Il linguaggio del vuoto
Abstract

Nello studio dei fenomeni psi è molto importante non perdere mai di vista due aspetti: quello metodologico e quello epistemologico. Nell' indagine vanno applicati certamente i criteri della scienza, ma questi andrebbero sempre completati e arricchiti anche dall' apporto dell'intuizione e soprattutto da un'attenta lettura dei "segni" per scoprire un loro eventuale reciproco legame. Da qui nasce la necessità di analizzare, nel contesto delle Teorie della Biopsicocibernetica, dell' Informazione e della Sincronicità, il linguaggio dell' apparente "vuoto" esistente fra i "segni" per metterne possibilmente in evidenza il significato che esso presenta ai fini di una conoscenza dell'insieme. Einstein ha chiarito che di "vuoto" assoluto non si può parlare, perché tutto (spazio - tempo) è un "campo" di energie che ha bisogno solo di essere misurato. L'Autore nel presente studio affronta e pone a fuoco questa particolare problematica, peraltro fondamentale per comprendere la natura complessa della fenomenologia psi, e delinea anche una proposta di limiti oltre i quali una rappresentazione e interpretazione intuitiva dei fatti non può spingersi: questo per rimanere sul piano di un discorso concreto, sensato e credibile.


Il processo conoscitivo si esprime attraverso un sistema spesso complesso di interazioni all'interno di ciascuna delle sue varie componenti e fra di esse (cervello, psiche, materia-ambiente): il risultato è quasi sempre un qualcosa di nuovo, anche se talora sembra essere privo di significatività.

Pensieri, emozioni, vissuti passati e presenti, paure e ansie inconsce, desideri e sogni più o meno repressi o la cui realizzazione è rinviata a un imprecisato e vago futuro si muovono all'interno della psiche come tanti elementi danzanti un balletto di combinazioni e ri-combinazioni che danno la sensazione di una vitalità in continua evoluzione: perciò si sovrappongono, si eliminano, si raffinano, si bloccano, spesso si inceppano con tutto ciò che di positivo o di negativo ne consegue per l'equilibrio del soggetto. Regole universali di procedimento qui non esistono, perché ciascuno è regola a se stesso, dal momento che ogni Io è distinto e diverso da un altro, sicché non si può parlare di semplice sommatoria di fattori, ma di vera e propria selezione mirante a uno scopo che probabilmente è da rintracciare nella ricerca di un'armonia in ogni sua singola componente. C'è da dire anche che non rare volte accade che elementi più o meno inconsci (ansia, fobie varie) si confondano con gli stessi pensieri oscurandoli, pongano in stato di agitazione le emozioni e possano presentarsi in maniera e con modalità così vive da proiettarsi anche all'esterno sotto forma di allucinazioni (visive o acustiche), contribuendo così a deformare la stessa realtà. Perciò nella psiche-mente le interazioni si evidenziano sempre come fluttuabili, costantemente in movimento e spesso non sempre ben definibili in parole inequivocabili ma più frequentemente in immagini o in maniera allusiva a qualcosa d'altro (il doppio o la maschera difensiva).

Più o meno la stessa dinamica si verifica all'interno delle strutture cerebrali. Si sa che il cervello umano possiede circa cento miliardi di neuroni, ciascuno dei quali può stabilire con un altro circa duemila collegamenti, ognuno dei quali è portatore di informazioni. Da questa semplice constatazione facilmente si può capire quanto complesso sia il meccanismo nervoso, reso ancora più tale se intervengono delle anomalie patologiche in qualche sua area, nel qual caso la multiformità dello strumento diventa ancora più palese come pure l'eventuale apporto conoscitivo che ne deriva. Il cervello, dunque, si presenta estremamente plastico, con rilevanti possibilità di supplenza in caso di lesioni in alcune sue parti e soprattutto dotato di una tale capacità rielaborativa degli input che fanno di esso un microcosmo in grado di contenere con un processo astrattivo l'intero macrocosmo.

Le interazioni, però, ci sono anche all'interno dello stesso ambiente esterno e seguono le regole dei grandi giochi (J. Nash), consistenti in sostanza nel perseguire il maggior vantaggio per il sistema con il minimo dispendio energetico, naturalmente a spese di quella realtà non sufficientemente efficiente sul piano strategico: questo accade generalmente ai vari livelli naturali (astronomici, geologici, minerali, vegetali, animali), ma anche in altre operazioni, dove, direttamente o indirettamente, interviene l'uomo, come nella scienza, in economia, in politica, ecc. In tutti questi casi vi predominano essenzialmente due leggi: la selezione e l'autocorrettività. E anche qui i processi sono sempre complicati e non tutte le volte prevedibili nel loro svolgimento e quindi non sempre ben controllabili.

