Indagine socio-psicologica sulla criminalità




Fare l'analisi di fenomeni come quello criminoso non è un'operazione facile, perché implicherebbe tutta una discussione sulla società e le sue strutture organizzate, sulla particolare tipologia dei rapporti che in essa si stabiliscono, sui principi etici cui si ispirano i comportamenti delle persone e della politica. Non è facile, dicevo, perché non tutto si spiega con la semplice individuazione dei fatti criminosi e la loro eventuale repressione: c'è tutta una serie di riflessioni che occorrerebbe fare sulle intenzioni, sulle situazioni familiari pregresse, sulle condizioni di lavoro, sulla qualità dell'educazione e dell'ambiente, in pratica su quello che si fa o si dovrebbe fare per la prevenzione, perché è proprio qui il nocciolo della questione: la repressione non sempre è l'arma dell'intelligenza. Trascurata questa pratica preventiva, tutto si spiega, anche se non tutto naturalmente si giustifica. In Italia, purtroppo, siamo abituati a lasciar incancrenire le piaghe per poi lamentarci sistematicamente e correre, semmai, tardivamente ai ripari: nella nostra cultura del rinvio, si accetta la prassi del giorno dopo giorno, dimenticando i discorsi e i progetti complessivi che riguardano il futuro. Spesso si esorcizza il fatto criminoso, come in una sorta di alibi, facendolo passare come prodotto di fattori biologici, per dirla con Lombroso, ma è troppo semplicistico e riduttivo, oltre che fuorviante. Il problema è che l'uomo è un risultato miscelato di libertà individuale e pressioni sociali, che diventa esplosivo, e quindi pericoloso, se a determinarlo è la sopravvivenza o l'inconsistenza etica dei modelli comportamentali e ideali di riferimento: ambedue queste cause scatenanti sono comunque da catalogarsi come povertà, materiale la prima, spirituale la seconda, ma sempre e comunque povertà, senza cadere con ciò nel banale pietismo o, peggio, nel tentativo di annullare responsabilità, che comunque sempre tali rimangono. Perciò il riferimento agli attori del crimine è dai ricercarsi in certi contesti di sottosviluppo sociale o di selvaggia gestione dell'economia, in cui la prospettiva del facile e indolore guadagno, che specula su bisogni indotti o sulla cultura della paura e della dipendenza, ha rapida presa sul più sensato e razionale rispetto delle norme civili e morali.
La caduta dei valori e il tramonto delle ideologie, con l'espansione d'una falsa visione della pratica democratica, dove tutto è lecito se funzionale al successo e al denaro, hanno determinato la precipitazione della tensione morale e la legittimazione di tutto, compreso il delitto. Non per niente, per quanto attiene all'Italia, dove la partitocrazia sembra essere fine a se stessa come in un ciclo di autoriproduzione, i dati sulla criminalità sono allarmanti.
Basti pensare che il 12% del prodotto lordo nazionale è costituito dall'economia inquinata (circa 150.000 miliardi, di cui 30.000 solo per tangenti!). Non so se il Decreto-Legge n. 2/1991 sull'uso del denaro nelle transazioni riuscirà a risolvere il problema del controllo sul riciclaggio del denaro sporco: ormai il confine fra i soldi sporchi e soldi puliti sembra essere così sfumato da apparire quasi smarrito. Qui il mare delle complicità si estende fino alle banche e alle libere professioni. C'è di più. La strategia seguita sembra essere fin troppo chiara: si passa dalla semplice richiesta di estorsioni al finanziamento e infine alla sostituzione stessa da parte della malavita nelle imprese da essa vessate. Ritornando ai dati , sono preoccupanti quelli riportati recentemente dal Ministero dell'Interno e che riguardano l'intera situazione italiana.
Nel 1990 rispetto al 1989 c'è stato un incremento di 450.000 delitti in genere (+21,82%) di cui 1.605.329 furti (21,75%), 413 estorsioni (+18,74%), 2800 incendi dolosi (+42,68%), 262 omicidi (+18,44%), 7000 rapine (23,91%).
Il fenomeno si presenta aggravato anche in Regioni considerate un tempo tranquille, come la Basilicata (dove le estorsioni sono aumentate del 279%), l'Abruzzo (dove gli attentati a persone e cose sono saliti all' 820%), il Friuli (con gli attentati al 300%) e la Liguria (al 93%).
Sempre nel 1990 ci sono state 21,000 scarcerazioni per decorrenza di termini e il 17% degli Amministratori locali sono risultati inquisiti.
