I limiti della conoscenza umana/1

La realtà si presenta molto più complessa di quanto appare agli occhi della sperimentazione scientifica. Di essa molti fenomeni psi si spiegano agevolmente con i principi della Biospicocibernetica, per cui di anomalo esplicitano ben poco. Però esistono anche alcuni eventi che sfuggono a questi parametri conoscitivi e che hanno bisogno, per essere ben intesi,  di una logica diversa che faccia riferimento a una gnoseologia interdisciplinare, dalla quale non è esclusa la teologia. In questa luce essi possono assumere  un significato che va oltre il piano del puro dato fenomenico, che si ferma al "come", e alludono, con una rete di indizi, a qualcosa d'altro che andrebbe indagato con una intelligenza superiore che si fonda sulla corretta lettura dei processi intuitivi. La pluridirezionalità aiuta a capire  meglio tutte le varie sfaccettature sotto le quali si manifesta il reale. È quello che viene proposto nel presente lavoro.


La prelettura biopsicocibernetica

Come ha ben spiegato  il prof. Enrico Marabini nel suo illuminante testo "La Biopsicocibernetica" (Editrice La Mandragora, Imola 2007), questa nuova disciplina si interessa allo studio dei fenomeni psi, considerati dai più come anomali, e questi sono di natura cognitiva (precognizione, chiaroveggenza, telepatia, stati di coscienza), oggettiva (psicocinesi, apporti-esporti), apparizionale e strumentale (voci, immagini). Sostanzialmente in essa si sostiene che l'uomo è un "unicum"  con l'universo circostante e interagisce costantemente con esso e le sue parti in una sorta di feedback continuo e incessante, sicché ciò che spesso si presenta incomprensibile non è altro invece che il risultato di azioni reciproche che hanno solo bisogno di essere ben lette e interpretate. Fra le pieghe della ricchezza concettuale della Biopsicocibernetica, inoltre, alla mente attenta non sfugge, come del resto in qualche modo ipotizzato anche nella fisica e nella matematica, che il percorso conoscitivo implicitamente ammette una pluralità di gradi  di apprendimento che vanno talora al di là della consueta collocazione nel solo contesto dello spazio-tempo noto, cioè prelude a sempre nuove possibili chiavi di accesso, alcune delle quali presumibilmente sono ancora da scoprire.

L'interazione, che certamente è di natura elettromagnetica, ma non si esclude anche quella biochimica, modifica dinamicamente tutto (mente-cervello-materia), talora arricchendolo di nuovi contenuti, talaltra ponendo stimolanti interrogativi in vista  di una più alta integrazione nell'insieme delle conoscenze. L'informazione, cioè, viaggia seguendo una linea di orizzontalità ma spesso insegue anche quella di verticalità, in cui la seconda presuppone la prima ma sovente la supera e qualche volta fa richiamo indirettamente a un qualcosa d'altro, che esula assolutamente dalla semplice relazione uomo-materia. Ovviamente prima di arrivare a questa conclusione occorre sempre garantirsi che non si tratti di un flusso sequenziale legato ai processi di causalità, in sé normalmente spiegabili con il ricorso alla logica formale espressa dalla razionalità. Quindi di ogni presumibile fenomeno psi bisogna sempre predisporre una accurata prelettura, facendo riferimento ai protocolli di ricerca messi a punto dal Laboratorio di  Ricerca Biopsicocibernetica di Bologna.  In tal modo non si lascia più spazio alla fantasiosità o all'abbaglio non poche volte frutto, oltre che di ignoranza, anche di frode  o di posizioni precostituite imbastite allo scopo di negare,  stupire o  addirittura trarre in inganno il prossimo in vista di una eventuale attività lucrativa conseguente alla credulità altrui. Se non si procedesse con questo rigore metodologico, l'anomalia risiederebbe nella frettolosa superficialità con la quale si perviene troppo spesso ad  asserzioni conclusive quanto meno opinabili.


