Le coincidenze 'non casuali' /1
(Da Il Giornale dei Misteri, novembre-dicembre 2009)

Il parlare di coincidenze e soprattutto di quelle non casuali è sempre stato lasciato ai margini di un discorso serio e approfondito. Quasi tutte le volte si è sottolineato il ruolo della "fortuna" o "sfortuna", come fossero dee bendate, si è detto che si tratta di "occasioni" e di "opportunità", cioè alla fin fine di coincidenze meramente casuali. A un'analisi più attenta dei fatti, invece, non è sempre così. Solo la vigile osservazione, un'intelligenza non distratta e la capacità di leggere i collegamenti apparentemente invisibili fra gli eventi possono dirci qualcosa o darci un'informazione più completa sulla realtà e conseguentemente sul significato  vivere.

Per comprendere bene questo dinamismo occorre precisare alcuni concetti: la coincidenza, la casualità, la non casualità, il significato ultimo delle coincidenze non casuali. Alla fine riporterò alcuni esempi concreti, traendoli dalla storia e anche dalla quotidiana esperienza di ciascuno.



Questo argomento rientra fra quelli scientifici delle relazioni fra persone e di quelli fra persone-eventi esterni con la relative critiche decodificazioni che della natura delle stesse bisogna saper trarre. Il metodo scientifico non è solo quello caratterizzato dalla ripetibilità e dalla falsificabilità di un fatto o di un'ipotesi: sarebbe estremamente riduttivo e parziale, come sarebbe altrettanto minimalista affidarsi solo o prevalentemente all'analisi strumentale di un fatto. Quest'ultima può arrivare a spiegare il "come", ma certamente non va oltre, perché è sempre richiesto l'intervento dell'intelligenza per capire, o tentare di capire,  le cose nella loro complessità. Da qualcuno, come Alessio Feltri, oggi si parla di "inversione epistemologica": forse è un'affermazione esagerata, ma un fondo di verità c'è e questo consiste nel permettere al pensiero di procedere con accorta libertà senza essere condizionato o, peggio, schiavo degli strumenti ufficiali d'indagine che si è creato, che, non si dimentichi mai, sono solo semplici mezzi provvisori e nulla più. Il vero problema è dato dalle distorsioni sociali dell'analisi scientifica, che hanno diviso il mondo degli scienziati in  sottoclassi non rare volte conflittuali fra di loro. È nato così il concetto di scienza ufficiale, perlopiù identificata dal cliché della pubblicazione dei lavori su riviste "autorevoli" e contrapposta al limbo degli stregoni, che hanno finito inesorabilmente per scivolare nell'immaginario collettivo al livello di meri cronisti del mondo delle coincidenze.

Il reale, invece, è un prisma che ha più interfacce, come giustamente si afferma nella Biopsicocibernetica, e questo spinge ad esplorare le cose sempre con la dovuta umiltà. Le relazioni fanno parte del campo scientifico, ma vanno studiate con un altro metro di indagine che non si rifà ai canoni classici della metodologia scientifica, ma si appella all'analisi della illuminata intuizione. È proprio dal corretto uso di quest'ultima che sono venute fuori le migliori e più feconde scoperte scientifiche: l'intuizione sostanzialmente non è altro che una vigile "osservazione" della realtà, ma sotto un'altra prospettiva, una sorta di rimescolamento di carte.

È in questa luce che deve essere inquadrata una delle questioni più interessanti e anche misteriose, per non dire talora inquietanti, che ha affascinato da sempre e continua ad affascinare la vita degli uomini: le cosiddette coincidenze; avvenimenti e fatti che si verificano in modo sorprendentemente collegato alle nostre aspettative, alle nostre speranze o anche ai nostri timori. Si tratta di episodi abbastanza frequenti che si ripetono a intervalli più o meno regolari nella vita di ognuno e, anche in conseguenza di ciò, la stragrande maggioranza delle persone si abitua a non dare importanza a tali manifestazioni, anzi più sono inspiegabilmente "coincidenti", maggiormente vengono rapidamente relegate nel dimenticatoio dei ricordi..