La conoscenza diventa ancora più problematica quando questi tre elementi (cervello, psiche, materia-ambiente) interagiscono fra di loro. Il gioco delle combinazioni, delle probabilità e delle realizzazioni diventa quasi infinito a seconda dei singoli soggetti e della molteplice diversità delle situazioni in cui vengono a trovarsi, sicché da una parte la conoscenza si presenta quanto mai ricca di informazioni con risultati inattesi e dall'altra occorre imparare a muoversi sempre con lucida e attenta intelligenza onde evitare di riempirla, per così dire, di inutili e ingombranti spam (messaggi spazzatura o eventi discutibili fatti passare per autentici).

Per avere un'idea della vivace dinamica interattiva e della relativa reazione comportamentale da parte del soggetto è sufficiente osservare con attenzione la figura 1 (cfr. F. Vester, in Bibliografia): anche questo particolare aspetto andrebbe studiato.
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A questo punto si pone una domanda importante: quale tipologia di intelligenza utilizzare nel processo conoscitivo o quale di essa, dal momento che si manifesta sotto varie forme (logico-matematica, artistica, musicale, linguistica, spaziale, manuale, a grappolo, ecc.: H. Gardner), è meglio impiegabile per lo studio dei fenomeni psi e loro relative interazioni? Prima di abbozzare una risposta mi sembra doveroso e opportuno premettere alcune osservazioni sulla fenomenologia psi:

Prima. I fenomeni psi (telepatia, precognizione, psicocinesi...) esistono e sono generalmente transpersonali, però non si manifestano sempre così frequentemente come si crede.

Seconda. Tali fenomeni non sono da confondere con la medianità, che avrebbe bisogno di un altro e ben più approfondito, articolato e critico discorso.

Terza. Molti dei fenomeni psi si spiegano agevolmente con gli strumenti scientifici a nostra disposizione (meccanica quantistica, elettromagnetismo cerebrale evidenziato nell'energia di natura fotonico-cinetica capace di influire sulla materia, proiezioni allucinatorie, ecc.). Non è da escludere, però, quanto ipotizzato anche dalla Sincronicità (Jung, Pauli, Chopra), secondo la quale esisterebbe un serbatoio molto ricco di informazioni (archetipi) al quale la psiche più o meno inconsciamente, in alcuni momenti, attingerebbe dati conoscitivi.

Quarta. Nell'universo visibile qualcosa sfugge ancora a una lettura esclusivamente scientifica e quindi al suo controllo o almeno non è sempre riconducibile a essa (es. alcune "coincidenze" particolari considerate "strane" nel loro verificarsi in un tempo e in un luogo determinati e certamente non spiegabili con il semplice ricorso al calcolo delle probabilità).

Quinta. Esiste, come prefigurato dalla matematica e dalla fisica quantistica (B. Riemann, B. d'Espagnat), il cosiddetto "reale velato" a più dimensioni che si pone al di là delle consuete coordinate spazio-tempo o che almeno prescinde da esse e non è legato alle loro leggi.

Sesta. I fenomeni psi, a differenza di quelli fisici, non sono ripetibili a volontà, perché si fondano sulle costituenti libere del soggetto che li produce o che ne è attore. Di essi si può parlare solo in termini statistici e probabilistici.

Settima. In questa fenomenologia non è assolutamente necessario né tanto meno auspicabile un atteggiamento fideistico, ma solo l'attenta osservazione, magari ricorrendo all'uso di strumentazioni appropriate (Dinicastro, Gullà, Presi), e con l'apertura mentale ad accettarne i risultati verificati e successivamente comprovati.

Ottava. La verifica degli stessi andrebbe sempre operata con serio rigore metodologico formulando una ventaglio di ipotesi eventualmente contrarie e solo alla fine, dopo averne constatato la loro falsificabilità (K. Popper), concludere circa la loro veridicità o meno.

Nona. Mai dimenticare che nella produzione dei fenomeni psi si è sempre di fronte alla variabile umana, la cui dinamica operativa va incontro alle leggi della imprevedibilità, dell'incostanza e della continua e talora sorprendente novità.

