L'anima del Sud
Del nostro Sud così ricco di storia quanto povero di progetti a lungo e largo respiro ne hanno parlato in tanti nel passato e nel presente (G. FORTUNATO, G. SALVEMINI, T. FIORE, L. SCIASCIA, G. BUFALINO, V. CONSOLO...). Anche chi scrive ne ha discusso molte volte, perché questa terra ci appartiene: è qui che sono le comuni radici, il cielo e l'aria contemplati e respirati nell'infanzia, gli affetti trasmessi da generazioni, le speranze con i pregi e limiti di ogni aspirazione. Potenzialmente questo Sud è attraversato da una grande umanità, da geniali inventività non sempre allevate e aiutate a svilupparsi con rispetto, da generosi impeti di altruismo come anche da ottuse chiusure fra gli angusti recinti dei personali orticelli. Il Sud ha un'anima solare e umbratile, limpida e contraddittoria, profetica e vecchia: all'antica saggezza si coniugano istinti primordiali, colorati di spontaneità facilmente leggibile  anche a livello linguistico, come nel contempo si notano contorsioni bizantine fra le quali il cammino si presenta spesso oscuro e incerto come un sentiero che si dipana fra gli sterpi di una foresta. Il "si" è quasi sempre surrettiziamente condizionato da un "ma", come il "no" difficilmente è tale, se non quando intervengono ragioni di natura emotiva.
Il nostro è un Sud ampiamente benedetto da Dio, ma non poche volte si lascia andare a un incomprensibile quanto colpevole e inutile lamento: in esso coesistono la  rozza forza dei pochi e la rassegnata debolezza dei molti, la fierezza solitaria di alcuni e la schiena prona dei più, lo sguardo lungimirante di chi a torto viene definito "visionario" e gli occhi chini a terra di chi per indole, storia e  paura è incapace di levarli in alto.
Questo Sud ha bisogno di un riscatto dignitoso, che solo il sacrificio e l'impegno di ognuno possono garantire: al facile e illecito guadagno dovrebbe far riscontro un forte supplemento di giustizia e di onestà. Niente di solido si costruisce sulle sabbie mobili della finzione o del sospetto: prima o poi l'edificio è destinato a cadere e anche miseramente. La secolare fame di benessere e di progresso non può prescindere, perché possa essere adeguatamente soddisfatta, da un'assunzione di civile responsabilità e di personale dedizione al di là dei ristretti orizzonti degli interessi di parte. Non si capisce perché altrove diventa realtà quanto qui viene considerato utopia o perché da noi debba vigere la prassi del gregge, secondo la quale solo il presunto pastore avrebbe diritto di parola, mentre  dopo una manciata di chilometri più in là dai nostri luoghi c'è la tendenza a crescere intelligentemente più insieme. Perché meravigliarsi della fuga dei cervelli migliori, della noia disperata dei giovani, del silenzio degli anziani, se queste sono le premesse che asfissiano cuore e mente?
Miseria e nobiltà del nostro Sud: non so quando e se verrà risolto questo assurdo conflitto. E intanto si perdono per strada le numerose opportunità mancate. In ogni caso chi crede continua a seminare: ci sarà pur qualcuno, in futuro, che, leggendo con una perspicacia più acuta di quella dei nostri contemporanei,   riuscirà a raccoglierne il frutto.