Una epistemologia interdisciplinare

In realtà la Biospicocibernetica già prevede l'urgenza di formulare un quadro di lettura di ciò che avviene con un approccio interdisciplinare (medicina, biologia, psicologia, antropologia, ecc.), per cui essa implica il fatto che un evento, specialmente quello psi, è sempre un qualcosa di complesso che ammette tante "interfacce", la cui possibile conoscenza va a completare e a precisare un essenziale nucleo di verità. Sicché essa si pone come elemento di sintesi fra istanze scientifiche e visione umanistico-transpersonale del reale.

Fino ad ora ogni disciplina ha elaborato e raffinato i propri strumenti di studio: da quella storica a quella scientifica, filosofica, letteraria, teologica, ecc. Sostanzialmente essi si fondano sul principio dell'analisi accurata dei dati,  dell'attenzione anche ai dettagli, della comparazione fra gli stessi, dell'inserimento di essi  in un complesso interpretativo dell'intera struttura, della coerenza logica fra i singoli passaggi, dei legami causali fra gli elementi che la compongono. La scienza ha aggiunto oggi qualche elemento in più:  la sperimentabilità, la ripetibilità controllata nelle medesime condizioni di tempo e di spazio, la possibilità di falsificare i dati.  Ogni conoscenza scientifica, inoltre, è per sua natura autocorrettiva e, per quanto attiene al microcosmo, anche attraversata dal principio di indeterminismo.

Quando si tratta di una verità in sé complessa è necessario che tutti questi strumenti siano ben presenti dinanzi alla mente, perché l'oggettività di un fatto interferisce e interagisce sempre con la soggettività dell'osservatore. Sicché di una realtà si può avere una conoscenza sempre e solo parziale, specialmente se poi intervengono pregiudizi ideologici, chiusure mentali o limitazioni intellettive nel soggetto.

Mi rendo ben conto che è molto difficile, se non raro, che nella stessa persona coesistano questi strumenti epistemologici e allora solo un lavoro onesto compiuto in equipe può garantire un qualcosa di serio e di attendibile. Quando poi si vanno a esaminare alcuni particolari fenomeni  definiti fuori dal comune, allora il discorso si complica ulteriormente, perché l'indagine razionale ha bisogno di essere sorretta, integrata e arricchita da riflessioni che attingono l'intuizione e, in qualche caso, la stessa teologia. Un evento, cioè, ammette più quadri di visione e  di analisi, e quindi di lettura e di interpretazione nel suo divenire e, semmai, nel suo stesso essere. Si dice, e giustamente, che i fenomeni psi sono "solo" fatti naturali: in tutti i casi è così, nel senso che comunque sono forme controllabili di  interazione, ma non sempre ciò lo è  totalmente in tutti  in quanto a significanti, perché esistono delle esperienze scientifiche (come quelle delle "voci") assolutamente inspiegabili,  non tanto nel modo, quanto nella loro allusività ultima. In tali casi lo strumento di indagine scientifica si presenta non solo utile ma necessario per autenticarle, ma, una volta ciò verificato, la scienza, perché insufficiente,  deve fermarsi e non formulare giudizi perentori, ma lasciare il campo a quella branca della teologia che si chiama "I novissimi o Escatologia".

Una epistemologia interdisciplinare, dunque, che non voglia ridurre il tutto a semplice epifenomeno umano si rende quanto mai indispensabile ai fini di una conoscenza la più completa possibile. È vero che anche così procedendo non si perverrà mai all'intera verità, ma almeno ci si avvicinerà a essa con una ragionevole e più probabile obiettività.

Tutto ciò richiede nell'osservatore-studioso o nell'equipe un interscambio continuo di informazioni con il relativo vaglio critico di ciascuna di esse e il loro successivo inserimento in un sistema-struttura ben comprensibile e che in sé evidenzi solidi legami logici. Ciò, però, non esclude affatto la possibilità, e talora la necessità, di formulare qualche ipotesi interpretativa, ad altro livello, del fenomeno in questione. La scienza qui ha il dovere confrontarsi con la filosofia e la teologia.