Decima. Sapersi "calare" direttamente nella sperimentazione, mai studiarla per "sentito dire" e ovviamente imparare a compiere le dovute comparazioni con esperienze analoghe compiute da altri ricercatori.

Precisato brevemente e sinteticamente tutto questo, io credo che il modello di intelligenza che in questa indagine meglio andrebbe attivato per conseguire i risultati migliori sia quello creativo-intuitvo, studiando cioè l' "effetto domino". Ciò implica imparare a saper raccogliere con cura tutti i vari tasselli o pezzi di mosaico sparsi qua e là e analizzarli con attenzione nelle loro possibili inter-relazioni, prescindendo dal tempo e dallo spazio, perché questa operazione non sempre avviene contemporaneamente e nello stesso luogo. Alla fine la figura viene a costruirsi come da sé, seguendo le regole della Gestalt (M. Wertheimer, W. Köhler), e con essa il significato dell'insieme nel nuovo sistema di conoscenza che si instaura, che sostanzialmente non è altro che una codificazione strutturata sotto forma di simboli. L'intelligenza creativo-intuitiva non fa che illuminare ed essere a sua volta illuminata e questo può accadere o lentamente o con un improvviso flashback, come avviene nelle operazioni legate al "problem solving".

In tutto questo procedimento occorrerebbe seguire sempre una metodologia contrassegnata da una logica sequenziale, i cui elementi di base sono riconducibili ad alcuni criteri fondamentali:
  • Circoscrivere il fenomeno nei suoi confini essenziali, precisandolo bene anche sul piano epistemologico
  • Raccogliere tutti i dati utili alla comprensione dello stesso
  • Selezionarli e ordinarli secondo linee spaziali e temporali
  • Abbozzare la formulazione generale di un'ipotesi
  • Confrontarla con i dati considerati singolarmente e nel loro insieme
  • Costruire una o più ipotesi atta/e ad annullare la prima
  • Considerare numericamente il gradiente di verità delle singole ipotesi e annotare gli elementi relativi in un quadro statistico-comparatvo fra gli stessi
  • Fermarsi alla lettura e interpretazione più probabilistica dei dati, scartando quelli incerti o senza sufficienti elementi di rilevanza e quindi non degni di essere presi in seria considerazione
  • Analizzare con attenzione la forma di conoscenza che viene a delinearsi con maggiore e più accettabile evidenza
  • Inquadrare il tutto nel sistema di conoscenze giù accertate e recepite e notare la congruenza e coerenza logica tra le varie affermazioni
  • Se l'insieme si integra con equilibrio con altri insiemi di conoscenze precisare anche linguisticamente l'ipotesi intuita originariamente e darle un significato, anche se naturalmente sarà da considerare sempre provvisorio.
Tenendo ben presenti questi criteri metodologici, l'intelligenza creativo-intuitiva si rivela essere il più efficace strumento di indagine, perché nel momento nel quale si mettono a fuoco i particolari e gli indizi contemporaneamente sa puntualizzarli meglio, entrando quasi nel loro più intimo significato. Proprio a questo livello si cominciano a intravedere, anche se all'inizio indistintamente, i legami esistenti fra l'uno e l'altro e che in seguito tenderanno a evidenziarsi come da sé. Lo psicanalista tedesco A. Lorenzer aveva già previsto una simile possibilità, sebbene riferita principalmente all'aspetto clinico. Ovviamente fra un particolare e l'altro si noterà la presenza come di una sorta di vuoto, che impedisce, in base alla legge di causalità, di vederne la contiguità e conseguentemente la continuità. Tale vuoto, però, è solo apparente, perché, pur non risultando ben chiara la vicinanza spazio-tempo, come accade generalmente nella realtà ben compattata, tali coordinate si presentano come modellabili e flessibili, quasi richiedessero o volessero, per così dire, prima ri-conoscersi e poi interagire con l'intelligenza dell'osservatore. Naturalmente se quest'ultima è ben duttile, lucida e perspicace, a queste condizioni può riuscire ad afferrare l'insieme del mosaico, i cui frammenti, se si è distratti, presi in sé potrebbero invece non avere alcun senso compiuto. Avviene così che un elemento richiama l'altro e così di seguito fino al punto da prevedere con sufficiente nitidezza la totalità del quadro.

Questo è il potenziale conoscitivo insito nell'intelligenza intuitiva, che può essere rallentato o addirittura vanificato solo in quei soggetti nei quali predominano o proliferano refrattarietà o difese di vario genere, che di oggettivo hanno ben poco (scetticismo, timori, visione riduttivo-meccanicista della realtà, ecc.).