Il fatto è che  non tutte le coincidenze sono casuali: molte di esse si presentano come il frutto di volontà espresse o di movimenti in atto, di desideri che si esternano con grande forza e, anche, di energie in attività, solo che  si manifestano in modo meno chiaro e immediatamente visibile e percepibile, perché non appartengono alla sfera del comportamento quotidiano o delle esperienze più omuni e familiari. Quando ci si allontana dal mondo che noi siamo abituati a frequentare, a conoscere e a vivere, molto spesso accade che si tende a sostituire quella che dovrebbe essere una doverosa curiosità con atteggiamenti timorosi e cauti, nella perenne ricerca di situazioni tranquille e  confortevoli che confermino le nostre consolidate opinioni e sensibilità.

Anche quando una coincidenza sopraggiunta è troppo strana e inspiegabile per essere soltanto una coincidenza, ci si limita a un sorriso abbozzato non si sa verso chi e per che cosa, a una sorpresa silenziosa e subito repressa, a formulare una domanda, una richiesta di spiegazioni che poi  si lascia perdere per strada senza il coraggio di rivolgerla né a se stessi né ad altri. E così ci si adagia sulla non conoscenza, si voltano le spalle per guardare altrove, cioè verso i luoghi delle consuete e più rassicuranti abitudini, abbandonandosi così nelle nebbie della ben nota ma spesso deprimente quotidianità.  E invece bisognerebbe cercare di capire.

Dov'è, dunque, l'inversione epistemologica? È nel semplice: occultamento delle informazioni, che  ha fatto sì che ogni nuova pubblicazione fosse afflitta o dalla mancanza di conoscenze o dall'impossibilità di citarle. Contemporaneamente ogni nuova affermazione viene rapidamente divulgata ed acquisita in maniera acritica, essendo basata la sua veridicità solamente sull'autorevolezza delle fonti, in aperto contrasto con il metodo scientifico corretto. Questo ha innalzato artificiosamente il livello di soglia per l'accesso a nuove idee, essendo molto più comodo per qualsiasi scienziato rimanere nel quieto ambito dell'universalmente accettato, piuttosto che avventurarsi in ricerche coraggiose.

E qui ci imbattiamo nel paradosso: le verità scientifiche conclamate, specialmente in alcuni settori, come quello astrofisico,  di cui è difficoltosa la riproducibilità in laboratorio, vengono ogni giorno contraddette dalle osservazioni e spesso non sono verificate neppure parzialmente, per cui accettarle a pieno titolo nella conoscenza collettiva è un processo del tutto affine alla superstizione. Dall'altra parte l'aumento esponenziale delle informazioni disponibili ha elevato enormemente il numero delle coincidenze, fino a dar loro quasi il carattere di campione statistico, e quello che è più significativo è che ormai le coincidenze sono verificabili, riproducibili e conducono frequentemente alla formulazione di modelli previsionali più accurati e veritieri di quelli tradizionali, in quanto sottoposti ad affinamenti progressivi sulla base di una pragmatica metodologia di prova ed errore o seguendo  le leggi della Teoria del Caos (sensibilità alla variazione delle condizioni, imprevedibilità, presenza in uno spazio ben definito).

Per spiegare meglio come si sia originata l'inversione epistemologica, ci si deve chiedere come mai non si sia ancora pervenuti alla formulazione della GTU, quella Grande Teoria Unificata che avrebbe dovuto legare tra loro tutte le principali forme di energia dell'Universo. Dunque manca qualcosa!



"Le coincidenze non esistono!" Quante volte questa frase è stata pronunciata nelle sue molteplici varianti da migliaia di persone. Quante "coincidenze perse"? Quante "coincidenze impossibili"? Quante "coincidenze inesistenti"? Lo stesso nome "coincidenza" sembra ricordare in maniera ironica quanto possa essere del tutto casuale la possibilità di riuscire a raggiungere la meta. Una casualità dipendente da coincidenze, coincidenze dipendenti da casualità. Un gioco che non si penserebbe mai possa essere legato a un eventuale Piano.

Il concetto di coincidenza rinvia a quello di un evento che accade "a proposito" in un particolare contesto vitale. È come se manchi un "qualcosa" e questo viene a concretizzarsi in un fatto reale. Ovviamente perché possa dirsi tale occorre saperlo "riconoscere", cioè leggerlo prestandovi la dovuta attenzione. È come un elemento che si inserisce in un puzzle incompleto e che inaspettatamente viene a presentarsi per perfezionarlo. Inviato e prodotto da chi? Nessuno può dirlo con certezza, ma semplicemente avviene. È nello stesso concetto di coincidenza che sono inclusi quelli di "incidenza" e di "così", cioè di fatti che vanno a determinare una svolta in un determinato sistema di azioni, che viene come ad essere perturbato nel suo precedente equilibrio con l'inserimento di un nuovo fattore: perciò il "così", cioè la facilitazione offerta alla formazione di un diverso e più ordinato equilibrio.

