Dall'Epistolario di P. Pio: misticismo e fenomeni equivalenti |
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Di P. Pio si è detto e scritto
molto, anche se talora non sempre a proposito. Dal suo copioso Epistolario, pubblicato nella terza e
quarta edizione nel 2002 a cura di P.
Gerardo Di Flumeri (Ed. "Padre Pio da
Pietrelcina", San Giovanni Rotondo), emergono il "vero" P. Pio, la sua
profonda spiritualità, il suo contatto interiore con l'Eterno, insomma il suo
autentico misticismo con tutti i fenomeni a esso connessi.
Procediamo con ordine.
L'Epistolario si compone di
quattro volumi ed è così suddiviso: I (corrispondenza con i Direttori
Spirituali: 1910-1922), II (corrispondenza con la N.D. Raffaelina Cerase:
1914-1915), III (corrispondenza con le figlie spirituali: 1915-1923), IV
(corrispondenza con diverse categorie di persone).
Nel suo insieme esso costituisce
una miniera di informazioni e ciò che conta di più è che a parlare è lo stesso
protagonista, cioè P. Pio. Quello che viene fuori è il racconto schietto,
diretto e obiettivo di una particolarissima esperienza di vita fatta di ricerca
del silenzio, di ascolto, di attenta meditazione sulla Parola di Dio, di
conseguente immersione nell'oceano del Suo Amore.
È da questi presupposti che nasce
l'ascesi mistica di P. Pio, che, si badi bene, mai si discostò dalla
concretezza del fluire della quotidianità, della sofferenza da lenire, della
coscienza da aiutare a essere sempre più limpida, della piena consapevolezza
che il Trascendente è presente nella realtà del vivere non solo all'interno
delle persone ma anche della stessa natura. Il misticismo di P. Pio non è
caratterizzato da rapimenti estatici, da levitazioni o da assenza dal contesto,
ma si nutre di pura contemplazione del Mistero e dei suoi messaggi. P. Pio
aveva ben capito il valore dell'esistere e la conseguente necessità di
valorizzare al meglio le sue potenzialità. Amava certamente il tempo, ma "in
funzione di" un Qualcosa d'Altro: era quest'ultimo che ne illuminava la
preziosità e gli conferiva un senso.
Sin dall'infanzia, la Sua mente
era totalmente assorbita dal chiarore di Dio e aveva ben compreso che altre
distrazioni non potevano e non dovevano interferire nella dinamica dei suoi
pensieri di fondo: non a caso la celebrazione della S. Messa, il suo modo di
essere raccolto nel silenzio della preghiera, la recita ininterrotta del
rosario erano all'esterno la viva testimonianza del suo essere continuamente in
aderenza al Divino. Anche le sue realizzazioni (ospedale, scuole di formazione
professionale, ecc.) erano orientate al servizio del Mistero presente in quelli
che Egli considerava "fratelli e figli". Un misticismo, dunque, fatto di
impegno, di servizio e di amore verso il
prossimo, soprattutto verso quello più debole e bisognoso sia nello spirito (intere giornate trascorse
al confessionale) che nel corpo. Se di P. Pio si può parlare di misticismo,
questo, allora, va inteso nella sua accezione più completa: contemplazione e
azione. Alla base di tutto c'è l'unione costante e serena con il
Soprannaturale.
Tutto ciò si evidenzia chiaramente
dalla lettura dell'Epistolario.
Riporto di seguito solo qualche brano significativo:
"Con questa persuasione fissa nella tua mente tu: 1. non ti compiacerai
mai di te stessa; 2. non ti lamenterai
mai delle offese; 3. scuserai tutti; 4. gemerai sempre come povera dinanzi a
Dio; 5. non ti meraviglierai mai affatto delle tue debolezze, ma piena di santo
rossore e di completa confidenza abbandonerai il tuo cuore sul petto del divin
Maestro come un fanciullo tra le braccia materne; 6. non ti esalterai punto nelle
virtù, ripetendo il tutto da Dio ed a Dio" (Lettera a A. Vona del 15 novembre 1917 : III, p. 843);
"L'umiltà e la carità sono le corde maestre di tutto il grande
edificio, e tutte l'altre sono dipendenti da esse...Queste sono le madri delle
virtù" (Lettera a P. Benedetto del 29 aprile 1919 : I, p.. 1139);
"La caligine (notte dello spirito) è indizio della vicinanza a Dio" (Lettera a P. Benedetto del 17
agosto 1916: I, p.802);
"Nel mondo tutto mi annoia e mi pesa, niente desidero, fuorché amare e
servire"(Lettera a P. Benedetto del 4 settembre 1910: I, p. 197);
"Ho tutto il diritto di patteggiare con Gesù, anche all'insaputa
vostra"(Lettera a P. Agostino del 27 settembre 1918: I, p. 825).
