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La critica psicosociologica alla società: Herbert Marcuse PDF Stampa E-mail
Parlare di Marcuse e di contesta­zione, in questi tempi di facile imi­tazione, può sembrare fin troppo di moda.
Ci chiediamo: chi è Mar­cuse e qual'è la relazione che pas­sa tra lui e i giovani?
Herbert Marcuse è nato a Ber­lino nel 1898 e vive negli Stati Uni­ti dal 1934. Per molti anni ha in­segnato Scienze Politiche alla Brandeis University e attualmente è Professore all'Università di S. Die­go in California.
La sua filosofia politica si ispira a Hegel e a Marx, ma soprattutto a Freud, del quale accetta il prin­cipio che la società livellata è fonte di repressione di. ciò che di più grande l'uomo porta con se: la li­bertà interiore.
Le sue opere più note al pubbli­co italiano sono: "Eros e civiltà", "L'uomo a una dimensione" e "La fine dell'utopia", il resoconto di un dibattito con gli studenti della Li­bera Università di Berlino Ovest.
Da quale constatazione parte l'ana­lisi critica, che Marcuse lancia alla società moderna? Secondo il suo modo di vedere le cose, egli crede di individuarla nella forte e diffu­sa esigenza d'un superamento del­la civiltà (?), prodotta dalla tecno­logia e dal consumismo. E' risa­puto, perché cosa di tutti i giorni, che l'uomo è livellato alla stregua di un pezzo dì macchina, la produ­zione economica massifica tutto, anche i sentimenti più delicati come l'amore e gli ideali. Si permette, con tanta disinvoltura e direi anche con tanta freddezza disumana, che il delitto diventi costume, che la violenza diventi legge, che al bam­bino e al giovane non si dica più una parola di affetto e non si offra più un discorso sincero. Qualcosa deve cambiare nel pensiero e nella azione degli uomini: è una neces­sità, che erompe forte dalla dina­mica dei tempi e delle coscienze.
E' qui che si innesta il discorso di Marcuse. Egli accusa aspramen­te la società industrializzata di aver tradito l'uomo, inibendolo in­spiegabilmente e togliendogli il gu­sto della vita e della piena libertà.
La società del futuro dovrà elimi­nare queste inibizioni e dovrà ri­dare all'uomo quello di cui è sta­to defraudato, il suo volto, la sua inconfondibile e libera personalità. Non si tratta qui tanto del proble­ma della casa o del cibo, quanto piuttosto della ricerca di nuovi va­lori da mettere alla base della "nuo­va società". In questa il lavoro non sarà più un peso o una condanna, ma un piacere: l'uomo in esso e non fuori di esso dovrà ritrovare la fonte della propria felicità. Per­ché ciò si possa attuare, è necessa­rio che le strutture della società siano schiettamente democratiche. Tutti dovranno partecipare attiva­mente alla costruzione e alla crea­zione della nuova vita. Naturalmen­te, per giungere a questo, bisogna romperla definitivamente con il presente: di qui la contestazione globale. Marcuse crede di indivi­duare le forze propulsive di questa rottura negli intellettuali e negli studenti, non tanto nella classe ope­raia, perché già integrata nel siste­ma sociale presente.
A Marcuse fa eco la gioventù di oggi: credo che sia parallela que­sta voce e non subordinata l'una all'altra. La gioventù accusa una insoddisfazione sempre crescente. In giro c'è tanta ipocrisia, tanta incoerenza tra pensiero e azione, per cui tutto sembra relativizzato: molti ideali, quali l'amore, la fa­miglia, la cultura,... sono messi in crisi da un disumano quanto avvi­lente pragmatismo. E' contro tutto ciò che la gioventù, pur partendo dalla proposta concreta delle ri­forme scolastiche, inalbera un idea­lismo, che oserei definire totalita­rio. E' vero che le sue manifesta­zioni sono varie e molteplici, in al­cuni casi anche violente: si tratta piuttosto di una esasperazione che di una vera e propria degenerazio­ne. La contestazione giovanile, esplosa violentemente in questi ulti­mi mesi dopo il pacifismo dei Beats o degli Hippies, vorrebbe tendere, nella sua dinamica interna, a darci un nuovo uomo. Per la verità è an­cora imprecisato quello che effetti­vamente sì desidera; ma crediamo di leggerne alcune linee in queste affermazioni: sì desidera un mon­do, nel quale ci sia la libertà dalla oppressione di ogni genere, ci sia una profonda uguaglianza nei dirit­ti e nei doveri e ciò in un regime di vita organizzato su scala demo­cratica; ci sia soprattutto una gran­de spontaneità nelle manifestazio­ni della propria personalità.
E' questo il mondo, che la gio­ventù desidera: questo è il positivo presente nella contestazione. Solo che essa dovrebbe essere meno a-narcoide, ma più costruttiva nelle proposte e più creativa di una sana realtà e ciò nel rispetto armonioso di tutti.

  (Questo articolo risale al marzo 1969)

 

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