Il problema del flashback e della sorpresa

Non rare volte accade che improvvisamente su un problema, attorno al quale si è lavorato per lungo tempo, arrivi, come un lampo di illuminazione insperata e inattesa (flashback), la risposta. Cosa avviene di reale in questi momenti? Probabilmente dal punto di vista neurologico, dopo che gli episodi sono stati registrati nel cervello e immagazzinati in maniera imprevedibile, si verifica una sorta di rapide interazioni fra i neuroni della memoria e si perviene così a una sintesi e a una selezione di informazioni tali da far prevalere quella più importante e incisiva e comunque che possa servire meglio allo scopo di una ricerca o di una domanda.

A questo proposito nel suo saggio "Che cos'è un uomo?" Mark Twain, scettico della nozione di libero arbitrio, sostiene l'idea che l'uomo non eserciti il controllo della propria mente e delle sue opinioni: "Non sei tu ad aver creato quel pensiero- dice il vecchio nel saggio - sono gli ingranaggi della tua mente ad averlo creato, in maniera automatica ed istantanea senza bisogno che tu abbia dovuto rifletterci su".

L'intuizione di Twain si è arricchita col sostegno scientifico di un gruppo di ricercatori dell'Università G. d'Annunzio di Chieti- Pescara.  E' stato infatti pubblicato, da pochi giorni,  sulla rivista Nature Neuroscience, il risultato di una ricerca   secondo la quale i processi di decisione percettiva non debbono necessariamente coinvolgere le strutture dei lobi frontali del cervello, tradizionalmente associate agli aspetti più complessi della cognizione umana, come la coscienza, ma sono invece le stesse strutture cerebrali di base, implicate nell'elaborazione degli stimoli ambientali rilevanti per la decisone e nel controllo delle azioni che la seguono, ad essere coinvolte e quindi "attivate" dal processo di decisione percettiva.

Un lavoro questo molto interessante che illumina non di poco il problema della nascita imprevista di un nuovo pensiero.  

Dal punto di vista psicologico si attiva una riorganizzazione dei dati percettivi in modo che esca fuori, dalla loro combinazione, una completamente nuova, che in qualche maniera prima  esisteva informe e dai contorni ancora confusi, poi, come per un processo di big-bang, viene a prendere forma una nuova realtà, cioè una nuova idea. Quali "particelle", per così dire, vengono a collidere fra di loro per  giungere a un evento imprevisto e certamente creativo? A questo punto nessuno può dirlo con precisione, perché tende a scattare quel "quid" di personale che fa di ognuno una originalità: sostanzialmente è una rimodulazione del tutto, e, perché no, anche un po' di mistero ancora irrisolto. Ovviamente tutto ciò genera "sorpresa", meraviglia e stupore intellettivo: cioè si offre come un qualcosa di totalmente inesistente prima che va a inserirsi e ad arricchire il panorama conoscitivo della persona, che non è spiegabile meccanicisticamente solo con una sorta di semplici effetti prodotti dalla rete dei circuiti neuronali riverberanti. È come chiedere a un pianoforte perché produce una sinfonia: non saprebbe rispondere senza appellarsi all'artista che l'ha creata o che la esegue. Il "come" è una cosa, il "perché così" un'altra. E allora qui il discorso incrocia e interroga alcune discipline particolari, come la filosofia teoretica, la criteriologia, la fisica teorica, la teologia e soprattutto la psicologia del profondo, secondo la quale esiste un Io, centro regolatore e di attribuzione di pensieri e di azioni. Lo si chiami come si vuole (spirito, mente, anima, psiche), ma c'è, è in tutti e si presenta in  maniera individuale e irripetibile in quanto a serbatoio di particolari esperienze, a capacità rielaborativa di dati e in quanto a modalità reattiva dinanzi agli eventi della vita. I fenomeni psi devono, dunque,  in qualche modo sapersi coniugare e relazionare a questa realtà, peraltro, sempre in continuo movimento.