L'intelligenza è una gigantesca riserva-turbina elaboratrice e organizzatrice in reti e ingranaggi logici di un numero incalcolabile di informazioni memorizzate e a questo proposito ritengo opportuno e utile fare alcune precisazioni. La Teoria dell'Informazione (C. E. Shannon) e la Statistica Inferenziale (R. A. Fischer) insegnano i metodi per eliminare i disturbi nella trasmissione dei segnali e conseguentemente gli eventuali errori nella elaborazione corretta degli stessi. Importanti sono i concetti relativi alla misura dell'informazione, alla specificazione dei codici in base ai quali fornire una lettura della novità dei segni adoperati, alla loro catalogazione in elementi continui, discreti e a pacchetti di "quantum" (N. Wiener) e soprattutto al canale, perché, se quest'ultimo è disturbato, la relazione fra segno trasmesso e segno ricevuto risulterebbe essere chiaramente falsata.

Generalmente il canale coincide o direttamente con l'utilizzo del linguaggio verbale e non verbale (parola, ma anche mimica. gestualità e gli stessi silenzi) o indirettamente facendo ricorso a strumenti generatori di onde elettromagnetiche. Per funzionare bene il canale ha, però, bisogno di essere integro.

Il flusso informativo fra sorgente e ricevitore va incontro a una serie di processi caratterizzati da un raffinato percorso di selezione in modo che il dato arrivi nel suo originario significato. In un quadro di normalità, a livello cerebrale ciò accade con l'attivazione dei circuiti riverberanti che ne determinano, con una serie continua di feedback in qualche modo autocorrettivi, il risultato di avere un messaggio in sé sufficientemente intelligibile. Sul piano mentale tutto il materiale proveniente dalla sensazione passa attraverso il filtro della percezione e soprattutto dell'astrazione per essere poi inglobato e assimilato in una struttura ben definita che si chiama idea o concetto. (Figura 2)

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La qualità di un'informazione, inoltre, molto dipende dal numero e dalla natura delle interferenze, che possono presentarsi sotto forma di "rumori" vari sia sul piano fisico (eccessiva frequenza e velocità nell'offerta degli input, inquinamento acustico...) che psichico (forti emozioni, fobie di diversa connotazione, blocchi e traumi psichici, vere e proprie patologie mentali...), con la conseguenza che la comunicazione di un messaggio o è incompleta e frammentaria o è incomprensibile e spesso addirittura erronea. Un linguaggio comunicativo sovraccarico non solo impedisce una corretta trasmissione di contenuti, ma molte volte va a incidere anche sulla stessa possibilità di formazione di un pensiero, che voglia presentarsi come compiuto.

La figura 3 illustra quanto di confuso può venirsi a creare in un sistema di connessioni non denotate dalla linearità.

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Avviene talora che fra un oggetto e un altro non ci sia solo un intermediario visibile o quantificabile, ma semplicemente, come sopra accennato, il vuoto. Si sa che quest'ultimo esiste ed è uno dei teoremi fondamentali della concezione dello spazio come il contenente degli oggetti. Secondo Leibniz "esisterebbe" in alcuni casi anche il "vuoto di forme" che ci sarebbe se non ci fossero sostanze capaci di tutti i gradi di percezione sia inferiori che superiori agli uomini. Il vuoto, però, non è solo quello rapportato alla spazio di tipo cartesiano: a questo bisogna aggiungere anche la coordinata tempo (A. Einstein). Nella Relatività Generale questo concetto è ampliato radicalmente con l'aggiunta della nozione di campo, nel quale sono rappresentati tutti i fenomeni fisici. Le mutazioni in questi ultimi vengono spiegate non come un riferimento a un sistema rigido e fisso, ma come un mutamento nella struttura metrica del campo. Quindi nell'osservare la curvatura dello spazio e del tempo, e dunque la elasticità di questi ultimi, l'unità di misura non è più quella euclidea, ma il calcolo si opera nelle diverse parti del campo considerato come fosse un tutto, a seconda delle variazioni nella densità della materia e dell'energia. In questa visione unitaria del reale, prescindendo dal campo non vi è nulla, neppure lo spazio vuoto.

