La nostra
cultura occidentale, a differenza di quella orientale, parcellizzando gli
elementi della conoscenza per secoli, ha affermato la dicotomia
"spirito-corpo", non solo distinguendo questi costitutivi dell'uomo ma fin
troppo spesso anche contrapponendoli fra di loro, dando la connotazione morale
di "buono" a ciò che afferiva alle funzioni spirituali (o psichiche) e di
"cattivo" a ciò che invece rientrava nel quadro dei bisogni organici. Ancora
oggi stiamo pagando il prezzo, in quanto a visione globale dell'uomo, della
salute o della malattia, di questa artificiosa dissezione della realtà uomo,
sicché secondo molti l'organico non comunicherebbe con lo psichico e viceversa.
Tutto ciò naturalmente va a detrimento della comprensione integrale del
problema-uomo. Per fortuna, però, nonostante la presenza di ancora vaste sacche
di accademici e di operatori sanitari che si ispirano a questa concezione
dicotomica dell'uomo forse, non ultimo, anche per motivi utilitaristici,
qualcosa si sta movendo in direzione di una più unitaria rilettura di questa
realtà. Si va facendo strada cioè l'idea, formatasi anche in conseguenza di
numerose osservazioni cliniche (la letteratura sull'argomento è abbondante di
dati), che il vissuto corporeo inevitabilmente presenta una risonanza psichica,
come ogni evento psichico ha la sua evidenziazione organica o somatizzazione,
sicché i due aspetti s'intrecciano, intersecandosi e rendendo ancora più
complessa l'operazione conoscitiva dell'uomo e quindi anche l'eventuale
intervento terapeutico sulle sue condizioni di salute. In quest'ottica viene ad
assumere una grande importanza, ai fini di una corretta diagnosi e quindi di
una seria pianificazione terapeutica, l'insieme del contesto psico-sociale in
cui il soggetto vive, opera e da cui è condizionato. Bisogna fare i conti cioè
con la struttura cognitiva ed emotiva della personalità, con il modo secondo
cui sono organizzati ed elaborati i messaggi dell'ambiente, con la natura e la
qualità delle risposte che il soggetto dà alle sollecitazioni dell'esperienza
quotidiana, con la ridefinizione del significato della traccia organica rispetto ai contenuti psichici. È un
lavoro questo che non esimerà più il medico, il ricercatore o in generale
l'operatore sanitario da un suo coinvolgimento vitale sulla vicenda altrettanto
vitale del paziente: quest'ultimo, cioè, non è più, come non lo sarebbe mai
dovuto essere anche nel passato, un oggetto da trattare con una più o meno mascherata neutralità, ma
un soggetto da prendere in considerazione nella sua totalità psico-fisica. Il
nostro sistema sanitario com'è ancora lontano dal recepire questa visione
globale dell'uomo e della malattia! È più materialista di quanto non voglia
darlo a vedere e gli effetti si notano dal modo come sono trattati tanti
pazienti, ospedalizzati e non.
Bisogna dare
atto alla neuropsicologia e alla psicosomatica se qualcosa comincia a cambiare,
fra mille resistenze e difficoltà, nella gestione della salute comune.
Venendo al
rapporto fra depressione e cancro, l'ipotesi che la malinconia, la depressione,
la paura, le catastrofi personali e i drastici cambiamenti nella propria vita
siano collegati con le affezioni cancerose, risulta compatibile con il vasto
numero di osservazioni ed indagini. Ciò nonostante, la medicina ufficiale ha
finora quasi completamente trascurato, addirittura ignorato, questi legami.
Infatti la ricerca sul cancro si occupa quasi esclusivamente dei processi
interni alla cellula cancerosa. La malattia, cioè, ha ancora il carattere di un anonima processo
biologico. L'obiettivo di questa nuova impostazione del problema è quello di
trarre un quadro più completo e più chiaro dello stato patologico e della
patogenesi grazie a informazioni su fattori emotivi, sociali e culturali.
Indagini sperimentali hanno potuto dimostrare che fattori psicosociali,
nell'animale e nell'uomo, possono influire sulla genesi e sul decorso delle
affezioni cancerose e che le difese proprie dell'organismo possono essere
determinate in modo decisivo dalla reazione del sistema nervoso. L'assunto di
base è dunque che qualsiasi forma di stress incide sui processi cancerogeni.