Nella nostra Puglia la situazione non è più rosea, anzi: ormai essa è una regione a fortissimo rischio malavitoso. Qualche dato può esprimere meglio questa realtà. Ancora nel 1990 le estorsioni sono passate da 279 a 437 (con un incremento rispetto all'anno precedente del 56,64%), gli incendi dolosi da 629 a 969 (incremento del 54,80%), gli attentati a cose o persone da 339 a 461 (+35,99%).
Per quanto attiene all'area della nostra Provincia essa si presenta molto variegata nelle sue espressioni di organizzazione sociale ed economica. Dalla capillarità della sua strutturazione è possibile ricavare i probabili bacini ai quali attinge la malavita e nei quali poi si sviluppa l'intera rete del fenomeno criminoso.
La Capitanata ha una popolazione di 703.000 unità, di cui il 51,53% è concentrata nei Comuni di Foggia, San Severo, Manfredonia, Cerignola e Lucera. L'indice di crescita demografica è di 1,37. Le attività economiche maggiori sono polarizzate soprattutto attorno all'agricoltura, al terziario, alle piccole e medie imprese, al risparmio, poco ancora attorno all'industria, che, salva qualche eccezione come a Manfredonia e a Foggia, si presenta a tutt'oggi per buona parte ancora allo stato embrionale.
Qualche dato su ciascuno di questi settori illustrerà meglio la situazione.
Sul piano agricolo la produzione maggiore spetta al pomodoro (con 14.595.000 q. nel 1990), seguono poi la barbabietola (con 7.220.000 q.), l'uva (con 4.496.400 q» ) e il grano duro (con 4.030.000 q.). Le esportazioni dei nostri prodotti all'estero, specie nei settore agro-alimentare, sono passate dal volume di affari di 109 miliardi del 1989 ai 62 del 1990, determinando così una contrazione nella spendibilità del lavoro e conseguentemente una difficoltà a sistemare sul mercato le scorte, accantonate.
Il terziario è il secondo settore più sviluppato della Provincia ed è in continua espansione. I due terzi del totale delle imprese iscritte al Registro Ditte appartengono infatti proprio al terziario. Si constata, inoltre, un forte aumento nel numero dei servizi, che occupano circa il 15,8% dei soggetti presenti nel mondo produttivo.
Per quanto riguarda le imprese, il loro numero nel 1990 si è attestato a 35.394 (con una crescita di 97 unità rispetto al 1989): l'aumento maggiore si è avuto negli esercizi non commerciali (+ 1,9%), nel Credito - Assicurazioni - Servizi alle imprese (+4,2%), nel comparto tessile - alimentare - legno (+1,2%) e nell'edilizia (+0,59%). Le imprese iscritte nel Registro Ditte sono 2635: il maggiore movimento riguarda il commercio (con il 35,8% di nuove iscrizioni), l'Industria (con il 31,8% di nuove iscrizioni).
Delle nuove imprese il 71,6% sono registrate come "Ditte individuali", 1'11,7% come "Società di persone", il 10,7% come "Società di capitale". Queste due ultime sono in crescita: le prime del 4%, le seconde del 2,2%. Le dichiarazioni di fallimento nelle imprese sono passate dalle 106 dell'89 alle 139 del '90 (+31,1%), con punte maggiori nel Commercio (n. 92) e nell'industria (n. 37). In quanto al risparmio, i depositi bancari sono aumentati del 7,2% (con qualche punto in più rispetto alla media nazionale) e costituiscano il 16% del totale risparmio nella Regione. Aumentati sono anche gli sportelli bancari, specie nei Comuni a più alta densità abitativa, e il rapporto impieghi-depositi ha raggiunto il 61%. Un grande livello di diffusione vanno assumendo anche le finanziarie. Sul versante del sociale, a fronte dei 123.930 cassi integrati (di cui 80.497 solo nell'edilizia) e dei 63.000 iscritti agli Uff. di Coll, (con il 57.9% formati da disoccupati), stranamente si assiste a un aumento di reddito del 10,5% (rispetto al 9, 37% della media nazionale), come anche stranamente si vedono disoccupati improvvisamente diventati ricchi. Ad un'analisi più attenta, però, il fatto non è poi tanto tale, se a determinarlo è la pratica dell'economia sporca.
Sul versante della criminalità, nel 1990 la nostra Provincia ha registrata 34.192 delitti, 174 estorsioni, 26 omicidi, 458 rapine. Si assiste poi a una serie di fatti e di fenomeni, che pongono gravi domande su ciò che sta succedendo nelle nostre zone: piani regolatori che dividono gli Amministratori, gli industriali , incontrollata speculazione edilizia , frantumazione tra le varie associazioni di produttori, sfascio nella cooperazione, rapina e stupro del territorio garganico, truffe all'AIMA, ecc. Che significano, infatti, le scritte agli svincoli autostradali della Provincia (ma anche in altri della Regione) come "Ti amo" o "Dio c'è", se non territorio appetito dalla camorra o territorio già occupato da essa? E' in questo quadro provinciale così complesso che si inserisce la nostra indagine.
