Il tempo: illusione o allusione?
Commentando un brano degli "Aforismi di Züran" di Kafka  ("La vera via passa su una corda"), lo scrittore Pietro Citati afferma: "Dove esistono Dio e la verità assoluta non c'è più la parola: la verità non si riconosce" (Repubblica, 5-11-2004, p. 51). Questo pensiero, secondo il quale l'Assoluto (Dio-verità) cancella il provvisorio (la parola), attraversa da sempre il territorio delle umane domande e induce a far volgere l'attenzione al problema del tempo e al suo ultimo significato.  Generalmente nella scienza moderna esso viene oggi associato al concetto di spazio, tanto da formare ambedue un'unica oggettività (lo "spazio-tempo"): Einstein aveva bene intuito questo legame, quando faceva rilevare che dinanzi a forti campi gravitazionali lo "spazio-tempo" si curva nella sua presunta linearità.
Ma che cos'è il tempo? Comunemente esso viene definito come "la misura del divenire delle cose nello spazio" e, come tale, è sempre relativo alle modalità e condizioni conoscitive del  soggetto-osservatore e al luogo nel quale egli si trova. Sicché non sussiste tempo se è assente chi lo pensa e comunque esso si mostra come un "qualcosa" di estremamente "finito", perché enumera e denota l'evoluzione dei processi dinamici, nel loro passato-presente-futuro, di realtà appunto finite e limitate. Il tempo, essendo allora un prodotto soggettivo, come assoluto non esiste, tant'è che, stando anche alle ricerche sperimentali del noto neurofisiologo Oliver Sacks, esso può presentarsi "veloce" (forse più della stessa luce)  grazie a droghe come la mescalina e Lsd o "rallentato e inibito" mediante l'assunzione di antidepressivi come gli oppiacei e i barbiturici, cosa che, peraltro, senza far ricorso ai farmaci si può evincere anche dall'esperienza ordinaria di ogni giorno ("lento"= attesa; "rapido"= ad evento già vissuto). Il tempo è un'oscillazione magmatica, contingente, transitoria e momentanea. Scriveva Virgilio nelle Georgiche (L. 3, v. 284): "Fugit inreparabile tempus". Se fugge, nessuno lo può fermare, studiare o analizzare, perché alla fine una simile operazione si risolve con il risultare infruttuosa e illusoria, come il voler inseguire un vago sogno che si sbriciola sbiadito nel ricordo di un passaggio lungo o breve ma comunque fugace ormai divenuto solo polvere fissata nella memoria. Tutto muta e si trasforma e niente è mai come prima (Eraclito).
La dimensione spazio-tempo solitamente oggi si tende a scinderla in due elementi e ad esaltarne  principalmente quello dello spazio e ciò che in esso è contenuto, cioè soprattutto il corpo, e questo per ben ovvie ragioni, sicché il tempo, come luogo del progetto e spinta all'apertura  oltre le coordinate del visibile misurabile, sembra essere completamente assente nel quadro di una riflessione seria e responsabile. È come l'apologo nel quale si racconta dell'Onnipotente che dice a uno scienziato: "Ti farò entrare in una stanza che si chiama Spazio. Trovane la forma". È proprio questa "forma", cioè il cercare la ragione ultima delle cose, che viene a essere esorcizzata nell'indagine e nella pratica quotidiana del vivere.
Se il tempo, inteso come vita organica, allora, è un sogno (Calderón de la Barca) e un'illusione (quante volte  si ripete: "Tutto è accaduto come fosse stato ieri, eppure è già passato tanto tempo"), quindi un percorso molto  labile e fluido, esso necessariamente postula e richiama un assoluto, un non-tempo o, se si vuole, un anti-tempo che lo ingloba e lo completa, un "qualcosa" d'indefinibile, che, in termini umani, eliminando le categorie di passato e futuro, si può solo ipotizzare, balbettando, come un "eterno presente". Ogni assenza allude sempre alla presenza di un altro ordine di realtà, altrimenti la stessa nozione di "assenza" risulterebbe incomprensibile.
La precarietà, quindi, implica per contrapposizione la stabilità, come la morte la vita, la notte il giorno, il dolore la gioia e il buio la luce. Se la guerra accenna al grande bene della pace, nello stesso modo il tempo nasconde e anticipa, come un annuncio, la sua scomparsa, cioè l'eternità. E, per analogia, come esistono la stabilità, la vita, il giorno, la gioia, la luce e la pace, così deve essere per il contrario del tempo, cioè l'eterno: quest'ultimo, checché se ne voglia pensare o dire, c'è e da una mente vigile si fa  discretamente e tacitamente avvertire. Se lo si nega, è solo perché qui cade l'asino della comportamentalità umana, che diversamente sarebbe chiamata a cambiare direzione e, per comodi motivi, questo spesso si vuole che non avvenga. Ma la negazione preconcetta e autodifensiva di un effetto può mai escludere secondo logica l'esistenza della sua causa? Francamente a una intelligenza razionale questo non pare possibile né tanto meno conseguentemente accettabile.
Un'ultima considerazione: ognuno dovrebbe imparare a saper discernere, ascoltare e cogliere con più umile e lucida accortezza le parole e i silenzi del tempo personale e di quello della Storia, come quelli del tempo dell'uomo e i misteriosi disegni di quello di Dio.