Leggendo con attenzione gli scritti del Servo di Dio P.
Matteo da Agnone (specialmente il "Fasciculus Myrrae"), oltre, come si è più
volte detto, alla sua vasta cultura
biblica, filosofica e teologica, si
nota soprattutto l'uomo di Fede, affascinato e
innamorato di Cristo, ben consapevole della precaria dimensione temporale e fortemente anelante
alla compiutezza del desiderio più profondo dello spirito, che è quello
dell'incontro con il volto paterno di Dio. In questo P. Matteo si rivela una
persona certamente mistica, ma paradossalmente
anche molto concreta, perché aveva ben compreso l'estrema relatività
delle cose e puntava con intelligenza diritto lo sguardo al cuore essenziale
del vivere: in fin dei conti aveva saggiamente conferito un "senso" e un
"sapore" alle azioni di ogni giorno.
Il "tempo" e l' "eterno" non sono categorie astratte
della mente ma due condizioni della coscienza: nella prima (tempo) essa ha la
sensazione di "volere" un qualcosa d' "infinito" ma di "non poterlo" attingere
a causa dei ristretti orizzonti imposti dall'ingombro del corpo, nella seconda
(eterno) il "volere" diventa "piena e presente realtà" rivestita anche da un
corpo "etereo" (f. 191 v). Afferma il
Servo di Dio: "Questo mondo è un passaggio, volervisi fermare è estrema pazzia"
(f. 210 r). Quando arriva il momento del
"distacco" da questa terra "l'anima ritornerà in se stessa, avrà la
verità di tutte le cose, cognoscerà la sua dignità" (f. 311 r). Con la morte,
cioè, inizia un processo, oltre che di trasformazione, di chiara autoconoscenza, che ha avuto un
assaggio prima nella Trasfigurazione di Gesù, connotatasi come un "ricevere
nuova luce" (f. 189 v), ma soprattutto nella sua Resurrezione con un "Christo
che non fu corrotto nel sepolcro" (f. 72 v) e che ruppe "le catene infernali, i
vincoli della morte, la clausura et sigillo della sepoltura" (f. 218 r). Con la
sua vittoria sulle forze della dissoluzione Cristo è diventato "primogenito tra
molti fratelli" (f. 218 r) e "il grande sacerdote rivestito d'immortalità" (218
r). Su questo esempio la visione dell'eternità fa esclamare al santo uomo di
Dio: "Quello che hai aspettato con la speranza, godi hora con fermo possesso,
quello che hai bramato con l'amore, hora godi con la tua segnalata carità.
Lascia la terra et vieni a quest'horto di delitie et piaceri, dove sono le rose
de' martiri, i gigli delle vergini, i giacinti dei confessori, i fonti delle
consolationi divine, la dolce aura del Spirito Santo, l'ombra dell'eterno
riposo, ogni contento et pace desiderabile" (f. 74 v).
Nell'umano viaggio verso la "Terra Promessa"
dell'Aldilà la creatura non è sola e abbandonata a se stessa, ma ha il sostegno
di tanti buoni amici invisibili, che sono gli Angeli. P. Matteo così ne
descrive la funzione: "Gli Angeli ci aiutano nelle tentationi...Ci svegliano
l'intelletto...Rappresentano le nostre opere a Dio...Portano l'anima nostra in
cielo...Et oggi ancho in bene di corpo"
(f. 271 r).
Ma che cos'è il Paradiso, luogo "altro" nel quale si
attua e si sviluppa la "nuova vita"? Secondo P. Matteo esso "è chiara et
beatifica visione" (f. 220 r). È "come una casa fondata su sette colonne: le
prime quattro sono le doti del corpo (chiarezza, agilità, sottilità,
impassibilità), le atre tre doti dell'anima (visione, fruitione, diletto)" (f.