Per averne una visione più precisa e dettagliata, la CISL dell'Alto Tavoliere, non senza difficoltà, ha effettuato nei mesi scorsi un'inchiesta su tutto il territorio provinciale, distribuendo circa 8.000 questionari, suddivisi in quattro schede. I soggettivi ai quali sono stati sottoposti sono stati le imprese, i commercianti, i liberi professionisti, cittadini e lavoratori occupati. I criteri seguiti nella compilazione delle schede possono essere schematizzati nei seguenti: l'assoluto anonimato, l'attenzione ai fenomeni delle estorsioni, delle tangenti, del clientelismo nei rapporti con le istituzioni e delle "violenze" nei posti di lavoro, l'articolazione della risposta in "si" e "no", l'individuazione di figure di intermediari nei fatti di tangenti e di clientelismo, un margine riservato alla libera riflessione dell'intervistato.
Dal totale delle risposte pervenute (in numero di 1.621), il 65 % proviene dall'Alto Tavoliere, il 35% dal basso e sono così distribuite:
340 per il questionario n.1
292 per il n.2
372 per il n.3
317 per il n.4.
Riteniamo, come spesso succede in questi sondaggi, anche se protetti dall'anonimato, che la non risposta da parte di tutti sia dovuta più a sfiducia nella possibilità di soluzione del fenomeno, e conseguentemente nella concreta di questa inchiesta, che non ad altro.
In ogni caso, la percentuale delle risposte» pur se modesta (21% circa), è abbastanza significativa in quanto a campione, per capire la natura e la larga diffusione anche nelle nostre zone dell'attività criminosa. Nella cartella che è stata consegnata, sono riportate in dettaglio le risposte ai singoli quesiti. Mi risparmio dal leggerle, perché può essere fatto agevolmente da soli. Mi limiterò, partendo dai singoli questionari, soltanto ad alcune osservazioni sintetiche, che vogliono essere un percorso d i lettura dei dati stessi.
Per il questionario n.1 sul fenomeno delle estorsioni, le domande poste sono state 13 e possono essere ricondotte a tre gruppi: richiesta di estorsioni, modalità della richiesta, pagamento o meno della stessa. Dalle risposte si evince che il 69% degli intervistati ha subito tentativi estorsione ed il 43% in un'unica richiesta, il 57% specifica che ciò è accaduto per mezzo del telefono e il 17% tramite intermediari, il 47% ha pagato ed il 28% in un'unica soluzione» In caso di non pagamento, il 25% ha subito ritorsioni e solo nel 25%, dopo che si è pagato, si è vista cessare la richiesta. E' utile qui riportare lo sfogo amaro di alcuni intervistati, annotato in calce al questionario: è uno stato d'animo rivelatore del clima di difficoltà ed impotenza in cui si vive. In molti dicono: "Dobbiamo solo pagare" , "Chiediamo aiuto, altrimenti saremo costretti a chiudere i battenti e a licenziare i dipendenti", "Paura, paura e ancora paura" , "Mi hanno incendiato il negozio", risponde qualcuno che non ha avuto più modo di vedersi assegnate altre opere pubbliche in appalto.
Per il questionario n. 2 sul fenomeno delle tangenti le domande poste sono state 16 e anche qui possono essere raggruppate in tre categorie: richieste di tangenti, la mediazione della politica, il sub-appalto. Per l'aggiudicazione dell'appalto pubblico il 16% risponde di aver subito richieste di denaro e il 28% in misura fissa; l' 81% ha dovuto seguire la trafila politica, con il 69% che si è visto chiedere somme di denaro in cambio (dall'amministratore il 45%, dal funzionario il 15% , dal politico il 22%; il 33% è stato costretto a sub-appaltare parte delle opere (il 36% dalla stessa stazione appaltante). In caso di appalto da parte di soggetti istituzionali (Comune, Provincia, Regione, USL, ...) l'obbligo al sub-appalto risulta dato nel 34% e dall'istituzione stessa. Dal rifiuto al sub-appalto, il 10% risponde che non ha avuto più modo d vedersi assegnate altre opere pubbliche in appalto.
