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Una fine per la progettualità? PDF Stampa E-mail
Comunemente si dice che ognuno ha un sogno o un progetto da realizzare. D'altronde la vita stessa è un progetto, che si dispiega nel tempo e di sé configura il futuro sia a livello organico (DNA) che psichico. Sostanzialmente si vive per questo e si è come davanti a una forza propulsiva che spinge a guardare e ad affrontare gli eventi nella prospettiva di poterli modificare se non in meglio, almeno a controllarli nella loro dinamica evolutiva. Tutto ciò è la conseguenza della presenza di una particolare forma di energia creativa che muove l'uomo, tendendo a svilupparne le sue nascoste potenzialità, che non sono poche né di limitata importanza.
Ci chiediamo ora: che fine fa questo insieme di sogni, di desideri, di impulsi a crescere, di intensa vivacità, che come opere incompiute caratterizzano il vissuto di ognuno, se poi la quotidiana realtà sembra mostrare che tutto si svuota, si logora, si sgretola, frana e svanisce? Se, come ho già scritto, la coscienza sopravvive alla scomparsa dell'ordine organico, non tutto allora termina con esso. Resta qualcosa e questo innanzitutto nella memoria collettiva, nella quale niente si perde ma ogni parola e ogni gesto si conservano come un ricordo che sollecita a non interrompere la continuità con un passato generatore di idee, di stimoli e di proposte. Quanto sedimentato nella storia e quindi come respirato e fatto proprio dalle nuove generazioni aiuta a seguire una strada già tracciata, che ha bisogno solo di essere perfezionata e arricchita da nuovi elementi: c'è sempre chi semina come poi chi raccoglie e così di seguito il ciclo si ripete e si rinnova. E questo è un aspetto. Poi c'è un altro che attinge la sfera individuale della persona. Su ogni uomo esiste un misterioso "disegno" di benevolenza e di amore, spesso inafferrabile e indecifrabile nel suo svolgersi, ma che solo nel momento della "liberazione" della psiche dal suo involucro fisico (corpo) riesce a rendersi visibile e pienamente percepibile in tutta la sua chiarezza. Il pensiero continuerà e completerà quanto sognato e progettato, sicché niente va perduto, smarrito o vanificato. Naturalmente qui entra in gioco, come esigenza della mente oltre che del buon senso, la necessità dell'esistenza di una Immensa Ineffabilità, quella cioè di un Essere fuori dalle coordinate spaziotemporali, ora appena intuito e intravisto nella sua identità, ma che è e sarà la fonte ma anche il motore, se così si può dire, del processo di ampliamento degli orizzonti e degli spazi conoscitivi dell'uomo. In questi sono compresi e sviluppati al massimo tutti i progetti elaborati o appena abbozzati nell'esperienza terrena. Ciascuno avrà il suo compimento, la sua sintesi, la sua piena e puntuale risposta, sicché a essere annullata sarà semplicemente la domanda, che molte volte quaggiù si nutre solo di se stessa, perché non sarà più ponibile in quanto già presente il Soggetto per il quale era stata all'inizio formulata. Mi rendo ben conto che qui ci troviamo dinanzi all'aspetto più enigmatico e complesso del nostro, chiamiamolo così, "destino", che, forse, non tutti accettano o capiscono, ma che, a ben riflettere, è la chiave di lettura più autentica e vera del nostro esistere. Basta far funzionare solo un po' di più e meglio la nostra capacità intuitiva per comprenderne la ragione ultima. Tutto ciò, però, richiede e implica un minimo di raffinamento interiore, una disponibilità umile e sincera all'attento ascolto dei "segni", un discreto panorama di silenzio nel quale ogni più piccolo rumore possa essere colto in tutta la sua più profonda significatività, come un grande mosaico che va a ricomporsi nei suoi vari frammenti all'apparenza fra sé slegati ma sparsi e disseminati un po' ovunque.
Quindi niente di ciò che si organizza "nel" e "con" il pensiero "muore", ma tutto è indirizzato alla sua "totale" attuazione: il "come" ciò avviene o avverrà per il momento sfugge alla nostra libera, lucida ma ancora modesta comprensione.
 

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