Il ruolo della teologia 

Stranamente dal moderno neopositivismo logico e scientifico la teologia è stata come relegata al ruolo di interpretazione e giustificazione di miti, leggende e credenze tipiche  di una società prescientifica, insomma una sorta di antropologia culturale o, peggio, di una costruzione fantasiosamente proiettiva  del desiderio ma che poggerebbe sul nulla. E invece non è così e per una serie di ragioni, che  a vario titolo a essa fanno riferimento o che ne postulano l'esigenza:
  • La vita dell'uomo non si esaurisce nel legittimo soddisfacimento delle sole esigenze di sopravvivenza fisica. C'è qualcosa di più definitivo a cui profondamente aspira e che non è unicamente frutto di una ricerca di compensazione psicologica che riequilibri la domanda dell' immaginazione o di una attività consolatoria finalizzata a rendere più tollerabile l'angoscia di ogni giorno. Ě nella natura di ogni essere conservare il proprio esistere, magari trasformato, ed escludere così il suo opposto, cioè il nulla. Nessuna affermazione può razionalmente conciliarsi con la propria autonegazione: o è o non è!
  • La stessa scienza insegna che nel micro come nel macrocosmo operano delle leggi e, come tali per definizione, queste non sono legate alla casualità. Senza di esse come si spiegherebbero le reazioni nucleari e, con largo anticipo previsionale, le apparizioni di comete, le eclissi, gli impatti con meteoriti o la possibilità degli stessi viaggi spaziali? La probabilità che dal caos, mediante la semplice evoluzione, possa venir fuori un po' di ordine è infinitesimale, se non nulla. Dunque ci deve essere qualcosa o qualcuno che in qualche modo interviene a regolare e a governare il tutto, onde evitare l'eterno avvitamento delle cose su se stesse o nel caos. E poi da dove avrebbe origine la materia? Da dove questa "particolare" composizione dell'universo conosciuto? In base a quale progettualità e con quali finalità evolutive? Le domande sono serie, anche se le risposte si presentano complicate.
  • La validità di un ragionamento è tanto più forte quanto più è aperta a una pluralità di informazioni da rielaborare e a un approccio il più libero possibile a esse da compiere. Da queste non sono escluse quelle relative al sacro e al religioso, naturalmente quelli "autentici", che nulla hanno a che spartire con la superstizione, la magia, l'esoterismo o la mitologia.
  • Tutte le "relazioni conoscitive" umane, sia di natura psicologica che sociale, si fondano prima sull'intuito e poi sul credere, quindi su un atto di fiducia, naturalmente da verificare sempre nei fatti. La fede religiosa è una di queste.
  • La scienza insegna che l'energia non va considerata come isolata dal suo contesto, ma inserita in esso perché in continua interazione con lo stesso (energia di campo). Analogamente vale per la conoscenza complessa, che non può aprioristicamente rimuovere l'apporto esplorativo anche della riflessione teologica.
  • La teologia con il suo rigore storico, archeologico e filologico può contribuire a illuminare alcune temporanee conclusioni scientifiche. Si dice che la scienza senza la fede (teologica) è zoppa e questa senza la prima è cieca. Stranamente, ma non tanto, oggi si assiste a una diffusa richiesta di incontro e di dialogo fra queste due istanze conoscitive, che solo apparentemente appaiono come fra di loro distanti.
  • La conoscenza, per essere valida, ha bisogno di aprirsi a 360 gradi, senza pregiudizi o preclusioni di sorta e senza chiudersi nei propri esclusivi schemi metodologici. Esiste anche altro sul quale interrogarsi, seguendo magari più fini e diversificati parametri d'indagine.
  • La chiara e netta percezione dell'assoluta inadeguatezza esistenziale e psicologica della finitezza della dimensione spazio-tempo con il conseguente profondo rifiuto della stessa e la necessità di prospettare una ridefinizione più "vera" al significato dell'essere e del vivere