Perciò il cancro deve essere visto come un'affezione in cui fattori emotivi e
sociali si combinano con i loro paralleli fisici in modo tale da scatenare,
mediante un processo a noi ancora sconosciuto, la proliferazione cellulare.
A questo punto
mi sembra necessario precisare i due concetti di depressione e di cancro.
La depressione
è il risultato del blocco totale della personalità, nelle sue istanze energetiche
sia conoscitive che emotive, relazionali e organiche positive, dovuto ai
modelli parentali (padre- madre) autoritari o nevrotici. Il soggetto, cioè,
vive in piena contraddizione il dissidio fra ciò che sarebbe dovuto essere e
ciò che in realtà si ritrova ad essere, come constata la sua completa impotenza
a superarlo, tendendo a estendere tale sensazione a tutti gli altri esseri
umani. A evitare il suicidio, nel depresso opera un tenue legame a qualcuna o a
qualcosa: quando viene meno, con il relativo senso di lutto che tale mancanza
arreca al suo già fragilissimo equilibrio, la catastrofe non è improbabile. Sul
piano conoscitivo il depresso ha un'immagine negativa di se stesso, con la
conseguente bassa autostima e l'attribuzione a se stesso degli eventi negativi
della vita. Il suo pensiero è dicotomico (esiste o solo il bene o solo il male
senza altre sfumature intermedie), si ferma nell'astrazione selettiva (si
blocca cioè sul particolare senza risalire sinteticamente al generale),
ipergeneralizza (da fitti particolari amplifica a fatti generali), è portato a
conclusioni affrettate e non ben valutate nella loro logicità. Sul piano
emotivo, il depresso tende ad amplificare il dolore, a minimizzare il piacere,
avverte però forti sensi di colpa, si autopunisce aggredendosi, perde spesso il
controllo delle sue sensazioni, ha una tristezza che tende a riferire a tutti,
è infantilmente egocentrico, con difficoltà cioè di porsi dal punto di vista
degli altri, vive in un permanente stato di disperazione e di lutto. Sul piano
organico, il depresso ha gli impulsi fondamentali (fame-sonno-sesso) quasi
spenti, attacchi d'ansia, un abbassamento notevole dell'umore, un forte
eccitamento del sistema simpatico, un marcato rallentamento nell'attività
motoria, disturbi vari (cefalee, algie, asma, palpitazioni cardiache,
difficoltà digestive, costipazioni ...). Sul piano della coscienza: momenti di
assenza, difficoltà di adattamento alla realtà, sprazzi di apparente allegria.
Il depresso reagisce alla sua situazione o adottando la scelta della
disperazione, con una visione prospettica negativa cioè del suo presente e del
suo futuro, o agitandosi (secondo gli autori inglesi Shepherd-Zangwill) e
rivolgendo una notevole forza distruttiva contro se stesso (eccitazione
maniacale e comportamento schizoide). La depressione è da distinguersi dalla
noia, che è semplice senso di vuoto e d'indifferenza; i suoi connotati sono
piuttosto quelli del diniego e dell'angoscia. Meglio della M. Klein (secondo la
quale la depressione sarebbe una difesa contro oggetti ritenuti pericolosi) e
di Abraham (secondo il quale essa sarebbe da collegarsi con l'idea di perdita
dell'oggetto amato, vissuta quindi come perdita interna), Freud ha sintetizzato
magnificamente quanto detto fin qui in queste osservazioni, tratte dal suo
lavoro del 1915 "Lutto e melanconia": "Le caratteristiche mentali che
contraddistinguono la depressione sono la perdita d'interesse con il mondo
esterno, l'incapacità di amare, l'inibizione di ogni attività, l'abbassamento
della considerazione di sé al punto tale da trovare espressione in un senso di
colpa e in un auto disprezzo che culmina in una continua attesa di punizione".
