Dal pensiero comune a quello "Alto".
La mente umana è una realtà molto complessa e, sotto certi aspetti, ancora un insoluto mistero. Essa è capace di raggiungere  altezze raffinate, ma anche le bassezze più esecrabili. Ad abitare, per così dire, la mente è il pensiero, che è anche il prodotto dei suoi processi elaborativi. Naturalmente essa non è ferma, ma si trova in un continuo stato dinamico, che la pone in condizione di generare una infinità di sfumature in quanto a varietà di idee e di contenuti. Da cosa è determinato tutto ciò? Da tanti fattori: grado evolutivo della persona, patrimonio genetico, natura e qualità degli stimoli, ambiente familiare e sociale, ecc.

Nel presente studio verranno tratteggiati questi passaggi, che non sono automatici,  ma rispondono a una legge fondamentale, che è quella della linearità progressiva, quando è  libera da resistenze o condizioni pregiudizievoli.


Il pensiero


Il termine pensiero deriva dal latino  pensum (participio del verbo pendere: "pesare") e stava a indicare un determinato quantitativo di lana che veniva appunto "pesata"  e poi passata alle filatrici che avevano il compito di trattarla. Il "pensum" era quindi la materia prima, designante metaforicamente un elemento o un tema che doveva essere in seguito trattato, elaborato e acquisire così una nuova forma.

Il pensiero si presenta come un qualcosa di straordinariamente semplice, la cui attività con il "pensum" si esplica nel comporre oggetti.

Il pensare è caratterizzato da alcune proprietà:

  1. Utilizzo di modelli, simboli, diagrammi e disegni;
  2. Utilizzo dell'astrazione;
  3. Utilizzo della ripetizione   e della ricorsione per la formazione del concetto;
  4. Riduzione dell'attenzione finalizzata a un aumento della concentrazione focalizzata su un concetto;
  5. Impostazione e revisione degli obiettivi fissati;
  6. Utilizzo del dialogo e del confronto con altre menti pensanti.
A. Il pensiero dal punto di vista filosofico

In alcune correnti della storia della filosofia, come nell'idealismo, a cui appartengono filosofi pur diversi tra loro (Platone, Berkeley, Fichte, Schelling, Hegel...), il pensiero è stato solitamente contrapposto ai sensi fino ad essere considerato sinonimo della realtà stessa.

Anassagora, fra gli antichi greci, riteneva che il pensiero non fosse dei singoli ma appartenesse ad una mente universale (detta Νούς, Nùs) o Intelletto cosmico, che poneva ordine nel caos primordiale.
Pitagora identificava nel numero il fondamento del pensare e della stessa realtà: secondo lui,  il pensiero era strutturato secondo le leggi della matematica.

Per Parmenide ogni pensiero è sempre pensiero di qualcosa. Nel Poema sulla natura scrive: "Senza l'essere ... non troverai il pensare". Perciò il divenire, presentato dai sensi, non è pensabile, perché è  impossibile che l'essere nasca e muoia. La via maestra per approdare all'essere è proprio il pensiero, che deve abbandonare ogni dinamismo per riconoscere la semplice verità secondo cui "l'Essere è, e non può non essere".

Con Socrate il pensiero  nasce e si sviluppa essenzialmente come pensiero critico e come autocoscienza dei propri limiti: suo oggetto non è la verità, ma il dubbio da chiarire.

La dimensione ontologica (la verità) sarà resa più esplicita dal suo allievo Platone, che distinse due modalità del pensiero:
  • quello intuitivo, capace di cogliere più propriamente la verità dell'Essere, coincidente con le Idee;
  • e quello logico-dialettico, basato sul ragionamento discorsivo e sulla confutazione dell'errore.
Il primo tipo ha la capacità di trascendere i fenomeni sensibili risalendo fino all'astrattezza dell'unità, il secondo invece è rivolto a distinguere e analizzare il molteplice. Il pensiero intuitivo è però superiore a quello dialettico, perché guida il filosofo verso la contemplazione, mentre la dialettica è solo uno strumento. Le Idee sono il fondamento e la meta finale del pensiero: esse sono per così dire le "forme" del pensiero, i modi con cui ci è dato pensare il mondo. Platone così concepisce il pensiero in forma gerarchica: al livello più alto esso è identico al pensiero statico parmenideo, e riflette in pieno la verità dell'essere; man mano che si scende giù nella gerarchia, però, il pensiero diventa sempre più inconsistente e fallace.