Tenendo ben presenti queste elementari osservazioni, si nota subito come il ruolo della teologia sia quello di tentare di conferire, se non una spiegazione completa, almeno un senso e un significato a quanto accade attorno. Nell'ottica della Biopsicocibernetica si chiariscono con sufficiente linearità tutti i fenomeni psi, anche se molto c'è ancora da approfondire sulle modalità del loro accadimento, però esistono anche alcuni di essi che pongono domande, come, per esempio, le voci al registratore o alla radio, che non possono essere tutte ricondotte a eventi proiettivi o a elementi provenienti da fonti umane (radioamatori, suoni ambientali o messaggi militari, interferenze radio, influssi dell'elettromagnetismo cerebrale, il ventriloquio, ecc.).  In alcuni di questi si assiste a veri e propri dialoghi, coerenti nella loro logica sequenziale, con risposte sconosciute allo sperimentatore e spesso assolutamente inattese, lontane dalla sua normale cultura ed esperienza quotidiana, con espliciti riferimenti a realtà che sanno di invisibilità. La spiegazione del "perché così"  va cercata in altre fonti che non sono quelle esclusivamente umane o scientifiche. Poi c'è il fenomeno delle coincidenze, che, pur non rientrando fra quelli psi, pone domande sulla loro presunta casualità, perché sono convinto che nel vivere niente accade a caso, ma tutto segue un disegno talora ignoto alla ragione. Come si spiegano, per esempio, tanti fatti, come taluni incontri o eventi che contribuiscono poi a determinare una svolta nell'esistenza di una persona? E perché i fenomeni psi non si verificano in tutti, ma solo in alcuni soggetti particolari? Ma è veramente fondato e sensato asserire che il tutto si esaurisce nel solo visibile noto? Queste domande o questi "perché così" richiedono un tentativo di risposta a vasto raggio, che non può impedire "a priori" di andare anche al di là dei dati puramente sperimentali.


I limiti della conoscenza umana

Il concetto di conoscenza si è prestato e si presta tuttora a una molteplicità di letture:  
  • Rendere simile l'oggetto a quello pensato (Platone);
  • Riprodurre mentalmente i rapporti costitutivi dell'oggetto;
  • Processo dialettico che ha come oggetto il mondo dell'essere;
  • Formazione dell'immagine mentale della realtà (L. Wittgenstein);
  • Capacità di anticipare eventi futuri (H. Hertz);
  • Intuizione come visione diretta dello spirito da parte dello stesso (H. Bergson);
  • Distinzione dalla "credenza", che è l'impegno alla verità di una nozione, anche se non accertabile;
  • Identificazione con le tecniche procedurali (descrizione, calcolo e previsione dell'oggetto): è quella più diffusa oggi;
  • Rielaborazione dei dati informativi e loro inserimento in una struttura complessa caratterizzata da interni legami logici. 

L'oggetto della conoscenza  generalmente è costituito dagli enti, cioè le cose, la realtà, i fatti e le proprietà che possono essere sottoposti alle tecniche procedurali di verifica. Ci sono, però, elementi pur concreti che sfuggono a questo quadro concettuale, perché si presentano molto variegati e non per questo non possono rientrare a far parte dell'oggetto del conoscere, né possono classificarsi o qualificarsi come "credenza", perché sono "accertabili", anche se facendo ricorso ad altri strumenti di induzione.   

