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Lo studio e la ricerca sulla natura
e interazione nei fenomeni psi hanno
bisogno di essere pianificati e condotti avanti sempre con grande rigore scientifico
in modo da poterli prima ben individuare e poi distinguere da quelli presunti
tali o da altri analoghi, ma di diverso significato e che potrebbero avere ben
altra origine. In questo particolare settore la prudenza non è mai di troppo!
Nel campo della conoscenza la scienza ha le
sue regole (ripetibilità, sperimentabilità, ecc.), ma anche i suoi margini
difficilmente valicabili e questi possono essere superabili, ma sempre con
grande fatica, con l'autoselettività. Quindi niente può o dovrebbe essere mai assolutizzato, come unica e totale
espressione della verità, ma tutto andrebbe sempre relazionato alla complessità
dei problemi, che, come tali, in teoria potrebbero prestarsi a una pluralità di
letture e di interpretazioni. Tutto sta a scegliere, con mente sgombra da
pregiudiziali sempre da dimostrare, quella più congrua, credibile e affidabile
ai fini di avere una risposta, sia pure parziale ma almeno certa, alle tante
domande poste dalle cose.
Il
panorama conoscitivo prospettato dalla
stessa scienza (fisica, matematica, biologia, biopsicocibernetica...) in questi
ultimi tempi sta offrendo molteplici e fecondi stimoli e, sotto certi
aspetti, si sta avvicinando e in qualche
maniera interpellando anche i campi della filosofia e della teologia, non poche
volte emarginate tout-court e sbrigativamente dall'ambito di un dibattito
scientifico. Questo fa intendere che non esiste un' unica forma o modalità di
approccio alla conoscenza, ma che il pensiero e il pensare sono multidimensionali e pluridirezionali e che la stessa realtà può
essere considerata, visionata e sezionata sotto angolature non solo diverse ma,
quando è il caso, talora anche opposte.
Da ciò deriva il necessario carattere di
interdisciplinarietà che dovrebbe caratterizzare sempre ogni vera e seria
ricerca scientifica. Il prof. Enrico Marabini ha ben sottolineato questa urgenza nel suo
recente lavoro "La Biopsicocibernetica", che si presenta come una saggia e
acuta impostazione metodologica che io condivido in pieno.
Ogni
processo di avvicinamento alla verità dovrebbe, dunque, sempre assumere la
connotazione della unitarietà, che di per sé è già insita nelle stesse cose:
nessuno può mettere in dubbio o prescindere dallo stretto rapporto dialettico
esistente e operante fra le varie espressioni del reale. Niente si spiega con
sé e da sé (K. Gödel), neanche gli stessi assiomi matematici, fra i quali le
interconnessioni sono così forti che l'una richiama inevitabilmente l'altra.
Una parziale contaminazione fra i
diversi linguaggi e saperi, oltre che un dato di fatto, è una esigenza
richiesta dalla stessa conoscenza tanto da far pensare che in fondo è come se
ci si trovasse dinanzi a un medesimo oggetto, che, a seconda delle circostanze
e della sua dinamica interattiva, può connotarsi sotto varie sfaccettature, ma
conservando pur sempre la propria identità. Questa, forse, sarà di natura psichico-spirituale, se,
secondo alcuni paradossi della meccanica quantistica, anche gli elettroni, un
tempo facenti parte dello stesso nucleo, possono in qualche modo comunicare a
distanza fra di loro, assumendo così la primitiva posizione (spin)? Molte
osservazioni indurrebbero a questa conclusione (H. E. Charon),
supportata, peraltro, dalla constatazione che ogni particella si presenta anche
sotto forma di onda vibratoria, e quindi di energia e, perché no, di pensiero.
Fra materia e psichismo c'è uno scambio
di reciproca impregnazione (l' "interfaccia", secondo E. Marabini), come
a dire che l'una è specchio o epifenomeno dell'altro e viceversa. D'altronde
l'essere esiste perché c'è qualcuno che ne indaga esistenza e natura:
altrimenti è come se non ci fosse, perché non pensato. Ovviamente non è il
pensiero che idealisticamente va a creare l'essere, ma senza il primo
quest'ultimo non avrebbe senso, perché sarebbe materia morta.
Da qui deriva il grande potenziale
conoscitivo racchiuso nell'intelligenza, sopratutto se si va a considerare la
pluralità delle sue manifestazioni, ciascuna delle quali è attivata a seconda
della richiesta proveniente dalla peculiare natura degli argomenti sui quali
investigare, e questi sono veramente tanti!
Il
processo intellettivo, però, come si è detto, si presenta anche denotato e non rare volte quasi messo
in difficoltà dai suoi confini, che non sono pochi, se la principale fonte alla quale attinge
informazioni è costituita dai sensi e da ciò che, a partire da questi, viene
poi elaborato ai livelli superiori (percezione, astrazione). Il risultato,
dunque, qualunque esso sia, sarà da
ritenere sempre un approdo provvisorio e mai definitivo del conoscere.
Non tutto il reale, perciò, è conosciuto
o sarà sempre conoscibile: c'è ancora tanto innanzitutto da "vedere" e poi da
indagare e studiare. Basterebbe pensare soltanto all'immenso universo, del
quale si sa ben poco se non una minuscola parte (seppure!), e, più vicini a
noi, al "mistero uomo", sul quale, nonostante i molti progressi compiuti dalle
neuroscienze, dalle tecniche diagnostiche (TAC, PET,...) e dalla stessa
psicologia, sostanzialmente ancora si
balbetta. Diceva Einstein: "Non tutto ciò che conta può essere
contato e non tutto ciò che può essere contato conta". A questo proposito
lo scrittore Marcel Proust faceva notare: "Il vero viaggio della
conoscenza non è quello di scoprire nuove cose, ma quello di avere nuovi occhi".
È la "curiosità", come sosteneva Aristotele,
ad aprire e porre in moto la mente!
Alla base di tutto, quindi, dovrebbe
sempre esserci l'atteggiamento interiore dell'umiltà, della serietà e
dell'ascolto degli eventi che talora hanno un loro specifico linguaggio per
farsi da noi intendere: solo così un giorno si potrà attingere un frammento di
bellezza che circola nell'universo, ma che si rende spesso inaccessibile a
quegli occhi attraversati dalla banalità, dalla fretta di concludere e dalla
superficialità con la quale si liquidano tante domande.
Se "si è" si vede, se "non si è" si vaga
e si vagherà, purtroppo, sempre nella
nebbia, come a dire si rimane prigionieri dell'
"ignoranza dotta". La conoscenza non può identificarsi né con un cumulo
di dubbi continui senza un tentativo di trovare a essi una soluzione né con un
cimitero di sole e nude ipotesi, magari
costruite anche con eleganza!
Per concludere: il silenzio di una
mente, quando non trova una terra amica (disponibilità e apertura), cioè un
luogo fertile di conoscenza, rischia con il trasformarsi in un qualcosa di
cupo, di buio e di fallimentare.
E questo, per dare un
"senso al vivere", è augurabile che mai
accada.
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