La descrizione
della sindrome depressiva fatta sopra, e comunemente definita depressione
primaria, non bisogna confonderla con quella secondaria, che è conseguente
invece a patologie organiche come l'epilessia, il morbo di Parkinson, le
atrofie cerebrali, l'ipertiroidismo, il diabete grave, i timori cerebrali, la
fase puerperale della donna, le turbe vascolari, il cancro e le
meningo-encefaliti. Al nostro discorso interessa la primaria e non la
secondaria, che presenta soltanto una valenza sintomatica più che eziologica.
Ultimamente si è avanzata l'ipotesi biochimica, secondo la quale la
depressione sarebbe il risultato di una disfunzione tra adrenalina e
noradrenalina e di un basso tasso di eliminazione, attraverso le urine, di
fenilacetato. Per quanto interessante ai fini della ricerca, questa ipotesi ha
un serio limite, che è quello costituito dal suo carattere riduttivo.
Sul concetto di cancro
mi limito soltanto a qualche breve osservazione. Il cancro, si sa, consiste in
una proliferazione anomala delle cellule, dovuta a mutazioni genetiche di
alcune catene del DNA e dell'RNA. Le cause possono essere ricondotte ad azioni
esercitate sui geni da fattori o chimici o fisici (es. radiazioni) o ormonali o
irritativi o biologici (es. alcuni virus) o da predisposizioni ereditarie o
infine da elementi di natura immunitaria. Per rifarmi a questi ultimi, la cui
ipotesi intuita da Thomas e suffragata da ormai diverse osservazioni chimiche,
va acquistando sempre più credito fra gli oncologi, c'è da dire che la
ghiandola timo produce i linfociti T e le cellule cosiddette B allo scopo di
distruggere le cellule pericolose all'equilibrio dell'organismo. Bisogna, però,
anche aggiungere che l'ospitante, cioè l'organismo, reagisce poco con il
sistema immunitario all'intrusione della cellula tumorale ("intenzione
subdola", come è definita da Old, Boyse
e Stoickert) e ciò è dovuto a particolari cellule T chiamate "suppressor", che
hanno il compito ancora inspiegabile di abbassare il livello
dell'immuno-sorveglianza, facilitando così la neoplasia. Non per questo, però,
l'ipotesi immunologica va scartata, perché in fin troppi casi si è rivelata
esatta, come per esempio in quelli di trapianti d'organo o negli anziani.
Partendo da questi presupposti, ci chiediamo ora: quale è l'incidenza
dello stato depressivo sulla genesi del cancro? C'è una correlazione fra i due
vissuti patologici? La risposta che diamo è, purtroppo, positiva. Lo stanno a
dimostrare numerosi elementi tratti dall'esperienza clinica, dalle indagini di
laboratorio, e dalle statistiche.
Dall'esperienza
clinica si sa che con la depressione e lo stress diminuisce il livello delle
catecolamine e aumento la produzione di adrenalina, fatto che indebolisce il
sistema immunitario. Con la depressione c'è un abbassamento della formazione
dei linfociti e un aumento della produzione sia di steroidi, che frenano i
macrofagi, sia di cortisone che inibisce le difese immunitarie. Questa
funzionamento ormonale nella depressione, purtroppo, si accompagna a quello che
si constata nel processo canceroso. Come la depressione è una forma di
regressione psichica disorganizzante, così lo è anche il cancro, laddove tutto
è lasciato alla forza destrutturante del gene impazzito. Ignoriamo ancora
l'esistenza di molti meccanismi nervosi che presiedono al controllo genetico,
come pure non conosciamo il perché ultimo, nei suoi riflessi biologici, del
fatto che davanti alla presenza degli stessi elementi cancerogeni in persone di
uguale normalità fisiologica esiste e si attiva invece una diversa risposta.
C'è un quid, allora, ancora non individuato o imponderabile che sta a
fondamento ultimo dello scatenarsi dell'anomalia del cancro. Quale è il
rapporto fra questo e il gene impazzito? Sarà la futura ricerca a dircelo, ma
un legame comunque dovrà esserci. La depressione è un rifiuto della vita,
dell'adattamento, dell'equilibrio con se stessi e con le cose; che cosa è sul
piano organico il cancro se non la medesima cosa? La depressione è distruzione
delle difese dell'Io, il cancro è la distruzione delle difese
dell'organismo.