Il culmine della unione mistica
viene raggiunto da P. Pio con l'esperienza della "transverberazione". A tale
proposito Egli racconta:
"Era la mattina del 20 dello scorso mese (settembre 1918) in coro, dopo
la celebrazione della santa messa, allorché venni sorpreso dal riposo, simile
ad un dolce sonno. Tutti i sensi interni ed esterni, non che le stesse facoltà
dell'anima si trovarono in una quiete indescrivibile. In tutto questo vi fu
totale silenzio intorno a me e dentro di me; vi subentrò subito una gran pace
ed abbandono alla completa privazione del tutto e una posa nella stessa rovina. Tutto questo
avvenne in un baleno. E mentre tutto questo si andava operando, mi vidi dinanzi
un misterioso personaggio, simile a quello visto la sera del 5 agosto, che
differenziava in questo solamente che aveva le mani e i piedi ed il costato che
grondava sangue. laq sua vista mi atterrisce. ciò che sentivo in quell'istante
in me non saprei dirvelo. ..La vista del personaggio si ritira ed io mi avvidi
che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue. Immaginate lo
strazio che esperimentai allora e che vado esperimentando continuamente quasi
tutti i giorni. La ferita del cuore gitta assiduamente del sangue, specie dal
giovedì a sera sino al sabato...Padre mio,...temo di morire dissanguato, se il
Signore non ascolta i gemiti del mio povero cuore e col ritirare da me questa
operazione....Il personaggio segue la sua operazione senza posa, con superlativo
strazio dell'anima. Io sento nell'interno un continuo rumoreggiare, simile ad
una cascata, che gitta sempre sangue." (Lettera a P. Benedetto del 22
ottobre 1918: I, p. 1093-1095).
Parole immediate queste ultime,
ma anche straordinariamente drammatiche
nella loro lucida autocriticità!
Gli altri mistici (S. Giovanni
della Croce, S. Teresa d'Avila, S. Giuseppe da Copertino, Teresa Neumann,
Natuzza Evolo, ...), nella storia, hanno conosciuto e vissuto tanti fenomeni,
anche se non tutti sempre compresenti: levitazione, lettura del pensiero,
bilocazione, xenoglossia, dialoghi diretti con l'Aldilà, visioni, ecc. Per P.
Pio questa serie di fenomeni si è resa fortemente visibile e percepibile nella
sua complessità e completezza, non ultima quella delle stigmate. Tanti e ben
noti sono i fatti che a questo proposito si raccontano. "Leggeva" così
acutamente nelle coscienze da suscitare talvolta anche reazioni di timore per
"essere stati scoperti". Il suo sguardo penetrante e la sua mente assorta,
certamente grazie a una particolare illuminazione divina, si proiettavano anche
nel futuro della vita delle persone: prevedeva eventi, guarigioni e altre cose
che dal popolo venivano attribuite a Lui, ma che Egli ripeteva sempre non
essere merito suo ma di Colui che era sopra di Lui a guidarlo nelle sue azioni.
Sul suo corpo sperimentò frequenti ipertermie (febbre a 50°), gli era sufficiente uno scarso nutrimento per
vivere, per cinquanta anni le sue piaghe sanguinarono senza che ne morisse
dissanguato.
P. Pio, in questa fenomenologia,
non può essere assimilato a ciò che accade nei comuni sensitivi. In questi
ultimi agiscono perlopiù elementi interattivi umani facilmente interpretabili,
qualche indubbia capacità precognitiva e talora, purtroppo, anche il trucco con
il relativo tornaconto personale. In P. Pio, invece, esiste una incessante
"rivelazione" dall'Alto che attraversa l'intera sua vita con la conseguente
coerenza di quest'ultima a un dovere di trasparenza voluta dal divino. I
fenomeni mistici di P. Pio, dunque, non sono dovuti tanto alla sua particolare
personalità, peraltro semplice, equilibrata e schiva, ma alla presenza nella
sua vita della operatività del Grande Mistero, che, grazie alla docilità e
unione intima con esso, agisce
producendo "nella" e "tramite" la sua persona fatti razionalmente inspiegabili.