Il concetto di coincidenza, inoltre, implica quello di arricchimento del tessuto esperienziale, intendendo con questo che il vivere umano è in continua evoluzione e, quindi, come tale è nella capacità di ampliare sempre di più i suoi connotati essenziali. La coincidenza, in questo dinamismo, si pone come una "possibilità", che ovviamente andrebbe raccolta al volo perché possa trasformarsi in acquisizione di una nuova conoscenza.

La coincidenza, infine, fa parte di quell'insieme di imprevedibilità che costituiscono il nucleo dell'umana libertà. Quest'ultima, si sa, va incontro a tante nuove aperture in quanto a opportunità, a occasioni, a eventi non programmati. Tutto sta a saper capire quali di questi sono significativi e quali no, quali possono integrarsi in un vissuto in modo da aiutarlo a progredire e quali non servono perché magari banali.

Comunque la vita va sempre osservata con attenta lucidità e scrutata nelle pieghe più intime: c'è sempre qualcosa che potrebbe celarsi e che, come tale, sfugge allo sguardo distratto.



Il "caso" è la negazione di una logica prevedibile e di una sequenza ordinata, di una spiegabilità in termini razionali di un evento o di un incontro o di quant'altro si riferisce all'agire. Tante cose accadono così, semplicemente come lo stare in una stazione e osservare tanta gente che passa e va oltre, come il sostare sul marciapiede di una strada e notare le molte macchine che girano e svoltano magari in direzioni opposte oppure trovare per strada un foglio di carta a terra senza che dica nulla di rilevante. Le casualità sono tante, come un incontro su un aereo che non lascia traccia, trovare oggetti che se osservati attentamente non esprimono niente, sentire discorsi inutili, leggere notizie che approdano al vuoto, ecc..

La casualità di per sé rientra nel calcolo probabilistico di quelle realtà che sono comuni e che non hanno un significato preciso per il soggetto. Niente, dunque, di importante ma semplicemente una sequenza di fatti che si ripetono senza un connettivo.

Parlando, per esempio di matematica applicata al gioco d'azzardo, quali criteri deve soddisfare una sequenza di numeri per potersi definire  casuale? È qui che si colloca la teoria di R. Von Mises, la cui elaborazione ebbe inizio negli anni Venti. Per Von Mises i giochi d'azzardo sono da riguardarsi quali paradigmi del concetto di casualità.  Pertanto una sequenza di numeri è casuale quando esibisce la stessa caratteristica propria degli esiti dei giochi d'azzardo.  Ma qual è questa caratteristica? Nei giochi d'azzardo non esiste alcun sistema che, a lungo andare, aumenti le chance di vittoria. Parimenti, il requisito essenziale perché una sequenza possa definirsi casuale consiste nella completa assenza di regole che possano essere applicate con successo allo scopo di migliorare le previsioni circa il numero successivo. Questo principio prende il nome di "Principio dell'impossibilità di un sistema di gioco" o "assioma del disordine".

Applicato a sequenze infinite, il Principio dell'impossibilità di un sistema di gioco esclude, però, qualsiasi controllo effettivo della casualità della sequenza stessa. Una sequenza del tipo:

1 0 1 0 1 0 1 0 1 0 ...

e così via per un miliardo di miliardi di 1 e 0, è all'inizio regolare; ma se poi, dopo tutti questi miliardi di miliardi, alla fine, cessa la regolarità ecco che diventa del tutto legittimo parlare di sequenza casuale.
Come controllare empiricamente questo genere di casualità? Quanti elementi dobbiamo considerare come "inizio" e quanti come "fine"? Di contro alla teorizzazione di Von Mises, Popper propone un altro tipo di sequenza casuale: una sequenza finita, di cui si può dire che è casuale "fin dall'inizio".
Per Popper le sequenze casuali sono costruite con una regola matematica, in modo tale che di un segmento finito, corto o lungo che sia, si possa dire che è tanto casuale quanto è consentito dalla lunghezza del segmento stesso. Popper esprimeva queste idee nel 1934. Ora si ritrovano nei sistemi fondati su precise regole matematiche per costruire sequenze di numeri casuali.  È chiaro che se conosciamo la regola con cui costruire una sequenza, questa non è più definibile a rigore come casuale:
ogni numero, infatti, sarebbe predicibile con probabilità uguale al 100%.