In seguito Aristotele, pur respingendo la teoria platonica delle idee, formulerà una distinzione abbastanza simile a quella del suo predecessore: per lui vi è da un lato il pensiero intuitivo-intellettivo (o noético), capace di cogliere le essenze universali delle realtà che ci circondano, astraendole dal loro aspetto particolare e sensibile; dall'altro vi è il pensiero logico-sillogistico, che da quei princìpi primi fa scaturire delle conclusioni coerenti con le premesse, scendendo a definire e catalogare il molteplice. La dinamica è la seguente: l'Essere tende a passare dalla potenza all'atto, i sensi ne attivano un primo movimento  (pensiero latente, Intelletto potenziale), intervento dell'Intelletto attivo dotato di coscienza, autocoscienza, contemplazione sell'Atto Puro (pensiero di pensiero: Dio).

Con il Neoplatonismo il pensiero mantenne e anzi acquistò una valenza maggiore non solo sul piano conoscitivo, ma anche su quello ontologico e salvifico, nel senso che l'anima (in forma di autocoscienza) vi ritorna per mettersi in salvo. Solo nell'autocoscienza infatti il pensiero riesce a cogliere la verità su di sé. Al di sopra di tutto c'è l'Uno assoluto per arrivare al quale il pensiero deve completamente annullarsi, spogliandosi e uscendo da se stesso in una condizione di estasi. (Plotino)

Per farsi meglio comprendere, Plotino paragona l'essere alla luce: su un piano assoluto, il principio della luce è contrapposto all'ombra. La luce, man mano che si allontana dalla sorgente, tende ad affievolirsi, non perché si trasformi in ombra, ma solo perché viene a mancare.  Nell'oscurità, come vedere il buio significa non vedere, così pensare il nulla equivale a non pensare affatto. Fondamento del pensiero per Plotino sono le Idee platoniche, che poi sono "il pensiero" per eccellenza, cioè infiniti modi di pensarsi di quell'unica Mente o Intelletto (Nùs), che emana dall'Uno e coincide con l'Essere. Di quest'ultimo non è dimostrabile l'esistenza, ma esso si giunge, mediante il processo intuitivo, solo con l'ascesi mistica.

In seguito saranno  gli autori cristiani, come Sant'Agostino, San Tommaso d'Aquino, San Bonaventura, Cusano, ecc.,, a fare propria la tradizione neoplatonica e aristotelica, che facevano del pensiero (contrapposto ai sensi) la chiave di accesso alle realtà trascendenti e a Dio. Elementi fondamentali sono: il principio di non contraddizione, il riconoscimento dell'intuizione,   come  forma suprema e immediata del sapere, coincidenza fra essere e pensare, complementarietà del pensiero alla fede (Sant'Agostino), il pensiero come forma di amore con il quale Dio si rende presente all'uomo (San Tommaso),  il pensiero come originato da una Verità attingibile solo con l'intuizione (N. Cusano).

Nell'età moderna  Cartesio per primo cercò di costruire un sistema di pensiero autonomo, indipendente da criteri teologici: per lui  hanno valore soltanto quei pensieri di cui si ha coscienza e che sono definiti in forma chiara e oggettiva. L'empirismo anglo-sassone riduce il pensiero a un fatto, un concetto fissato e "plasmato" dall'esperienza sensibile, in maniera quasi meccanica con una attività mediata dai sensi .

Dopo Cartesio, tuttavia, ci furono nell'Europa continentale dei tentativi di riportare il pensiero alla dimensione ontologica e intuitiva dell'Essere con Spinoza (unità fra idea e realtà) e Leibniz (esistenza di diverse gradazioni di pensiero fino a quella suprema dell'autocoscienza).

Per Kant il pensiero è una sorta di "legislatore della natura", cioè lavora quando riceve dati da elaborare. 

Partendo da Kant, Fichte e Schelling arrivarono ala conclusione che dal pensiero nasce e si produce tutta la realtà.

Hegel sostanzialmente concepiva il pensiero come un fatto che sottometteva a se stesso, anche l'aspetto ontologico delle cose.