Che cosa è, allora, il vuoto? Come si può facilmente notare, esso non è tanto o unicamente espressione di quell' "horror vacui" esistenziale che spesso una indefinita angoscia produce negli animi (depressione), quanto soprattutto un raffinato e delicato vettore-veicolo di informazioni per l'intelligenza: solo ha bisogno di essere bene osservato e "letto" nel suo significato di insieme fra un indizio e l'altro, ma mai riempito arbitrariamente. Probabilmente nella conoscenza esso è e opera sotto forma di energia vibratoria apparentemente invisibile che chiede soltanto, per così dire, di essere raccolta e decodificata in linguaggio intelligibile. Questa appunto è la semantica del legame, che, pur esistendo, non tutti riescono a percepire. Sostanzialmente quest'ultimo è una particolare forma di relazione che impercettibilmente va a stabilirsi fra le parti di un insieme a prima vista lontane fra di loro. Si definisce operativamente come una sorta di riposizionamento di un messaggio che non appare più isolato dal contesto, ma che quasi scopre, per un'autonoma dinamica interna, di poter possedere un suo senso solo se "rapportato a". Kant aveva distinto due forme di legami: la prima è quella costituita dalla connessione delle cose fra di loro nell'ordine causale (legame effettivo); la seconda riguarda le stesse ma nell'ordine finale (nesso finale). Per Witehead il legame, insieme alle cose e alle percezioni, fa parte degli elementi ultimi della medesima realtà, quindi esso stesso è un "quid" sotto certi aspetti anche quantificabile se non nel peso almeno nella sua rilevanza formale.

Le parti sono tali perché riferite a un tutto, cioè a un "Insieme". Ma cosa è l'Insieme? Nella sua primitiva elaborazione questo concetto, anche se con G. Cantor ha occupato poi un posto centrale nella Teoria dei Numeri, all'inizio è stato inteso come "aggregazione in un unico tutto di oggetti determinati e distinti della nostra intuizione o del nostro pensiero: oggetti che sono detti elementi dell'Insieme" (G. Cantor). Una simile definizione, però, si presenta insoddisfacente sia perché la nozione di "aggregato" può essere ritenuta identica a quella di Insieme, sia perché, richiamandosi a "oggetti di intuizione o di pensiero", sembrerebbe fondarsi solo sull'esperienza interna e introdurre così nozioni di natura psicologica soggettiva. In realtà il concetto di Insieme non è altro che la generalizzazione di quello di coesistenza, delimitata da due condizioni: la distinzione degli elementi dell'Insieme e la determinabilità di tali elementi nel senso che venga data una regola che consenta di decidere se un dato elemento appartiene o no all'Insieme. Questa teoria nella matematica moderna, se da una parte tenta di garantire queste due condizioni, dall'altra, però, prescinde completamente dal carattere intuitivo sia degli Insiemi che dei suoi elementi. Comunque una simile visione della realtà oggi è largamente impiegata nella definizione dell'infinito matematico. Nella logica moderna, che nel nostro caso interessa di più al discorso che si sta facendo, la nozione di Insieme si identifica con quella di classe, da non confondere con il concetto di gruppo, che in sé non implica l'idea di unitarietà.

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Nella fig. 4 sono rappresentate le reciproche relazioni nascoste fra i vari segni-indizi (A - B - C - D): dall'ultimo di questi (D) si delinea nel contempo il quadro del significato complessivo e la giustificazione del punto di partenza (A). Alla fine l'Insieme, a sua volta, illumina e dà un senso ai singoli segni.

Occorre, allora, saper cogliere il valore linguistico del vuoto, che è sempre di natura spazio-temporale con il suo potenziale apporto informativo e che in qualche modo richiama più un nesso sintattico che uno strettamente grammaticale. Questa è un'operazione importante del processo intuitivo: sorvolarne la portata o ignorarla indurrebbe a vagare nel buio della frammentarietà, dove ogni tassello si ridurrebbe a un qualcosa di inutile, di scisso e di avulso e quindi privo di significato per il cosiddetto "salto quantico" nell'apprendimento del tutto (oliamo cibernetico).

Le possibilità offerte alla conoscenza sono tante e in teoria riguardano tutti i saperi. In quello relativo ai fenomeni psi non ci si può fermare solo o prevalentemente agli aspetti meccanicistici, che in via preliminare sono pure necessari da indagare, ma, appoggiandosi alla convinzione che "anche" il vuoto "parla" con un suo particolare linguaggio scientifico, l'attenzione non andrebbe dismessa dall'ipotizzare anche un discorso Altro. Se non fosse così una ulteriore opportunità di ampliamento degli orizzonti del conoscere verrebbe a essere irrimediabilmente perduta


Quali concrete applicazioni operative può avere tutta questa epistemologia del conoscere? Io penso tante, ma soprattutto nelle esperienze relazionali, in quelle legate all'anomalo o all'atipico e in alcuni fenomeni d' interazione psi.