Perciò Lermer
definisce il cancro, a mio giudizio giustamente, come "malattia psicosomatica"
e W. Reich "un contrarsi bioenergetico, una rinuncia alla speranza". D'altronde già
diversi secoli fa Ippocrate e Galeno avevano intuito l'esistenza di questo
stretto legame fra "stato psichico" e cancro. In questi ultimi tempi si stanno
avviando interessanti ricerche e studi interdisciplinari anche in Italia, come
per esempio presso l'ospedale Regina Elena di Roma, dibattuti poi in Simposi,
come in quello organizzato nel novembre del 1983 a Bari dalla seconda clinica
neurologica di quella Università. È un primo avvio, ma quante resistenze
permangono ancora!
Da indagini
sperimentali di laboratorio, condotte avanti da alcuni ricercatori, fra
i quali è doveroso qui ricordare W. B. Cannon e Hans Selye, e riguardanti i
processi emotivi, vegetativi e ormonali della relazione di allarme, si son
potute registrare diverse interessanti osservazioni.
Prima. Lo
stadio di stress, caratterizzato tra l'altro da un aumento della pressione
sanguigna e del tasso glicemico, è seguito dal cosiddetto "contro-stress", in cui
le reazioni s'invertono. Quest'ultima fase si chiama anche di difesa e di
compensazione, che, se le capacità adattive dell'organismo vengono sollecitate
continuamente da stimoli eccessivi, può trasformarsi in fase di esaurimento e
di decompensazione. In parole semplici questo vuol dire che le difese organiche
hanno dei limiti, oltre i quali l'adattamento dell'organismo non è più
possibile e si ha allora la malattia.
Seconda.
L'ipotalamo (la parte del cervello medio in cui vengono coordinate e integrate
le funzioni vegetative) ed il Sistema Nervoso Centrale in pazienti, che
periscono nello stato iniziale di un cancro, hanno segni di una incrementata
attività, con inibizione successiva del controllo e della coordinazione
biologica dei tessuti, rendendo così possibile una proliferazione cellulare
incontrollata. Cambiamenti funzionali del simpatico, dovuti a disorganizzazione
nell'azione ormonale, in esperimenti con animali, hanno condotto ad una serie
di manifestazioni patologiche, tra cui anche diverse forme di ulcerazioni
cancerose e di metastatizzazioni. Il ritmo di crescita di queste ultime,
secondo quanto riferisce Fournier, è notevolmente minore in quelle persone con
minore gradiente di angoscia e con un più alto distanziamento dai problemi.
Quindi l'angoscia e la tensione incidono nella crescita tumorale attraverso il
sistema simpatico ed i fattori ormonali connessi.
Terza .
Turbe funzionali del sistema nervoso possono condurre a disequilibri funzionali
dell'ipofisi (ghiandola, che, fra l'altro, regola l'accrescimento e lo sviluppo
corporeo oltre che la maturazione sessuale) e delle altre ghiandole a
secrezione interna. Il ruolo, quindi, del sistema nervoso nella cancerogenesi è
decisivo, anche se non unico.
Quarta.
Ricercatori russi, esponendo dei topi a prolungati stimoli necrotizzanti, hanno
notato una precoce ed estesa manifestazione tumorale (es. leucemie). La stessa
osservazione in situazioni di frustrazione sessuale e alimentare.
Quinta.
Nell'Istituto di Ricerca sul cancro di Amsterdam, il prof. Miihlbock ha potuto
constatare che topi chiusi in gabbie di giunco in numero di 50 svilupparono
tumori mammari nel 56% dei casi, se invece separati in scomparti di vetro, il
tasso di sviluppo saliva al 67%! Quindi la frequenza del carcinoma mammario era
molto più elevata, quanto più marcata era la condizione di solitudine in cui
veniva lasciato il topo. Lo stesso prof. Miihlbock osservò poi il 43% dei
carcinomi mammari nei topi chiusi in gabbie con ruote, il 67% in quelli in
gabbie senza ruote. L'attività fisica, quindi, inibisce lo sviluppo di
affezioni cancerose.