210 r). Il Paradiso, quindi, si presenta, come "posto di quiete, casa di
riposo, la cui duratione è senza fine " (f. 210 r). Onde fugare l'idea, seppur
lontana, di un "ospizio", il santo uomo precisa il dinamismo di questa nuova
condizione: "Al cielo è la patria, ivi è la beatitudine nostra" (f. 221 r). In
esso si avrà "l'intelletto libero di poter intendere et speculare le cose
celesti" (f. 311 r), ma anche "nel stato della gloria l'anima possiede sì
pienamente il corpo, che ogni grande et difficile movimento gli sarrà facile et
agevole" (f. 220 r). Quindi la "quiete" riguarda non l'inattività, ma la
profonda "pace" dello spirito, che, pur continuamente evolvendosi, qui trova una "piena risposta" alla
complessità delle sue domande.
Il Paradiso, inoltre, non è un paesaggio spirituale e
psicologico monotono, ma estremamente vario e dinamico, perché ogni
individualità o identità, anche nei dettagli,
è sommamente valorizzata: "Nella casa del Padre sarremo tutti figli, ma
in diverse mansioni, secondo la capacità et meriti d'ogni uno, perché stella
differt a stella" (f. 211 v). In questo Dio lascia l'uomo pienamente libero di accedervi o meno: "Non ci trascina per forza Iddio
alla gloria, ma ci chiama amorevolmente" (f. 274 v).
In ultima analisi, muniti del particolare dono del
"lumen gloriae", la cosa stupenda e meravigliosa che più attrae l'anima è Dio
nella sua immensità, nel suo mistero e soprattutto nel suo grande amore per
l'universo. Egli è come la "nostra calamita" (f. 221 r), che "non solamente è
vita in sé, ma anche è vita nostra" (f. 215 v). Continua P. Matteo: "Non è cosa
più alta che Dio, onde non ha luogo ove possa salire" (f. 220 r); e aggiunge:
"Non v'è lingua che sappia o possa esprimere quello interno raggionamento che
fa Iddio con l'anima" (f. 314 v). Qui naturalmente la parola umana si
ferma, ammutolisce nella sua normale e usuale grammatica e sintassi, perché l'Inesprimibile e l'Indicibile
diventa pura e gratificante contemplazione.
Come si può notare, quello che in Teologia si chiama
Escatologia per P. Matteo è una certezza per la quale vale la pena di vivere e
vivere bene, con fiducia, serena speranza, in tranquilla ma operosa attesa:
d'altronde tutti i Santi hanno visto le cose così e agito di conseguenza.
Soprattutto colpisce il fatto che per il venerato cappuccino di Agnone Dio è
Padre amorevole, quell'Essere di Luce che, nella sua misericordia, abbraccia e
scioglie le umane miserie, invita alla trasparenza, alla gioia, alla purezza
interiore, e che assolutamente non incute timore o paura. In Lui il tempo
acquista un colore e un valore se viene utilizzato "sub specie aeternitatis",
cioè intensamente nel "qui e ora", senza effimere scelte né vuote banalità: è
un dono ma anche un impegno, talora un angoscioso buio in un tunnel transitorio
ma anche una sfida a compiere il "salto coraggioso della fede", un vagare nel
deserto della solitudine ma anche un avvicinarsi alla vera Patria, dove, una
volta squarciato il velo di Maya, ci si troverà dinanzi alla piacevole
sorpresa dell'enigma risolto in sicura
lettura del nostro personale e originale romanzo di vita.
P. Matteo è vissuto in questa prospettiva superiore:
e ciò lo rende, oltre che saggio, anche un "vero" uomo di Dio degno di onore da
parte della Chiesa ancora itinerante sulla terra, significativo modello da
tener presente nel cammino spesso tortuoso e sofferto della nostra esistenza
ancora scritta e segnata nel tempo e fedele figlio di quel Poverello d'Assisi,
che amava chiamare la morte "sorella", perché, supremo momento di verità, immette in quel "luogo" dove "tutto diventa
finalmente chiaro"
(Dalla Rivista "P. Matteo da Agnone").
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