Un popolo che sa sorridere è una comunità di uomini liberi, di esseri cioè
che non considerano un assoluto quello
che è relativo o troppo sul serio chi poi nei fatti si dimostra inaffidabile.
Il sorriso ha fatto sempre paura ai potenti, mettendone in crisi la loro
presunta sicurezza. Esso è ironia, gioia di vivere, libero pensiero in un mondo
in cui tutto si intende far scivolare in una sorta di mutismo interiore con il
prevalere della sola voce di qualcuno. Non a caso U. ECO nel suo noto romanzo Il nome della rosa impernia
tutta la tragedia del monastero benedettino sul trattato di ARISTOTELE che parla appunto del sorriso: la
servitù vuole il silenzio della fantasia e la morte della parola
Lungo il corso dei secoli non son mancati gli esempi
della satira intelligente, pungente ma giocosa: da ORAZIO a MARZIALE, da CECCO
ANGIOLIERI a PASQUINO, dai commediografi antichi (ARISTOFANE, PLAUTO,
TERENZIO...) a quelli moderni (GOLDONI, MOLIÈRE, DARIO FO...), dai giullari di Dio
( S. FRANCESCO d'ASSISI, S. FILIPPO NERI ) a quelli laici (CHARLOT, TOTÒ,
BENIGNI, JIM CARREY...), da C. PORTA a G. BELLI,
da GIUSTI a TRILUSSA, da ALTAN a
FORATTINI e via via fino ai comici che calcano i palcoscenici dei nostri teatri
o i set dei vari film. Questa è gente che va ringraziata non fosse altro perché
aiuta a cancellare un giorno di tristezza dalla nostra memoria, regalandoci
qualche momento di sano ottimismo.
Nella stessa psicologia c'è la risoterapia, quel
pensare e agire cioè in positivo,
ribaltando l'ottica del reale e
proponendo quella del possibile. Un'allegra risata è una fonte di liberazione,
di rimescolamento di carte in un ordine mentale spesso imposto da altri, di
ricerca intelligente di nuovi spazi nei
quali collocare persone e sentimenti. Insomma è un atto creativo, un pezzetto
d'arte sbriciolata in parole o in segni mimici, un volo leggero dalla palude
dell'omologante conformismo.
Ma
che cos'è il sorriso? Diciamo subito che non è scomposta rozzezza né volgare
offesa mirante a colpire il prossimo ignaro: il "modus in rebus" non si coniuga
bene col daltonismo del ferire. Né il sorriso è deridere o irridere prescindendo dai fatti e ancorandosi alle
intenzioni: non si può giocare cioè sul non visto o il non sentito di persona.
Se il sorriso, allora, non è questo, esso deve risiedere dunque altrove e
questo è da situarsi al livello dell'immaginario intelligente. È qui che si
costruiscono l'ambiguità, il miscuglio sapiente di equivoci, la molteplicità
dei significati sottesi a una parola,
quel dire miscelato al non dire, la moltiplicazione di coni d'ombre e di
sprazzi di luce. Il vero sorriso dà un moto al pensiero, gli coagula attorno
aloni colorati di sensi e doppi sensi, rafforza la libertà non togliendole il
gusto del cambiare. Chi non ricorda il "ridere castigando mores" di ORAZIO ?
Esso, quindi, alla fine risulta con l'essere
un raffinato dono dello spirito.
Questa nostra società così triste ha un urgente bisogno di sorridere:
innanzitutto su se stessa e sulle sue
presunte assolute verità, poi sui megalomani troppo spesso identificati con i
salvatori della patria, sulla cultura che non sa prendersi in giro, sul vuoto
di tante roboanti affermazioni, sul carnevale di eventi fatti passare per episodi memorabili. Imparare a sorridere
poi sulle proprie angosciose ansie, sulle paure indotte da terzi, sui proclami
di chi grida di più: il sorriso é un ottimo solvente di molte vischiose
densità, una medicina che, se non ha un effetto placebo, certamente produce più
benessere di mille seriose terapie.
Se gli uomini sapessero sorridere di più e meglio
(d'altronde la storia non è spesso un circo con molteplici clown saltellanti
sulla scena ?), forse ci sarebbero meno infelici e soprattutto si vivrebbe più
a lungo senza inutili e premature morti
non poche volte frutto dei miti moderni dell'efficienza e dello stress.
Dio
è sorriso e gioiosa luminosità e il
sorriso è figlio di Dio. Si lasci, dunque, cadere la maschera di ciò che non si è , come a dire si elimini
il diaframma che impedisce a ciascuno
di guardare in faccia il cielo, il
mare, i fiori, un campo di girasoli, gli occhi e il cuore dei propri simili.
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