In questa luce si può ragionevolmente sostenere che l'intelligenza umana potenzialmente è nelle condizioni di poter attingere, certamente parzialmente e come una esigenza "in aenigmate", "anche" l'Infinito, oggetto comunque invocato dalla mente, ricorrendo all'uso del più raffinato processo intuitivo che le è proprio. Lo stanno a dimostrare tante cose: la riflessione filosofica nei secoli, le ardite ipotesi della fisica teorica, la matematica nelle sue varie articolazioni, la stessa teologia. Comunque c'è un "però":  essa inizia sempre da un "segno visibile" ed è su di esso che costruisce il proprio edificio conoscitivo. I "segni" sono informazioni che provengono dalla fonte dei sensi ed è, partendo da questi, che si producono l'atto percettivo, quello generalizzatore mediante l'astrazione e la loro integrazione in un sistema di elementi già organizzati in unità complete e significative. J. Piaget, con il suo modello della psicologia genetica,  ha descritto molto bene questi progressivi stadi del conoscere, come anche da parte di H. Gardner si è parlato di una pluralità di intelligenze e di abilità intellettive (matematica, logica, artistica, manipolativa, ecc.). Naturalmente il dato sensoriale, per non trasformarsi in un assioma, ha bisogno di essere sempre sottoposto all'analisi critica della sperimentazione, che è fatta di ripetibilità e di possibilità di essere falsificata con una ipotesi esplicativa contraria. Il risultato sarà comunque una verità parziale, suscettibile di essere ampliata e arricchita da successivi futuri apporti di elementi conoscitivi. Si dà, però, anche il caso che alcuni "segni" non siano ripetibili a volontà, come accade, per esempio, nelle relazioni, nelle quali, pur essendo vero il dato (parola, sentimenti vari, ecc.), non sempre esso è replicabile con le stesse modalità: se fosse così, si sarebbe tutti delle macchine facilmente prevedibili, e quindi controllabili, e invece non è così.

L'aspetto più alto della conoscenza si nutre, per così dire, di simboli. Ci si chiede ora: qual è il rapporto fra segno esterno e simbolo? Sostanzialmente c'è una relazione di input e di una susseguente elaborazione dello stesso, che comunque si presenta in maniera strutturata con altri piani di dati già esistenti e acquisiti. Come a dire che l'informazione, se trova o s'imbatte in un terreno pronto e flessibile, allora va a consolidare il patrimonio conoscitivo, magari potenziandolo nel suo insieme.  Se l'informazione, invece,  incontra una mente rozza o sterile, allora si perde per strada e muore senza lasciare alcuna traccia di sé.

I simboli, a loro volta, interagiscono fra di loro tanto da realizzare una sorta di gerarchia sulla quale si vanno poi a organizzare le diverse ipotesi, che devono avere alla loro base sempre legami di  natura logica (causa-effetto, non contraddittorietà, falsificabilità).

I segni esterni sono di varia connotazione: sensoriali (visivi, uditivi, tattili...) e osservativi (eventi); quelli interni: emotivi (movimenti interiori di sentimenti, ecc.).

Tenendo bene dinanzi agli occhi tutto ciò, la conoscenza umana si presenta sensibilmente limitata sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo.


A. Sul piano oggettivo

Si sa che la mente elabora i dati informativi che provengono dall'esterno. Questi ultimi, com'è ben noto, hanno una gamma estremamente definita sia in quanto a capacità di ricezione degli elementi sensoriali che in quanto alla loro estensione operativa. Se fosse altrimenti, il cervello umano esploderebbe per la quantità  di input spesso inutili (spam) e poi difficilmente smaltibili. Per poter andare un po' oltre, i sensi si servono dell'ausilio di strumentazioni tecnologiche: microscopi, telescopi, acceleratori, laser, risonanze varie, apparecchiature per leggere i raggi infrarossi e ultravioletti o gli ultrasuoni, ecc. Ma anche ricorrendo a questi indubbi preziosi mezzi, nonostante tutto, ciò che si esplora risulterà essere ancora ben circoscritto. Di conseguenza tutto ciò che si va a elaborare con le successive operazioni di percezione e di astrazione si configurerà come fortemente limitato. Sicché affermare di conoscere "tutto", se non falso, è quanto meno azzardato.  Cosa sappiamo, infatti, del prima del big-bang, dei buchi neri, dei confini dell'universo, delle sue modalità evolutive, delle grandi leggi universali, della vita su altri pianeti, della pluralità delle galassie e di ciò che in esse accade, del destino dell'universo e della nascita della vita, ecc.? Poco o niente, perché il tutto si commisura con il nostro processo conoscitivo analogico. E non può che essere così, dal momento che tale attività parte da presupposti caratterizzati da confini ben chiari in quanto a limiti.