5.1 Esperienze relazionali

La relazione è un concetto molto discusso oggi sia fra i matematici (E. Schröder, Pierce: calcolo delle relazioni fra i numeri e i simboli) che tra i logici (B. Russell, R. Carnap), per i quali ultimi l'attenzione va soprattutto rivolta alle relazioni "proposizionali" identificate con i "connettivi" (e, o, non, se, allora...). Per la psicologia il riferimento è alla persona (Analisi Transazionale con relazioni simmetriche, asimmetriche, incrociate: E. Berne) e alla sua condizione di essere intelligente: in quanto tale la relazione si presenta sempre come un libero rapportarsi a un altro interlocutore a sua volta altrettanto libero di rispondere o meno. Dal momento che quest'ultimo, cioè la persona, è strutturato in maniera complessa e originale, la relazione implica un accorto percorso di lettura non solo del linguaggio verbale e non verbale, ma anche degli eventuali silenzi, dei comportamenti concreti, delle scelte, delle attese, cioè dei segnali. Solo l'intelligenza intuitiva può cogliere e interpretare i fili dei vari collegamenti e avere così una risposta completa a ciò che il soggetto intende comunicare con la pluralità delle sue fonti informative. Del resto ciò già accade nell'ambito della psicologia clinica (test proiettivi, colloquio clinico anamnestico, set psicoanalitico...), nella criminologia forense, nelle indagini di polizia per individuare il colpevole di un reato analizzandone i dettagli, in alcuni giochi, come nella comune caccia al tesoro, ecc.

5.2 Esperienze anomale

Che queste esistano mi sembra qui fuori luogo metterle in dubbio o aprire un ulteriore dibattito, peraltro già ampiamente condotto avanti da decenni di studi e suffragato da una molteplicità di fatti. Ci sono troppi eventi che testimoniano la presenza di esperienze anomale (transcomunicazione strumentale atipica, coincidenze non casuali e fuori da ogni calcolo probabilistico, casi di autentica e ben documentata medianità come quella riferita nelle sue sperimentazioni da G. E. Schwartz, apparizioni giudicate inspiegabili a un severo esame da parte della scienza, stimmate non originate da autosuggestioni, ecc.). In questi eventi occorre saper porre sempre attenzione ai "segni", verificarli, decodificarli, capirne gli ultimi e più nascosti significati, organizzarli in un insieme che conduca a un sistema di conoscenza superiore. Quale attività mentale migliore di quella intuitiva può riunire in un "unicum" tutta questa particolare ricchezza di canali informativi?

5.3 Fenomeni psi

Si sa, come da più parti riscontrato, che questi sono perlopiù di origine e produzione umana e potenzialmente interessano tutti. In realtà, però, l'esperienza insegna che essi attraversano prevalentemente la vita di alcuni individui dotati di particolare sensibilità e capacità di interazione transpersonale (E. Marabini), in grado cioè di creare correlazioni concrete più facilmente fra mente e materia e di generare così fenomeni che vanno al di là delle comuni operazioni intellettive dei più. In questi casi il ruolo dell'osservazione intuitiva consiste nella raccolta degli elementi utili, nella loro reciproca comparazione e nella definizione di quelli statisticamente più significativi. Dopo di che si procede alla loro classificazione, ovviamente dopo aver scartato tutto ciò che potrebbe risultare riferibile a giochi, a trucchi o a quant'altro provocato dalla volontà, anche in buona fede, del soggetto in questione. L'intuizione qui si presenta efficace soprattutto per quanto concerne la selezione dei dati, eliminando quelli che solo apparentemente possono richiamarsi alla fenomenologia psi, e la loro reciproca interconnessione finalizzata alla formulazione di un discorso in sé formalmente completo e coerente.