Per il questionario n.3 sul fenomeno delle clientele, le domande poste sono state 6 e sono riconducibili a due fondamentali: richieste economiche nella difesa dei propri diritti, i soggetti di tali richieste. Il 38% risponde di essere stato condizionato da richieste economiche e il 47% ha dovuto anche soddisfarle; il 70% ha fatto ricorso alla solita raccomandazione, che nel 45% è stata fatta al politico, nel 20% ai funzionari, nel 22% ai vari faccendieri (il 58% di questi ultimi interni all'Ente stesso).
Per il questionario n.4 sul lavoro, le domande poste sono state 8 e sono racchiudibili in due gruppi: richiesta di tangenti per l'occupazione, trattamento nella busta paga e sul posto di lavoro.
Il 43% risponde che per trovare lavoro ha dovuto pagare compensi, corrisposti per il 43% al politico, per il 34% al faccendiere, per il 12% al dirigente. Il 36% aggiunge che il salario in busta paga non corrisponde a quello contrattuale e sempre il 36% sottolinea che quello effettivamente riscosso non è quello indicato nella busta paga. Molti, circa il 40%, firmano addirittura fogli in bianco. Particolari pretese dal datore di lavoro sono lamentate infine dal 40% degli intervistati.
Un commento a tutti questi dati mi sembra superfluo, perché parlano da sé. Solmi permetto qualche brevissima osservazione finale.
Innanzitutto il fenomeno esiste ed è ormai innegabile. Le sue lontane radici possiamo rintracciarle innanzitutto nella nostra cultura meridionale, fatta di rassegnazione, di rinuncia, di delega all'altrui volontà dell'uso e della gestione dei propri diritti, con la conseguenza della finale, e più o meno subita, convivenza con la malavita. Il male esiste, si dice, ed è difficile opporvisi, sicché anche la speranza in una possibilità di difesa viene a essere vanificata con il risultato che pochi delinquenti vanno a condizionare la vita della maggioranza degli onesti. E qui, purtroppo, il discorso cade sulla lentezza e l'eccessivo garantismo con cui la Magistratura affronta il problema, sulla inadeguatezza numerica e il mancato coordinamento nelle Forze dell'Ordine, sulla contraddittorietà legislativa, che, se da una parte esprime volontà di affrontare la questione, dall'altra rinvia l'uso de mezzi efficaci per risolverla. Connesso a questo è poi l'atteggiamento della politica dove i comportamenti fin troppo spesso parlano talora di tolleranza ma più frequentemente anche di connivenza con la malavita, con la complicità non poche volte espressa e offerta anche dalle libere professioni, quando agiscono da copertura nell'escogitare le vie all'evasione fiscale, dalla violazione contrattuale, dall'area ricattatoria del licenziamento.
Dalla mancanza di progettualità nella politica, è facile che nasca, come accade, la pratica dell'illecito quotidiano, per non parlare poi dei meccanismi da essa controllati e gestiti.
C'è poi da chiedersi come mai si stia assistendo a uno sviluppo abnorme del terziario, a spese del secondario, perché quest'ultimo più controllabile rispetto al primo lasciato al non sempre chiaro mercato delle licenze.
C'è poi la diffusa pratica dell'arbitrarietà seguita da tante imprese nella gestione dei licenziamenti.
La denuncia di tutto questo stato di cose trova, purtroppo, voci e ruoli ancora troppo deboli. Il sindacato fa quello che può, la Chiesa potrebbe, e dovrebbe, fare di più per svegliare le coscienze (la "Centesimus annus" non è certamente a favore di questo capitalismo selvaggio, e quindi disumano!); la cultura è quasi totalmente assente da questo impegno civile, con il risultato di offrire un avallo con il proprio silenzio al radicarsi del comportamento criminoso.
Il traffico del malaffare prospera là dove non c'è più la certezza del diritto e l'imperativo morale del dovere e tutto allora è lasciato al gioco di forze senza scrupolo. Mi sembra allora necessario un risveglio della coscienza etica, una più incisiva e convinta azione da parte di chi preposto alla difesa del cittadino e dei suoi diritti, una pratica più seria, più pulita, più vigile della politica nell'amministrare la speranza e i bisogni della collettività.
Il malaffare ha un feedback a boomerang, che alla fine può ritorcersi contro tutti, compresi i suoi stessi autori.
Una riflessione seria su tutto ciò si rende drammaticamente necessaria, prima che sia troppo tardi.
Non so cosa dovremmo rispondere quando un giorno, davanti al tribunale della storia ci accuseranno di incuria, di lentezza, di indecisione, di assenza colpevole di progettualità umana e civile.

(Relazione ufficiale tenuta al Convegno della CISL - Atto Tavoliere sulla criminalità, Foggia, Auditorium Biblioteca Provinciale, 8 giugno 1991)