E' del dicembre 2000 la pubblicazione di uno stimolante
saggio di GIUSEPPE NORMANNO, docente emerito di Filosofia e Storia nei Licei e
studioso di CROCE, DEL NOCE, KANT e GRAMSCI (L'avventura di Elpìs. Sentieri e
labirinti della speranza, Edizioni Milella, Lecce 2000, pp.250). Il testo, come ben evidenziato nel sottotitolo, è
un discorso pacato e ragionato sul tema della speranza, su quel "continuo
cercare un qualcosa nonostante" le apparenze dicano il contrario.
Il lavoro del NORMANNO si articola in quattro parti:
nella prima è tratteggiato il cammino verso la speranza perduta, partendo dalla
posizione radicale di E. BLOCH (un "ateo per grazia di Dio") e giungendo alla
grande visione cosmico-escatologica di
TEILHARD de CHARDIN (il "gesuita
proibito"); nella seconda vengono presentati della speranza con estrema
precisione le figure (l'angoscia di GIOBBE e la fede di ABRAMO), i luoghi ( il tempo, la persona e la società) e le forme
(l'utopia e l'apocalisse in vista di una generale palingenesi); nella terza
sono messi bene a fuoco i cosiddetti labirinti della speranza, le situazioni
cioè che indurrebbero a "non sperare" (il nichilismo, la disperazione, la
presenza del male e del dolore nella vita, la morte) ; nell'ultima parte
vengono indicati alcuni possibili sentieri lungo i quali far nascere e
sviluppare l'orizzonte di una speranza (il nuovo rapporto fra l'uomo e la
natura, una società giusta e solidale, la prospettiva teologica e religiosa,
specialmente in MOLTMANN).
Come si può notare da questa schematica
presentazione dell'insieme, il lavoro del prof. NORMANNO , arricchito peraltro
da un'ampia e accurata bibliografia, è uno strumento di riflessione sulla condizione
umana molto utile e, direi, di grande attualità. In un'epoca, come la nostra,
attraversata da un immenso vuoto interiore fatto di perdita di fede in un
qualcosa e dalla desertificazione dello
spirito che spesso si colora di disperazione e di oscura depressione, quella
capacità di "sognare ad occhi aperti" (ROUSSEAU) e la voglia di proiettarsi in
un futuro possibile sembrano stranamente essere spente: con esse son venute
meno anche l'energia creativa, la progettualità, una sia pur minima certezza che
in qualche modo dia un senso al vivere quotidiano. Non
meraviglia più di tanto se il tutto viene banalizzato, se l'insopprimibile
ricerca di andare oltre la techne e il visibile si risolva poi
nell'irrazionale pratica di riti e gesti (e spesso crimini) di dubbia natura,
se la vita insomma stia perdendo quel suo valore intrinseco senza il quale
l'assurdo sarebbe la norma.
Sono pienamente d'accordo col prof. NORMANNO sul fatto che in qualche maniera occorra
"riconciliarsi" con se stessi, con gli altri, la natura e il Trascendente:
l'ipertrofia dell'Io, accresciuta
sconsideratamente dalla scienza e dalla filosofia, ha fatto smarrire il
senso della misura e del limite. Un po' di umile "apertura" all'ascolto dei
battiti dell'universo e delle cose forse farebbe acquistare quell'equilibrio
conoscitivo, che in molti sembra essere stato racchiuso fra le quattro
instabili barriere dell'assolutismo ideologico, nonostante l'affermazione del
suo tramonto. Credo che, facendo funzionare meglio l' intuizione , la facoltà cioè di "saper collegare" indizi e
frammenti sparsi qua e là, che da soli poco o nulla direbbero, lentamente, se
si è pazienti restauratori, il mosaico dei nessi si ricostituirebbe nella sua
unità, restituendo all'umana indagine un panorama di speranza. Si
schiuderebbero così nuove frontiere, più luminose dimensioni di esistenza, nelle quali anche i "labirinti"
dell'incomprensibile (male, dolore, morte) potrebbero trovare, se non una
giustificazione, almeno una ragione per una loro valorizzazione in termini di
evoluzione salvifica dell'uomo e della sua storia. Il nichilismo non è una
risposta, come la disperazione prevalentemente è solo una condizione emotiva
deprimente: ambedue, tutt'al più, sono conseguenza di una poco corretta
posizione della domanda che, se c'è, implica anche una soluzione, altrimenti
non si porrebbe.
La speranza, allora, proprio perché si esprime nel
tempo, in sé finito, e in una società, in sé contraddittoria e percorsa anche
dal male, ha bisogno di affidarsi a una coscienza ben consapevole dei propri
confini ma anche delle proprie nascoste possibilità: tutto sta a saper fare con coraggio il salto "nel
rischio dell'avventura" (il transitorio "buio" di KIERKEGAARD), che se
all'inizio è una semplice e sfocata "elpìs" (=speranza), alla fine si tramuta
in "òn" (=Realtà).
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