Queste sono considerazioni che dovrebbero far riflettere sulla precarietà della conoscenza umana, il cui risultato sarà sempre provvisorio, statistico e mai definitivo.

Nel mondo oggettivo vige poi la "legge della simmetria", secondo la quale, onde evitare fuorvianti sovrapposizioni, esistono il polo positivo e quello negativo, come in una sorta di compensazione che rende la realtà in qualche maniera più leggibile, distinguibile e quindi decifrabile. E guai se non fosse così! Ma la simmetria, se sollecitata da fattori imprevisti o da turbolenze di varia origine e natura, è soggetta a variazioni e quindi presenta sempre un implicito gradiente di instabilità.

Nella realtà microscopica opera il "principio di indeterminismo" (W. Heisenberg), per il quale l'oggetto, nel momento  dell'osservazione, si modifica nella forma e nella direzione, sicché è inconoscibile nella sua natura dell' " hic et nunc".  Per non parlare poi di tutti i paradossi della fisica quantistica e di altri interrogativi che certamente sorgeranno con il progredire del sapere scientifico. Aristotele diceva che i sensi ingannano e non aveva tutti i torti: basti pensare  soltanto alle deformazioni  percettive descritte dalla psicologia della Gestalt (M. Wertheimer). Parafrasando l'affermazione del grande filosofo greco, si può tranquillamente concludere che il dato considerato "oggettivo", nella sua essenza, se non totalmente afferrabile, sarà sempre e comunque sfuggente. La scienza è un conoscere "relativo" e non  "assoluto"!

La fig. 1 offre un quadro sintetico di quanto detto sopra:

c1web.png

B. Sul piano soggettivo

Qui le variabili sono molte, anzi si può dire che ogni individuo è una realtà a sé e soprattutto composita.

Innanzitutto c'è la struttura della personalità, che in ogni soggetto è assolutamente diversa nell'organizzazione e comunque sempre mutabile nel tempo sia in meglio che in peggio.  Ci sono personalità  con equilibri semplici o fragili e talora patologici e altre che si esprimono con modalità più complesse e articolate. Tutto ciò naturalmente assume un ruolo importante e talora decisivo nel procedimento cognitivo.

Ci sono poi il grado di cultura personale e la più o meno forte incidenza di quella collettiva dominante. In queste sono implicate le convinzioni che nel tempo si sono andate sedimentando nella mente, come anche i preconcetti, i pregiudizi, la sacralità delle tradizioni e delle convenzioni sociali, ecc. C'è poi da considerare il problema della variabilità nella flessibilità e apertura dell'intelligenza, ma anche quello della forza (e talora violenza) psicologica che esercita l'ambiente circostante, che in alcuni casi arriva a bloccare qualunque tentativo di ricerca ulteriore di quell'insieme di informazioni diverse dalla propria o da quella ambientale. Sarebbe come un navigare a vista in un mare controllato spesso da guardie di frontiera e ciò costituisce un grande handicap per lo sviluppo delle conoscenze.

Non poco gioca la visione complessiva che si ha o ci si è formati della vita (weltanschauung) e che varia fra gli individui. Infatti esistono orizzonti diversi di aspettative, di sogni, di progettualità, di impegni, di responsabilità e questo non poco interferisce in quanto a capacità conoscitiva e conseguentemente anche operativa nell'ambito della propria esistenza. Ovviamente la qualità di tutto ciò può determinare un vantaggio o uno svantaggio, ma comunque delimita un confine, che si impone alla mente, anche perché il tutto è sempre in continua evoluzione.

