La religiosità di Luigi Schingo
Un aspetto poco noto della personalità di LUIGI SCHINGO (San Severo 4.03.1891 - 2.03. 1976) è quello costituito dalla sua religiosità. Della sua figura di artista già ha parlato, con dettagliata precisione e ricchezza di particolari, il mio amico dr. RAFFAELE lACOVINO nel suo ultimo saggio LUIGI SCHINGO - ARTISTA TRADIZIONALISTA, MODERNO (Gemi Editori, San Severo 1997) e anche chi scrive in varie occasioni (23.02.1992, 24.11.1996 e 26.10.1997 su II Giornale di San Severo) ha offerto un modesto contributo in merito. Ho avuto modo di conoscere bene SCHINGO nell'ultimo decennio della sua esistenza.
Ogni mattina, puntualmente, era presente alla S. Messa delle ore 8 nella Parrocchia di San Nicola col suo cappotto blu e il cappello grigio a tese larghe. Fisico asciutto, occhi miti e penetranti e soprattutto discreto nella parola, riflesso di un'interiorità profonda resa più evidente dal suo silenzio esteriore, il Maestro (così lo chiamavo io) era solito porsi alla destra dell'Altare Maggiore, accanto a una sedia ivi sistemata. Partecipava al sacro rito come assorto in una sua interna meditazione sul mistero eucaristico e non mancava di ricevere la S. Comunione. In quegli anni alla stessa S. Messa era presente anche un altro artista, ormai pure lui scomparso, ELIA IRMICI (San Severo 28.10.1889 -21.04.1979), un ammiratore entusiasta di don Bosco e dell'istituzione salesiana.
La fede dello SCHINGO, nel suo comportamento ma anche dai discorsi che ci scambiavamo, era nutrita sì di tradizione (e non poteva essere altrimenti, visto che era figlio di un'altra cultura storica) ma soprattutto, così almeno a me è parso, dì intensa e libera contemplazione del Trascendente. Spesso si rammaricava con me del fatto che questa visione superiore del vivere stesse andando miserevolmente in frantumi (si era allora all'epoca del terrorismo ma anche di una prassi sociale attraversata da una grande confusione ideale e, perché no, anche morale). Il popolo, da lui ritratto in diverse tele attorno al simulacro della Madonna del Soccorso, non era più quello della preghiera e del grazie, ma l'ombra distratta dei fuochi e dei bagordi e questo lo infastidiva. Certamente quella fede che Egli sapeva esprimere nell'inno alla Creazione e al suo Creatore, fissata magnificamente nei colori dei suoi mirabili acquerelli, non aveva più nulla da spartire con la semplificazione e la spettacolarità che si andavano diffondendo allora anche in campo liturgico: la solennità rapiva i suoi sensi elevandoli a una dimensione più alta di conoscenza, l'approssimazione gli procurava disgusto, peraltro, per riservatezza, mai detto. Ricordo che durante una mia visita al suo studio-museo ubicato allora accanto al semaforo di Via Fortore, una singolare chiesa laico-religiosa dell'Arte, si lamentò con me del fatto che nessuna delle Amministrazioni Comunali del tempo gli commissionasse una statua della Madonna da porre, secondo i suoi progetti, in Piazza Cavallotti: era un desiderio intimo del suo animo: lasciare questo "regalo" di fede alla Città. E invece fu silenzio, disattento e cieco e, perché no, anche ingrato e colpevole, comportamento questo troppo spesso posto in atto, del resto, ieri come oggi verso il "nemo propheta in patria": tragicomico specchio dell'umana stupidità! La religiosità del Maestro si sostanziava di intelligente umiltà (accettava il "credo" senza tanti filosofemi), di attenta apertura verso i dettagli della natura letti da lui come emanazioni radiose del divino, di sensibile condivisione della sofferenza esistente nella condizione umana (molti suoi quadri, al di là delle apparenze, mascherano una sottile venatura di malinconia): questo era il linguaggio con il quale SCHINGO comunicava il suo personale senso del sacro. Non dico poi della sua delicatezza paterna (un tratto distinto della sua personalità) con noi giovani suoi amici (io ero anche il suo confessore). Ma questo è un altro discorso.
Ci vorrebbe qualcuno che ritraesse il Maestro con il cappello in mano mentre, raccolto in preghièra, assisteva a quella S. Messa delle ore 8. La postura devota del suo corpo era l'Immagine lampante che rivelava la "luminosità pensosa e deferente" del suo spirito. Per il momento questo quadro è stampato solo nella mia anima.