È la ricorrente domanda che l'uomo
da sempre si è posto e si pone. Dagli antichi filosofi greci, passando per i
Padri della Chiesa (specialmente S. Agostino) e i fondatori della varie
religioni, fino ai nostri giorni questo interrogativo ha attraversato e
attraversa ogni mente e ogni coscienza. L'esperienza quotidiana insegna che si è
ben consapevoli della propria libertà, anche se ferita, come anche si è ben
consci che ci sono fatti che improvvisamente accadono, come per caso, senza
averli né cercati né predeterminati ma, spesso si ripete, come decisi da un
enigmatico "destino", visto quale forza cieca che dispensa premi e dolori in
maniera incontrollata e incontrollabile. A questo punto c'è da chiedersi: come
stanno veramente le cose e cosa dicono le "voci" su questo
argomento?
Dare una risposta esauriente a un simile quesito è un'impresa
oltremodo ardua e difficile e comunque solo appena abbozzabile. Ci provo, ben
sapendo dei limiti insiti nella nostra ragione, come peraltro del grande abisso
che si va a tentare di sondare, con strumenti conoscitivi a disposizione per
giunta molto modesti. Che l'uomo, sotto certi aspetti, sia il risultato di un
insieme di condizionamenti interni ed esterni, questo è fuori discussione, come
d'altronde è fuori dubbio che ciascuno è responsabile delle proprie azioni,
altrimenti non si giustificherebbero né il merito né la colpa e né la pena. La
libertà umana risiede in un progetto di cui ciascuno è individualmente
depositario. Tutto sta a saperlo ben riconoscere e ad attuarlo con pazienza e
costante lucidità. Ciò implica che ognuno sia sempre "presente" a se stesso,
attento a ciò che fa, vigile nell'imparare a selezionare e scegliere i mezzi più
idonei per raggiungere lo scopo prefissato. Potranno intervenire delle
interferenze esterne o dei blocchi psicologici interni a rallentarne la
realizzazione, ma se ci si muove con accorta intelligenza ogni ostacolo, in
teoria, potrebbe essere rimosso. Il nucleo centrale della libertà si situa,
allora, proprio in questa capacità di rielaborare i vissuti sperimentati ogni
giorno e indirizzarli poi sulla via prescelta in base alla validità delle
valutazioni fatte. Molto dipende dalla natura di queste ultime, che possono
essere di vario genere (morali, di potere, di opportunismo, egoistiche,
altruistiche, ecc) e da ciò dipende la qualità nell'uso della propria libertà.
.Anche di fronte a forti pressioni esterne si può essere autonomi, e quindi
liberi: non si spiegherebbero diversamente il dissenso e il coraggio di fronte
alla sua repressione, la creazione artistica, gli atti di eroismo, il martirio,
la resistenza all'oppressione, il carcere per motivi ideologici o politici, la
sopportazione anche delle torture più atroci, talora la stessa morte (momento
supremo e maggiore espressione dell'esercizio del proprio libero arbitrio).
Naturalmente più la libera scelta si afferma e si affranca dalla omologazione,
dalla dipendenza nei confronti della cultura dominante, dal conformismo, insomma
della logica della moda e del gregge, maggiore è il prezzo che si è costretti a
pagare, non ultimo quello dell'isolamento o dell'emarginazione. Non tutti, però,
sono disposti ad accettare un tale costo: ma proprio qui viene a configurarsi il
valore di una persona, la cui esistenza è ben evidenziata dalla grande come
dalla piccola storia di ognuno.
Sulla libertà umana e sui limiti
dell'umana razionalità le "voci" sono molto esplicite. Spesso ripetono che
esistono tanti "sciocchi" che fanno un poco umile e intelligente uso del
proprio libero arbitrio, al punto che uno dei maggiori "peccati", secondo loro,
è proprio la "superbia", come i valori principali per i quali vivere sono
"la verità e la carità" e relativamente al giudizio universale
puntualizzano che esso "ci sarà". Tutto ciò è reso possibile e
comprensibile solo se si è pienamente "liberi" di scegliere il bene, come,
purtroppo, anche il male. Del resto alla mia domanda se nell'Aldilà l'attività
creativa continua le "voci" rispondono: "È vero". E la creatività è la
massima esplicitazione della libertà.