P. Pio è un esemplare quasi unico nella storia della mistica e, per nostra
fortuna, a noi contemporaneo.
Accenno ora a qualche brano in
merito tratto dall'Epistolario:
"I fenomeni straordinari di visioni, rivelazioni, locuzioni, brame
ardenti dell'amore ed altro non sono né possono essere allucinazioni o
illusioni. Perciò torno ad assicurarvi che è la grazia l'autrice di quanto vi
avviene di bello e di sovrumano" (Lettera di P. Benedetto a P. Pio del 2
agosto 1911: I, p. 402);
"Mi sforzo innanzi di mettermi a pregare di raccomandare, per
esempio, la tale e tal'altra persona, ma
sì tosto, mio Dio, che entro in orazione, la mia mente resta in un vuoto
perfetto e nessuna traccia più o meno si trova di ciò che pur avevo tanto a
cuore. Altre volte invece mi sento mosso, stando in orazione, a pregare in pro
di chi mai ebbi intenzione di pregare, e, quello, che è più meraviglioso, alle
volte in pro di chi mai conobbi, né vidi, né udii e né mai mi si raccomandò
nemmeno a mezzo di altri" (Lettera a P. Benedetto del 20 dicembre 1911: I,
p. 443);
"A me mi accade, da molto tempo addietro, che quando viene Gesù, quelle
cose che tanto a me stanno a cuore di dimandargli se ne sfuggono e solo ricordo
quello che Gesù vuole che ricordo" (Lettera a P. Benede3tto del 21 aprile
1915: I, p. 590);
"Sento il cuore e le viscere tutte assorbite da fiamme di un grandissimo
fuoco che si vanno sempre ingagliardendo...Eppure chi vi crederebbe?" (Lettera
a del 30 gennaio 1911);
"Oh quanto fu soave il colloquio
tenuto col paradiso in questa mattina" (Lettera
a P. Agostino del 18 aprile 1912: I, p. 271-274);
"Sentite poi cosa mi accadde venerdì scorso, 23 agosto 1912. Me ne
stavo in chiesa a farmene il rendimento di grazie per la messa, quando tutto ad
un tratto mi sentii ferire da un dardo di fuoco sì vivo e sì ardente che
credetti morirne" (Lettera a P. Agostino del 26 agosto 1912: I, p. 299
ss.);
"Io in me veggo del mistero"(Lettera a P. Benedetto del 2 settembre 1911: I, p. 231)
"Sono un mistero a me stesso" (Lettera a P. Agostino del 15 agosto
1916: I, p. 800)
"Giorni fa mi è accaduto un fatto insolito: mentre ero in coro con fra
Anastasio, erano circa le 23, mi trovai
lontano in una casa signorile dove il padre moriva, mentre una bimba nasceva.
Mi apparve allora Maria Santissima che mi disse: "Affido a te questa creatura.
È una pietra preziosa allo stato grezzo: lavorala, levigala, rendila il più
lucente possibile, perché un giorno voglio adornarmene. Non dubitare, sarà lei
che verrà da te, ma prima la incontrerai in S. Pietro." Dopo di ciò mi son
trovato nuovamente in coro" (Bigliettmo-documento pubblicato nel 1978: IV, p. 1029);
"Non ho motivo di dubitare che
sia il Signore quello che in me opera" (Lettera
a P. Agostino del 24 ottobre 1913: I, p. 418).
Come si può facilmente notare,
Ragione e Teologia qui si fondono in una magnifica sintesi, che lascia emozioni
e mente sempre profondamente interdette e stupite dinanzi a ciò che il Trascendente può compiere nella
storia umana, quando ci si abbandona totalmente fra le sue braccia. Come con P.
Pio, potenzialmente, ma a questa condizione, una simile "eccezionalità" può accadere anche nella vita
di tutti!
(Da Il Giornale dei Misteri, novembre 2011)
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