Sesta. Il
medico russo Shevchenko ha notato che nei pazienti con attività nervosa forte
ed equilibrata il decorso del processo canceroso e delle metastasi è
significativamente più lento che non in quelli con attività debole.
Da tutta questa
serie di osservazioni si può facilmente rilevare l'enorme importanza che
riveste per la cancerogenesi l'insieme dei fattori emotivi, cognitivi e
comportamentali dell'essere vivente.
Da ultimo ci sono studi e statistiche sul rapporto molto stretto
esistente fra depressione e cancro. Ne elenco solo alcuni, come, per esempio,
le inchieste degli oncologi americani Weisman e Worden (secondo i quali la
stessa paura del cancro potrebbe essere un elemento concausa dello stesso), le
ricerche del gruppo dell'Università di Basilea, le osservazioni di Snow al
London Cancer Hospital (nota che su 250 ricoverati per cancro, ben 156 avevano
un'eziologia di natura psichica), le statistiche del dr. Kissen (secondo il
quale il canceroso è una persona conformista, bloccata, con poca somatizzazione
dei disturbi psichici), i risultati dell'équipe del St. Vincent Hospital and
Medical Center di New York (secondo i quali la personalità predisposta al
cancro è quella che ha avuto una madre possessiva, ha una immaturo adattamento
sessuale, una forte incapacità ad esprimere un qualunque sentimento di ostilità
e ad accettare la perdita di una persona cara, un profondo senso di
disperazione), gli studi dei medici svizzeri Haerny e Adler (secondo i quali i
tratti comuni della persona cancerosa sarebbero la scarsa autoosservazione, il
senso di colpa, uno stile rigido di vita, la fede nell'autorità, rapporti
piatti con gli altri, una sessualità inibita, la tendenza a mancare di
speranza), le ricerche del gruppo di oncologi guidati dai proff. Grossarth e
Maticek, condotte negli anni '70 su pazienti fra i 36 e i 54 anni (alla domanda
"Gli uomini devono alla sfortuna molte cose spiacevoli della vita", il 17,5%
dei normali rispose di sì, mentre fra i pazienti cancerosi rispose ben il
50%!).
Queste riportate
sopra non sono che alcune indagini statistiche, ma letteratura sull'argomento è
troppo vasta per poterla riferire tutta. Un elemento è comune a tutte ed è che
la personalità predisposta al cancro presenta un quadro cognitivo e
comportamentale con tendenze chiaramente depressive, con blocco della funzione
del piacere e del dispiacere, con tentativi di rinvio in quanto a realizzazione
dei propri desideri, con manifestazioni di autodistruzione e di autorinnegamento.
Come
diagnosticare con precisione la depressione e il cancro? La prima è
relativamente facile ad un esperto di colloquio clinico, che si può avvalere
senza tante difficoltà di opportuni test standardizzati (come, per esempio,
quello di Beck, di Krug, e di Laughlin, di Rorschach ...). Per il secondo, cioè,
il cancro, non mancano gli strumenti adeguati anche se non sempre disponibili
in tutti i presidi ospedalieri.