Quando intervengono fatti non
voluti (incidenti, malattie, morte di innocenti...), come conciliare ciò con la
libertà? Qui entriamo nel cuore del grande "mistero del vivere". Secondo alcuni
tutto sarebbe già "segnato" e "registrato": è il famoso "Maktub" (=Sta scritto)
di cui parlano gli arabi e che, in qualche modo, venne poi ripreso da M. Lutero
in una delle sue famose tesi teologiche. Io direi piuttosto che si tratta del
"disegno" di un Dio che sta al di fuori della dimensione spazio-tempo, ma il cui
pensiero è scritto nel creato. Tale "disegno" non è contro la volontà dell'uomo,
ma l'accompagna, talora cambia se muta quest'ultima, comunque è sempre
rispettoso e diretto al bene di ciascuno. Le modalità di un simile percorso sono
spesso indecifrabili, invisibili, imperscrutabili, sfuggenti, ma reali: se si
fosse un po' più riflessivi e meno distratti forse si riuscirebbe a scoprire con
una sufficiente evidenza che ogni evento, letto con acutezza mentale, ha una sua
ragione interna per essere ben compreso. In ogni caso la "totalità" del
"disegno" sarà parzialmente riconoscibile nei suoi più intimi legami solo al
chiudersi del tempo: oggi si ragiona basandosi unicamente sulla interpretazione
degli indizi e sulla intuizione. Non a caso le "voci" sottolineano questo
aspetto quando dicono che Dio "provvede" alle necessità umane, che tutto
è avvolto dal "mistero" o quando ribadiscono che l'amore di Dio
"aiuta, segue e assiste" chi a Lui si affida con "fiducia". In un
altro momento della mia esperienza con le "voci" esse aggiungono e precisano
sinteticamente: "Io, egli, tutti, da Dio, ecco qua".
Libertà,
allora, o predestinazione? Legittima è la domanda, ma altrettanto possibile
sembra la risposta, peraltro già intravista dagli antichi latini quando
affermavano che "ciascuno è artefice del proprio destino" (Pseudo Sallustio).
Esiste la libertà, ma esiste anche un "progetto divino" concomitante e
potenziatore della stessa. Possono convivere fra di loro le due realtà? Io penso
di si, ma a condizione che si sia un po' più accorti e intelligenti: eluderle
significherebbe non sapersi assumere la propria responsabilità di analisi, di
indagine e di ricerca e, conseguentemente, di cambiamento nel personale stile di
vita. Qui, però, cade l'asino: perciò spesso si attiva il meccanismo psicologico
della negazione del problema e si invoca l'esistenza mistificante di un
fantomatico destino o di un fato baro e oscuro, cioè di una strana entità con
una sua altrettanto indefinita identità, della quale peraltro le "voci" mai
parlano. A tale proposito Einstein con sottigliezza faceva giustamente rilevare
che "Dio non gioca a dadi con l'uomo". La verità, quindi, per stare solo al buon
senso, sembra da porsi decisamente altrove, come "altrove è la vita" e
"altrove è la festa" rispondono le "voci" quando ho posto loro la domanda
se tutto termina con la morte fisica e sul loro giudizio relativo alla pratica
della visita ai cimiteri per andare a trovare i propri cari. Del grande "enigma
dell'esistere" con la loro consueta precisione le "voci" affermano che un giorno
di esso si saprà "No tutto. Di tutto sì".
La mia esperienza con la
metafonia, provato il fatto, come più volte scritto e ribadito, che il fenomeno,
checché se ne pensi, è reale, induce inevitabilmente a porsi questa serie di
domande, che incrociano la psicologia, ma soprattutto la filosofia e la
teologia, e nel contempo interrogano con incalzante urgenza anche la scienza.
Stranamente, ma non tanto, quest'ultima nelle sue manifestazioni più
problematiche sembra approdare a questo insieme di quesiti, non solo non
escludendoli dall'ambito del proprio universo conoscitivo, ma addirittura
ipotizzando che essi debbano entrare a far parte di una più accurata indagine
scientifica: basti pensare alle recenti elaborazioni della matematica
(Fantappié, Arcidiacono...), delle neuroscienze, della cosmologia e della stessa
fisica teorica (relatività, meccanica quantistica). Da questo complesso di
sollecitazioni emerge chiara la coscienza che l'uomo, e la sua realtà, non è
riconducibile o riducibile semplicisticamente alla spiegazione del "come" esso
"funziona e si muove" nello spazio-tempo (in teoria già molto, praticamente
ancora troppo poco!), ma si avverte e s'intravede anche la necessità che esiste
un "quid" che sfugge alla catalogabilità degli schemi correnti della ricerca
scientifica. La metafisica, nella sua più genuina accezione etimologica e
semantica, incautamente e sbrigativamente lasciata cadere dalla classica
finestra, rientra vigorosamente e sapientemente dalla porta principale della
conoscenza umana. Da qui la fondata e suggestiva legittimità di questo genere di
interrogativi.
(da 'Il Giornale dei Misteri')
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