Un po' di storia. L'esecuzione del destino assegnato a ciascuna persona era, secondo i Greci, connessa alle Moire. Figlie di Zeus e di Temi o secondo altri di Ananke, rappresentavano il passato, il presente e il futuro:  Cloto, che filava lo stame della vita, Lachesi, che lo svolgeva sul fuso e Atropo che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile.  La lunghezza dei fili prodotti può variare, esattamente come quella della vita degli uomini: A fili cortissimi corrisponderà una vita assai breve, come quella di un neonato, e viceversa.  Si pensava ad esempio che Sofocle, uno dei più longevi autori greci (90 anni), avesse avuto in sorte un filo assai lungo. Si tratta di tre donne dall'anziano aspetto che servono il regno dei morti, l'Ade. Il sensibile distacco che si avverte da parte di queste figure e la loro totale indifferenza per la vita degli uomini accentuano e rappresentano perfettamente la mentalità fatalistica degli antichi Greci.

Se la casualità è un fatto irrilevante non colpisce che minimamente la nostra attenzione. Va osservato, però, che un fatto casuale o accidentale può produrre effetti che sono completati da azioni volontarie, che a loro volta generano fatti casuali e così via in una concatenazione di eventi non prevedibili a priori. Si può quindi parlare di eterogenesi dei risultati e eterogenesi dei fini in quanto appare evidente che l'intreccio fra casualità e volontarietà dà origine a un insieme di prevalente casualità.



Qui il discorso cambia e precisamente sul piano della significatività che un evento può assumere in un determinato contesto sia scientifico che umano. Quando esso accade vuol dire che non è un fatto semplicemente probabile o che sequenzialmente "può" verificarsi: esso prescinde sia dal primo che dal secondo elemento. Si realizza cioè al momento "giusto" e più inatteso. Ma cosa realmente avviene? Succede che, trovandosi in un processo di ricerca di una risposta a una domanda interna o esterna a se stessi, improvvisamente, legata a un evento, si delinea la soluzione cercata, come una sorta di un "quid" che è come stesse sciogliendo un nodo, a prima vista aggrovigliato.

Da dove proviene questo "quid"? Probabilmente da una serie di cause: psichismo evoluto e interazione fra più realtà psichiche al di là della loro coscienza, interazioni fra particelle elementari ancora sconosciute che compongono il cervello umano, intervento (perché no?) di una dimensione vibratoria superiore che "vede e conosce" quella inferiore, cioè la nostra (Teoria delle stringhe), intervento del divino che non si può eliminare tout-court e a priori, ecc.

La non casualità, infine, è caratterizzata dagli effetti non solo in quanto a significato o a soluzione di un problema, ma anche da una nuova ricomposizione, direi, armonica di una teoria o di una vita. Quante scoperte hanno seguito questa direzione, nel senso che "sorge" così l'anello mancante in una catena e quest'ultima acquista una sua ordinata fisionomia. Come pure in campo teorico talora accade che, in seguito a un incontro imprevisto con una persona o un testo scritto, è come se spuntasse una "particolare" intuizione che a sua volta va a illuminare una parte di un'ipotesi, che in alcune sequenze si presentava magari lacunosa o slegata e il tutto alla fine riacquista una sua struttura d'insieme elegante, leggibile e pienamente comprensibile dal punto di vista logico. Evidentemente una tale intuizione non è stata allora casuale, ma opportuna e "ad hoc". Si può tentare una spiegazione ricorrendo alla natura del processo creativo che implica una ricombinazione di dati, ma sostanzialmente resta un qualcosa di inspiegabile razionalmente nel suo "perché proprio così"né il calcolo delle probabilità può esserne una giustificazione.

Una sequenza di fatti di questo genere può essere così rappresentata:

F1 + F2 + F3 +F 4  ∞

In essa: F1...= Eventi spiegabili razionalmente; = Evento che va oltre una deduzione  razionale e richiede un'altra via di investigazione
Se si è bene attenti ai fenomeni che accadono attorno a noi, la non casualità, dunque, è una realtà che fa parte dell'esperienza non solo del  vivere quotidiano ma anche di quello dell'intero universo, il cui ultimo scopo decisamente a noi sfugge.