L'applicazione dell'intelligenza creativo-intutiva presenta, però, anche dei limiti che bisognerebbe tenere sempre ben presenti e che di seguito in maniera molto schematica vengono sintetizzati:

  • Non ogni vuoto è significativo nei suoi legami nascosti. Ci sono vuoti che rimangono tali, cioè campi di forze venute a formarsi come semplici accumuli di materiali, perché non alludono a niente, ma sono espressione delle pure e non tanto infrequenti casualità accidentali che pure esistono nell'universo del visibile e che in qualche maniera ne determinano quel gradiente pur vistoso di instabilità.
  • Non bisogna paranormalizzare o soprannaturalizzare ogni cosa: molto si spiega agevolmente ricorrendo alle già note leggi della fisica, della neurofisiologia, della psicologia, della biologia, dell'antropologia e della sociologia. La genetica, peraltro, con il "Progetto Genoma", in questi ultimi tempi sta disvelando molti aspetti della vita una volta ritenuti misteriosi.
  • Non ogni azione o interazione avviene necessariamente e sempre a distanza: molto più spesso la causalità si evidenzia in maniera diretta e in termini di contiguità spazio-temporale rispetto al soggetto sperimentatore.
  • Bisogna far parlare sempre i fatti, evitando collegamenti che potrebbero essere arbitrari o riferibili a eventuali convinzioni soggettive della persona in cerca magari di conferme. Mai piegarli aprioristicamente a giustificare un'ipotesi o a sconfessare un'altra forse sgradita o ritenuta dannosa per il proprio consolidato habitus mentale o status sociale.
  • Cercare con l'intelligenza intuitiva significa soprattutto intravedere in profondità e saper "scoprire" l'evidente, lasciandosi da esso illuminare e guidare, e non invece inventare ciò che in realtà non c'è. Gli abbagli e le illusioni, se non si è ben critici e soprattutto intellettualmente onesti, qui sono molto più frequenti di quanto si creda e non sempre per motivi nobili.
  • L'estensione nel campo di indagine si deve intendere come limitata a determinati settori del sapere che hanno bisogno di una loro visione globale non ancora sufficientemente chiara.
  • Si deve ricercare l'eventuale incontro con altre globalità, per accettare alla fine quella che presenta la maggiore affidabilità e la migliore coerenza logica nei suoi elementi costitutivi sia formali che di contenuto. Quindi mai chiudersi nei pregiudizi, ma sapersi confrontare sempre, imparando a riconoscere i propri limiti, compresi quelli attinenti ai dati intuiti.

Lo studio e la ricerca sulla natura e interazione nei fenomeni psi hanno bisogno di essere pianificati e condotti avanti sempre con grande rigore scientifico in modo da poterli prima ben individuare e poi distinguere da quelli presunti tali o da altri analoghi, ma di diverso significato e che potrebbero avere ben altra origine. In questo particolare settore la prudenza non è mai di troppo!

Nel campo della conoscenza la scienza ha le sue regole (ripetibilità, sperimentabilità, ecc.), ma anche i suoi margini difficilmente valicabili e questi possono essere superabili, ma sempre con grande fatica, con l'autoselettività. Quindi niente può o dovrebbe essere mai assolutizzato, come unica e totale espressione della verità, ma tutto andrebbe sempre relazionato alla complessità dei problemi, che, come tali, in teoria potrebbero prestarsi a una pluralità di letture e di interpretazioni. Tutto sta a scegliere, con mente sgombra da pregiudiziali sempre da dimostrare, quella più congrua, credibile e affidabile ai fini di avere una risposta, sia pure parziale ma almeno certa, alle tante domande poste dalle cose.

Il panorama conoscitivo prospettato dalla stessa scienza (fisica, matematica, biologia, biopsicocibernetica...) in questi ultimi tempi sta offrendo molteplici e fecondi stimoli e, sotto certi aspetti, si sta avvicinando e in qualche maniera interpellando anche i campi della filosofia e della teologia, non poche volte emarginate tout-court e sbrigativamente dall'ambito di un dibattito scientifico. Questo fa intendere che non esiste un' unica forma o modalità di approccio alla conoscenza, ma che il pensiero e il pensare sono multidimensionali e pluridirezionali e che la stessa realtà può essere considerata, visionata e sezionata sotto angolature non solo diverse ma, quando è il caso, talora anche opposte.

Da ciò deriva il necessario carattere di interdisciplinarietà che dovrebbe caratterizzare sempre ogni vera e seria ricerca scientifica. Il prof. Enrico Marabini ha ben sottolineato questa urgenza nel suo recente lavoro "La Biopsicocibernetica", che si presenta come una saggia e acuta impostazione metodologica che io condivido in pieno.

Ogni processo di avvicinamento alla verità dovrebbe, dunque, sempre assumere la connotazione della unitarietà, che di per sé è già insita nelle stesse cose: nessuno può mettere in dubbio o prescindere dallo stretto rapporto dialettico esistente e operante fra le varie espressioni del reale. Niente si spiega con sé e da sé (K. Gödel), neanche gli stessi assiomi matematici, fra i quali le interconnessioni sono così forti che l'una richiama inevitabilmente l'altra.