Il cancro può
essere combattuto? Certamente, anche se oggi si adoperano quasi esclusivamente
la chemioterapia (utile ad inibire il DNA nella sua fase reduplicativa, ma
anche con tanti rischi per le parti ancora sane dell'organismo), la
cobaltoterapia, l'immunoterapia, l'asportazione chirurgica. Ma sono sufficienti
da sole queste armi a combattere e a sconfiggere un male che non ha solo
componenti organiche, ma anche psichiche? L'equilibrio da salvaguardare non è
forse psico-fisico? Sarebbe ora che la medicina ufficiale aprisse gli occhi una
buona volta e non riducesse l'uomo soltanto a un groviglio di muscoli, di nervi
e di ossa. Questa visione della realtà è, a dir poco, offensiva e lesiva della
dignità umana oltre che non pienamente scientifica. I metodi terapeutici
classici non potranno più non tener conto di questa complessità umana, per cui
affianco ad esse è necessario e urgente introdurre procedure anche di natura
psicoterapeutica. La psicoterapia, è bene ribadirlo, ha una sua dignità
scientifica che andrebbe rispettata, se non si vuol essere operatori di "dotta
ignoranza", con incalcolabili danni per le creature umane. I casi di
regressione o di remissione totale del cancro sono ormai numerosi, ma tutti
hanno come comune denominatore, nel soggetto, la voglia di vivere, la piena
consapevolezza di lottare contro un nemico temibile, ma non invincibile, la
forza e il coraggio di guardare negli occhi il nemico e cambiare radicalmente
vita e abitudini comportamentali. Basti citare per tutti il caso riportato
dalla rivista medica tedesca "Medical Tribune" del 23-4-1982. Una donna di 59
anni, affetta di cancro al seno, lo seppe accettare, convivendo con esso e
morendo all'età di 83 anni, cioè ventiquattro anni dopo, ma non di cancro, come
si sarebbe potuto aspettare, ma d'infarto! Giustamente afferma Horst-Ebherard
Richter, Direttore della Clinica Psicosomatica dell'Università di Giessen
(Repubblica Federale Tedesca): "Il decorso di una malattia cancerosa può essere
pilotato del tutto dalle condizioni
psichiche (del paziente)".
Come combattere
allora il cancro? La risposta è: innanzitutto la prevenzione psico-fisica e
poi, oltre alle terapie organiche, vivendo la propria identità, pensando
liberamente, volendo risolutamente agire con coerenza, partecipando alla vita
degli altri, diventando cioè adulti e rispettando il proprio ambiente
ecologico. Le tecniche psicoterapeutiche non mancano: da quelle cognitive a
quelle comportamentali, alla riprogettazione dell'esistenza quotidiana, alla
visualizzazione e all'ipnosi. Così sono da spiegare i numerosi successi di un
C. Simonton, Professore di Radiologia del Texas, o di R. G. Hamer a Gyhum
(Repubblica Federale Tedesca). I pionieri, purtroppo, hanno il destino delle
minoranze sociali, sono cioè profetici, ma proprio per questo non sono creduti
e accettati. Ricordo una mia modesta esperienza
personale: con la tecnica della
visualizzazione e dell'ipnosi, una donna di 62 anni, di cui solo nell'ultima
settimana ero venuto a conoscenza di un cancro all'endometrio purtroppo già i
avanzata metastasi, non ha avuto bisogno di prendere nessun antidolorifico.
Riuscì a sopportare tranquillamente le ultime fasi della malattia. Se l'avessi
potuto trattare diverso tempo prima, forse il decorso avrebbe potuto prendere
un'altra direzione e oggi avrei avuto il piacere di comunicare la buona
notizia. Ebbene questa donna, vedi caso, era una depressa. Allora ha ragione
Heinz Olsen, Professore di Radiologia a Berlino, quando dice: "Il cancro è un
destino o una colpa?". È qui purtroppo, la colpa va data alla carenza di
informazione, dovuta forse, non ultimo, anche alla speculazione di alcune ditte
farmaceutiche (è inutile nascondersi quest'aspetto), ma dovuta anche al modo
come è gestita la salute pubblica, che, nonostante gli sforzi, ancora non è
uscita da tanta pastoie, come disorganizzazione, insufficienza, incompetenza e
riduttivismo. Ricercatori bravi ce ne sarebbero anche in Italia, ma quanti
soldi sono destinati alla ricerca? Solo qualche briciola. Si ama pensare e
operare, purtroppo, fin troppo spesso a distruggere e a uccidere o nel migliore
dei casi a tamponare gli errori, poco a costruire e a salvare. La miopia di
molti è troppo frequentemente causa di morte per tante creature umane. Io sono
convinto che una speranza ci sia, ma a condizione che si sappia prevenire e
lottare il male insieme. Il grado di civiltà di una società lo si misura
proprio da questo, dal modo cioè come ds rispettare la vita umana e tutte le
sue possibili realizzazioni. Questo in linguaggio religioso significa
recuperare quell'immagine divina impressa in ognuno di noi e farla assurgere a
presenza di speranza in tanti oscuri capitoli di questo complesso romanzo della
nostra avventura terrena.
Stignano, San Marco in Lamis (5 Aprile 1985)
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