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Il linguaggio del vuoto PDF Stampa E-mail
Indice articolo
Il linguaggio del vuoto
1. Complessità del processo conoscitivo
2. L’intelligenza creativo-intuitiva
3. L’informazione
4. Il vuoto e il suo linguaggio
5. Applicazioni concrete
6. Limiti dell’intelligenza creativo-intuitiva
Alcune osservazioni conclusive provvisorie
Bibliografia

Lo studio e la ricerca sulla natura e interazione nei fenomeni psi hanno bisogno di essere pianificati e condotti avanti sempre con grande rigore scientifico in modo da poterli prima ben individuare e poi distinguere da quelli presunti tali o da altri analoghi, ma di diverso significato e che potrebbero avere ben altra origine. In questo particolare settore la prudenza non è mai di troppo!

Nel campo della conoscenza la scienza ha le sue regole (ripetibilità, sperimentabilità, ecc.), ma anche i suoi margini difficilmente valicabili e questi possono essere superabili, ma sempre con grande fatica, con l'autoselettività. Quindi niente può o dovrebbe essere mai assolutizzato, come unica e totale espressione della verità, ma tutto andrebbe sempre relazionato alla complessità dei problemi, che, come tali, in teoria potrebbero prestarsi a una pluralità di letture e di interpretazioni. Tutto sta a scegliere, con mente sgombra da pregiudiziali sempre da dimostrare, quella più congrua, credibile e affidabile ai fini di avere una risposta, sia pure parziale ma almeno certa, alle tante domande poste dalle cose.

Il panorama conoscitivo prospettato dalla stessa scienza (fisica, matematica, biologia, biopsicocibernetica...) in questi ultimi tempi sta offrendo molteplici e fecondi stimoli e, sotto certi aspetti, si sta avvicinando e in qualche maniera interpellando anche i campi della filosofia e della teologia, non poche volte emarginate tout-court e sbrigativamente dall'ambito di un dibattito scientifico. Questo fa intendere che non esiste un' unica forma o modalità di approccio alla conoscenza, ma che il pensiero e il pensare sono multidimensionali e pluridirezionali e che la stessa realtà può essere considerata, visionata e sezionata sotto angolature non solo diverse ma, quando è il caso, talora anche opposte.

Da ciò deriva il necessario carattere di interdisciplinarietà che dovrebbe caratterizzare sempre ogni vera e seria ricerca scientifica. Il prof. Enrico Marabini ha ben sottolineato questa urgenza nel suo recente lavoro "La Biopsicocibernetica", che si presenta come una saggia e acuta impostazione metodologica che io condivido in pieno.

Ogni processo di avvicinamento alla verità dovrebbe, dunque, sempre assumere la connotazione della unitarietà, che di per sé è già insita nelle stesse cose: nessuno può mettere in dubbio o prescindere dallo stretto rapporto dialettico esistente e operante fra le varie espressioni del reale. Niente si spiega con sé e da sé (K. Gödel), neanche gli stessi assiomi matematici, fra i quali le interconnessioni sono così forti che l'una richiama inevitabilmente l'altra.

Una parziale contaminazione fra i diversi linguaggi e saperi, oltre che un dato di fatto, è una esigenza richiesta dalla stessa conoscenza tanto da far pensare che in fondo è come se ci si trovasse dinanzi a un medesimo oggetto, che, a seconda delle circostanze e della sua dinamica interattiva, può connotarsi sotto varie sfaccettature, ma conservando pur sempre la propria identità. Questa, forse, sarà di natura psichico-spirituale, se, secondo alcuni paradossi della meccanica quantistica, anche gli elettroni, un tempo facenti parte dello stesso nucleo, possono in qualche modo comunicare a distanza fra di loro, assumendo così la primitiva posizione (spin)? Molte osservazioni indurrebbero a questa conclusione (H. E. Charon), supportata, peraltro, dalla constatazione che ogni particella si presenta anche sotto forma di onda vibratoria, e quindi di energia e, perché no, di pensiero.

Fra materia e psichismo c'è uno scambio di reciproca impregnazione (l' "interfaccia", secondo E. Marabini), come a dire che l'una è specchio o epifenomeno dell'altro e viceversa. D'altronde l'essere esiste perché c'è qualcuno che ne indaga esistenza e natura: altrimenti è come se non ci fosse, perché non pensato. Ovviamente non è il pensiero che idealisticamente va a creare l'essere, ma senza il primo quest'ultimo non avrebbe senso, perché sarebbe materia morta.

Da qui deriva il grande potenziale conoscitivo racchiuso nell'intelligenza, sopratutto se si va a considerare la pluralità delle sue manifestazioni, ciascuna delle quali è attivata a seconda della richiesta proveniente dalla peculiare natura degli argomenti sui quali investigare, e questi sono veramente tanti!

Il processo intellettivo, però, come si è detto, si presenta anche denotato e non rare volte quasi messo in difficoltà dai suoi confini, che non sono pochi, se la principale fonte alla quale attinge informazioni è costituita dai sensi e da ciò che, a partire da questi, viene poi elaborato ai livelli superiori (percezione, astrazione). Il risultato, dunque, qualunque esso sia, sarà da ritenere sempre un approdo provvisorio e mai definitivo del conoscere.

Non tutto il reale, perciò, è conosciuto o sarà sempre conoscibile: c'è ancora tanto innanzitutto da "vedere" e poi da indagare e studiare. Basterebbe pensare soltanto all'immenso universo, del quale si sa ben poco se non una minuscola parte (seppure!), e, più vicini a noi, al "mistero uomo", sul quale, nonostante i molti progressi compiuti dalle neuroscienze, dalle tecniche diagnostiche (TAC, PET,...) e dalla stessa psicologia, sostanzialmente ancora si balbetta. Diceva Einstein: "Non tutto ciò che conta può essere contato e non tutto ciò che può essere contato conta". A questo proposito lo scrittore Marcel Proust faceva notare: "Il vero viaggio della conoscenza non è quello di scoprire nuove cose, ma quello di avere nuovi occhi". È la "curiosità", come sosteneva Aristotele, ad aprire e porre in moto la mente!

Alla base di tutto, quindi, dovrebbe sempre esserci l'atteggiamento interiore dell'umiltà, della serietà e dell'ascolto degli eventi che talora hanno un loro specifico linguaggio per farsi da noi intendere: solo così un giorno si potrà attingere un frammento di bellezza che circola nell'universo, ma che si rende spesso inaccessibile a quegli occhi attraversati dalla banalità, dalla fretta di concludere e dalla superficialità con la quale si liquidano tante domande.

Se "si è" si vede, se "non si è" si vaga e si vagherà, purtroppo, sempre nella nebbia, come a dire si rimane prigionieri dell' "ignoranza dotta". La conoscenza non può identificarsi né con un cumulo di dubbi continui senza un tentativo di trovare a essi una soluzione né con un cimitero di sole e nude ipotesi, magari costruite anche con eleganza!

Per concludere: il silenzio di una mente, quando non trova una terra amica (disponibilità e apertura), cioè un luogo fertile di conoscenza, rischia con il trasformarsi in un qualcosa di cupo, di buio e di fallimentare.

E questo, per dare un "senso al vivere", è augurabile che mai accada.



 

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