qualità del dono, ma la sostanza resta la stessa né la sacralità del corpo viene a essere così offesa, anzi.
Dal punto di vista etico, però, occorre fare alcune precisazioni, che sintetizzo in queste considerazioni:
1-Non ogni trapianto (come quello ipotizzato per il cervello), anche se tecnicamente possibile, è sempre lecito: i depositi fisici personali di memoria, esperienze, emozioni e pensieri sono strettamente legati all'individualità. La sperimentazione deve fermarsi davanti al rispetto che si deve alla dignità irripetibile di ognuno. In questo caso ci sono altre strade, come quelle ultimamente scoperte, per la rigenerazione, per esempio, dei tessuti cerebrali.
2-È auspicabile una coltivazione (non escluso con gli strumenti delle biotecnologie o della clonazione) di organi (una sorta di banca organi) utilizzabili ai fini di futuri trapianti.
3-È augurabile la produzione in serie con le nuove tecnologie di organi artificiali, intesi come pezzi di ricambio per un organismo malato. Ultimamente è accaduto per il cuore. Naturalmente ciò presuppone studi attenti sulla compatibilità e sulla prevenzione accurata del rigetto.
4-È vero che il corpo, nella nostra cultura occidentale ispirata al cristianesimo, è tempio inviolabile dello spirito umano e (per i credenti) anche di quello divino, ma è anche vero che è o dovrebbe essere uno strumento di servizio: il culto dei morti, cioè, va sempre coniugato con quello della "pietas" e dell'amore per chi soffre.
5-Ciò che allunga il percorso della vita (e i trapianti vi contribuiscono efficacemente) è sempre un fatto positivo.
6-La ricerca scientifica dovrebbe sempre includere una interna tensione morale alla salvezza della vita, mai alla sua distruzione né tantomeno dovrebbe porsi al servizio del potere o dell'economia: in altre parole non può assolutamente prescindere da un'etica del limite o dal principio della precauzione, come a dire, l'ideologia della neutralità della scienza è tramontata.Insieme a queste riflessioni ci sono, però, anche altre di ordine sociale, che, per brevità, elenco qui di seguito:
1-Non è socialmente (né tantomeno eticamente) tollerabile il traffico, che non esito a definire criminale, di organi umani, né in alcuna maniera sono accettabili, perché veri e propri omicidii, morti procurate più o meno volontariamente ai fini di un trapianto. Purtroppo questo accade e dovrebbe essere bandito oltre che denunciato dalla coscienza scientifica e civile.
2-Ogni paziente dovrebbe avere la possibilità di usufruire concretamente del diritto al trapianto, specialmente quello più povero.
3-Ogni realtà ospedaliera dovrebbe essere attrezzata allo scopo di offrire questa possibilità, onde evitare l'emigrazione dei malati con i cosiddetti viaggi della speranza, che nel nostro Sud raggiungono il 16% circa della popolazione inferma. Naturalmente ciò implica un uso meglio finalizzato e razionale delle risorse, delle strutture, dell'assistenza, della strumentazione tecnologica e del personale specializzato. Necessaria poi sarebbe mettere su una rete di coordinamento a livello nazionale e internazionale in materia.
4-È indispensabile e urgente diffondere di più, con tutti mezzi e in maniera più capillare e incisiva la cultura del dono di parti del proprio corpo o con la volontà dichiarata o perché il silenzio-assenso previsto per legge sia meno un presupposto normativo e più un atto di libera responsabilità. In Europa siamo appena al 15 per milione di donatori !
Ho usato molti condizionali perché so bene che le leggi esistenti possono e stanno codificando il visibile e il fattibile, ma c'è tutto un sottosuolo di imponderabili motivazioni la cui misurazione e selezione è lasciata all'analisi prudente e critica della coscienza di ognuno (operatori e fruitori). È a questo livello che si gioca il colore o la natura di un'azione e di una scelta, che così può mutarsi in un segno di banale gestualità o in una testimonianza eroica di fraternità. Il trapianto, se attivato all'insegna del principio che la vita, come diceva Einstein, è tutto un miracolo, allora sì che ha un suo nobile significato, mai dimenticando che l'uomo non è, come spesso avviene in una purtroppo ancora diffusa visione organicistica della medicina, solo un oggetto da curare, quasi uno sconosciuto senza nome né identità o emozioni, ma soprattutto un essere portatore di dolore da amare e da aiutare ad attivarsi positivamente nelle proprie forze interne. Racconta una leggenda indiana che gli dei erano incerti se nascondere il segreto della vita sulle vette dei monti, negli abissi dei mari o fra le lontane stelle: l'uomo avrebbe sempre potuto arrivare a carpirne la natura. Decisero allora di depositarlo all'interno della stessa persona. Ricordo, a questo proposito, e concludo, che durante il Convegno ANCIS tenuto in questa città il 21.04.1990 sul tema "Depressione e cancro", essendo uno dei tre relatori, proposi di associare, in via sperimentale, alle consuete terapie nella cura dei malati oncologici anche la psicoterapia (e in particolare l'ipnosi), come strumento per rafforzare le difese psichiche e quindi la voglia di vivere: per la miopia di allora, e non solo di allora, non se ne fece nulla, come, del resto, è accaduto e accade per tante altre cose buone proposte nel passato e nel presente.
Ben vengano, dunque, i trapianti, ma attenzione: l'uomo non è principalmente o, peggio, solo un casuale accidens dell'evoluzione biologica da sezionare o ricomporre su un tavolo anatomico, ma soprattutto un sacro e luminoso mistero da venerare, come il fiore più delizioso scivolato e piantato nel cuore e nel respiro musicale dell'universo.

 

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