Una parziale contaminazione fra i diversi linguaggi e saperi, oltre che un dato di fatto, è una esigenza richiesta dalla stessa conoscenza tanto da far pensare che in fondo è come se ci si trovasse dinanzi a un medesimo oggetto, che, a seconda delle circostanze e della sua dinamica interattiva, può connotarsi sotto varie sfaccettature, ma conservando pur sempre la propria identità. Questa, forse, sarà di natura psichico-spirituale, se, secondo alcuni paradossi della meccanica quantistica, anche gli elettroni, un tempo facenti parte dello stesso nucleo, possono in qualche modo comunicare a distanza fra di loro, assumendo così la primitiva posizione (spin)? Molte osservazioni indurrebbero a questa conclusione (H. E. Charon), supportata, peraltro, dalla constatazione che ogni particella si presenta anche sotto forma di onda vibratoria, e quindi di energia e, perché no, di pensiero.

Fra materia e psichismo c'è uno scambio di reciproca impregnazione (l' "interfaccia", secondo E. Marabini), come a dire che l'una è specchio o epifenomeno dell'altro e viceversa. D'altronde l'essere esiste perché c'è qualcuno che ne indaga esistenza e natura: altrimenti è come se non ci fosse, perché non pensato. Ovviamente non è il pensiero che idealisticamente va a creare l'essere, ma senza il primo quest'ultimo non avrebbe senso, perché sarebbe materia morta.

Da qui deriva il grande potenziale conoscitivo racchiuso nell'intelligenza, sopratutto se si va a considerare la pluralità delle sue manifestazioni, ciascuna delle quali è attivata a seconda della richiesta proveniente dalla peculiare natura degli argomenti sui quali investigare, e questi sono veramente tanti!

Il processo intellettivo, però, come si è detto, si presenta anche denotato e non rare volte quasi messo in difficoltà dai suoi confini, che non sono pochi, se la principale fonte alla quale attinge informazioni è costituita dai sensi e da ciò che, a partire da questi, viene poi elaborato ai livelli superiori (percezione, astrazione). Il risultato, dunque, qualunque esso sia, sarà da ritenere sempre un approdo provvisorio e mai definitivo del conoscere.

Non tutto il reale, perciò, è conosciuto o sarà sempre conoscibile: c'è ancora tanto innanzitutto da "vedere" e poi da indagare e studiare. Basterebbe pensare soltanto all'immenso universo, del quale si sa ben poco se non una minuscola parte (seppure!), e, più vicini a noi, al "mistero uomo", sul quale, nonostante i molti progressi compiuti dalle neuroscienze, dalle tecniche diagnostiche (TAC, PET,...) e dalla stessa psicologia, sostanzialmente ancora si balbetta. Diceva Einstein: "Non tutto ciò che conta può essere contato e non tutto ciò che può essere contato conta". A questo proposito lo scrittore Marcel Proust faceva notare: "Il vero viaggio della conoscenza non è quello di scoprire nuove cose, ma quello di avere nuovi occhi". È la "curiosità", come sosteneva Aristotele, ad aprire e porre in moto la mente!

Alla base di tutto, quindi, dovrebbe sempre esserci l'atteggiamento interiore dell'umiltà, della serietà e dell'ascolto degli eventi che talora hanno un loro specifico linguaggio per farsi da noi intendere: solo così un giorno si potrà attingere un frammento di bellezza che circola nell'universo, ma che si rende spesso inaccessibile a quegli occhi attraversati dalla banalità, dalla fretta di concludere e dalla superficialità con la quale si liquidano tante domande.

Se "si è" si vede, se "non si è" si vaga e si vagherà, purtroppo, sempre nella nebbia, come a dire si rimane prigionieri dell' "ignoranza dotta". La conoscenza non può identificarsi né con un cumulo di dubbi continui senza un tentativo di trovare a essi una soluzione né con un cimitero di sole e nude ipotesi, magari costruite anche con eleganza!

Per concludere: il silenzio di una mente, quando non trova una terra amica (disponibilità e apertura), cioè un luogo fertile di conoscenza, rischia con il trasformarsi in un qualcosa di cupo, di buio e di fallimentare.

E questo, per dare un "senso al vivere", è augurabile che mai accada.




  1. N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, UTET, Torino 1964
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