Anche la deprivazione sensoriale,  o almeno un suo non perfetto funzionamento, può causare una fonte di numerose limitazioni. Si sa che i sensi già di per sé evidenziano uno spettro ben definito di operatività e in ogni persona c'è sempre, sia pure in maniera minima, un deficit nell'attività sensoriale, magari impercettibile, ma c'è. Da ciò è facilmente deducibile come la relativa conoscenza delle cose sia quanto mai approssimativa.

Un forte ruolo frenante o incoraggiante  nel processo conoscitivo deriva anche dalla natura e qualità dell'educazione  familiare, quando quest'ultima si presenta unita e coerente: si figuri quando non lo è! Questo aspetto  è molto importante, perché il futuro sviluppo della persona molto dipende dal clima familiare che si respira e che può offrirsi come stimolante ma anche inibente, attento ai talenti dei figli da aiutare a evolversi ma anche rozzo, lungimirante ma anche ristretto di vedute, sano ma anche patologico. Facilmente si può immaginare come tutto ciò possa influire sulla flessibilità, originalità e profondità del percorso cognitivo, con tutti i suoi orizzonti di apertura ma anche con le sue frontiere di chiusura, specialmente se l'ambiente familiare, pur potenzialmente supporto positivo, non si dispone duttile ad ogni tipologia di ricerca e quindi di conoscenza.

Un peculiare posto in questo discorso assumono le emozioni. Si sa bene quanto esse siano importanti per la qualità e il colore del vivere, ma anche quanto altalenanti, mutevoli, delicate, ma talora anche spietate, e soprattutto sensibilmente interferenti nell'apprendimento. Il fatto è che quando accompagnano e arrivano sino alla fine di una ricerca sono più che normali, ma quando interagiscono in maniera incontrollata allora non solo la disturbano e la rallentano, ma possono anche paralizzarla. La ragione risiede nel fatto della constatazione che  viene a essere posta in crisi l'attenzione, condizione essenziale per apprendere. Ci sono poi particolari emozioni che quasi immobilizzano il conoscere: dolori per lutti e malattie, gelosie o invidie covate da tempo,  desideri di vendetta, preoccupazioni varie,  delusioni affettive, ecc. Come si vede, questo concentrato di stati d'animo è una miscela esplosiva che può annebbiare e limitare la possibilità di capire e di procedere speditamente nella propria attività di pensiero.

Per ultimo molto influiscono anche alcune particolari situazioni concrete di vita: separazioni affettive, incertezze diffuse,  disoccupazione, dissesti o disastri finanziari, intralci incomprensibili a una legittima  carriera, crisi familiari irreversibili, stati ansiosi e depressivi, stress accentuati, paure per il futuro, ecc. Tutto ciò interferisce negativamente sulla serenità interiore, premessa indispensabile per un corretto formarsi dell'attività ideativa. Si sa che le interferenze, come una maculopatia degenerativa, distorcono il libero fluire dell'astrazione, spesso lo deformano, talora addirittura lo fanno regredire. Sicché pretendere conclusioni accettabili in queste condizioni è quanto mai discutibile, se non improbabile.

Nella fig. 2 viene presentato il quadro d'insieme di quanto affermato fin qui:

c2web.png

Per tutta la serie di elementi esposti sopra, allora,  è più che plausibile l'osservazione che, nell'attuale condizione di vita, si è estremamente limitati in quanto al conoscere e questo  non solo per le fonti che sono tali (i sensi), ma anche per un complesso di cause sia di natura oggettiva che soggettiva. La conoscenza umana, compresa quella relativa ai fenomeni psi, deve, dunque, fare i conti con tutto ciò, se si vuole essere mentalmente onesti.

C'è sempre ancora molto da conoscere, ma troppo spesso questo è come coperto da una fitta coltre di nebbia, e di ciò si può intuire e semmai riuscire ad afferrare solo qualche brandello  di frammento.