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Teorico. È quello formulato e sostenuto da
alcuni filosofi e umanisti (Th. Hobbes, L. Feuerbach, F. Nietzsche, A.
Schopenhauer, K. Marx, A. Comte, S. Freud, J. P. Sartre, positivismo scientifico
e logico, ecc.), secondo i quali l'ammissione dell'esistenza di un Dio
(espressione infantile della evoluzione umana) limiterebbe sia il mondo che
l'uomo. Io credo che questo sia una maschera dietro la quale si nascondono,
intrecciati, vari elementi: l'orgoglio intellettuale che non sa o non vuole
accettare con umiltà la verità della condizione umana, l'affermazione della
totale e illimitata autonomia dell'uomo e quindi della liceità di tutto ciò che
egli compie, una sorta di giustificazione per difendersi magari da eventuali
esperienze negative legate a un rapporto avuto con il potere religioso, un alibi
per coprire un drammatico vuoto di riflessione perché non si vuole "conoscere"
ma "godere" solo del virtuale promesso e propinato dai media (si promette per
una Promessa!). Insomma un atto di debolezza, perché la paura verso se stessi
quasi sempre genera odio verso Chi ridona un volto. Tutti i sistemi sociali che
lungo il corso dei secoli hanno tentato di imporre alle masse questa visione del
mondo e della vita alla fine hanno dovuto registrare un completo e, spesso,
tragico fallimento. Questo è accaduto con l'esasperazione dell'umanesimo
razionalista nel XX secolo (comunismo, nazismo, ecc.) e questo potrebbe accadere
nel XXI se si lascia la gestione della specie umana solo e unicamente alla
scienza e alla tecnologia, secondo le quali non si può oltrepassare l'esperienza
sensibile. Le sorti dell'uomo stanno nel recupero dell' "etica del
discorso", della quale parla il filosofo tedesco J. Habermas, nella
rivalutazione cioè dei valori condivisi, per non ripiombare nella trappola senza
ritorno del nichilismo. Vorrei proprio sapere se nella mente di tanti pensatori
che hanno teorizzato l'ateismo alla fine non sia affiorato o non riaffiori
almeno qualche dubbio circa la pretesa assolutizzazione delle loro conclusioni.
L'eccessiva fiducia nella "sola" ragione, che lavora prevalentemente sul
visibile, quante volte non ha prodotto mostri o è costretta a infrangersi nella
constatazione che esistono anche tante altre realtà non misurabili e non
racchiudibili nell'ambito del comune parametro della sperimentabilità in un
laboratorio! Semplicemente ci sono, anche se l'intelligenza empirica non riesce
ad afferrarle nella loro intima natura, perché sfuggenti e non traducibili in
parole umane ben definite. Al di sopra dei pensieri c'è sempre l'immaginazione e
su quest'ultima vi è il regno della ricchezza del silenzio, bisognoso anch'esso
di una sua attenta lettura!
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