Al giorno d'oggi prevalgono, da un lato, spiegazioni del pensiero di tipo materialista e meccanicista, per cui il pensiero sarebbe un prodotto fisiologico del cervello ottenuto dall'estrema complessità delle connessioni neurologiche, da un altro la critica linguistica alle contraddizioni di cui sopra.

B. Il pensiero dal punto di vista psicologico

In psicologia, il pensiero è considerato una delle più alte funzioni cognitive e viene studiato in maniera interdisciplinare con la logica, l'intelligenza artificiale, la teoria dei giochi. Si pensa cioè più al modo come esso nasce si sviluppa (Piaget, Skinner, la Psicologia della Gestalt) che a definire la natura del pensiero stesso. In modo particolare Piaget distingue tre stadi: preoperatorio, operatorio e formale. La ricerca contemporanea, soprattutto grazie alle neuroscienze, sta mappando con sufficiente precisione le varie cerebrali  interessate alla modulazione di determinati pensieri (area logico-matematica. area artistico- creativa, area delle emozioni, ecc.).   

C. Il pensiero in psicoanalisi


In psicoanalisi  (Freud) vengono considerati pensieri tutti i processi cognitivi, sia quelli situati al livello della coscienza (e tra questi i processi cognitivi di tipo discorsivo e mediato), sia quelli che avvengono a un livello inconscio. Sempre secondo la psicoanalisi, molte realtà che noi crediamo esistano realmente come fatti concreti, ad una più attenta indagine si rivelano essere semplicemente e nulla più che proiezioni del pensiero fuori di noi, quindi solo realtà interiori.

Nella psicoanalisi un posto centrale acquista lo studio del sogno, che, secondo questa disciplina  sarebbe una modalità di pensare come altre, ma che diversamente dal pensare razionale non sottostà alle regole proprie al pensiero controllato dalla ragione ma ha regole sue proprie q quindi il pensiero inconscio si presenterebbe come autonomo da quello cosciente, che così non sarebbe più quello unico o principale. Lacan andò oltre Freud relegando l'io in una posizione secondario rispetto all'inconscio, da lui chiamato Logos.

La scoperta e la messa in giusto valore del fattore inconscio da parte della psicoanalisi fa sì che questa disciplina costituisce un punto di rottura rispetto alla tradizione precedente della storia del pensiero filosofico.

D. Prospettive filosofiche contigue

Questa tesi della psicoanalisi sull'autonomia dell'inconscio ha influito sulle elaborazioni seguenti in vari altri campi come per esempio la filosofia contemporanea dove la critica dell'Ego quale istanza del pensiero aveva precedentemente subito una serie di analisi critiche già a partire dal filosofo empirista David Hume, precedendo in questa critica Friedrich Nietzsche  fino ad arrivare ai nostri giorni a Martin Heidegger  che giunge a negare che il soggetto del pensiero sia l'uomo bensì l'Essere  stesso e che l'uomo sia solo un tramite.

E. Il pensiero dal punto di vista antropologico

Secondo Lev Semyoronovič Vygotskji la natura del pensiero è socialmente determinata dalla cultura d'appartenenza. Egli suddivide il pensiero in due tipologie:
  • processi cognitivi elementari,  comuni a tutti gli esseri umani, che consentono loro la percezione del mondo: astrazione, categorizzazione, induzione e deduzione;
  • sistemi cognitivi funzionali: il modo di organizzare la conoscenza dipende dal contesto culturale e dalla necessità di risolvere particolari problemi. Ogni cultura, quindi,  ha un sistema cognitivo diversi.
Vygotskij definì 2 stili cognitivi diversi:
  • stile cognitivo globale:  dalla totalità del fenomeno ai suoi particolari;
  • stile cognitivo articolato: dall'articolazione dei singoli elementi alla visione globale.
Questi due stili non sono antinomici ma si trovano in un continuum e possono dipendere dalle necessità di un individuo.

F. Pensiero e comportamento

Il comportamento è preceduto dal  pensiero  già al livello del pensiero. Il comportamento non è altro che l'estrinsecazione di una visione del mondo. Da questo punto di vista la vera azione si opera già sul piano del pensiero, di cui  il comportamento è solo un fenomeno secondario o derivato.

L'attività del pensare è,o dovrebbe essere, quella che meglio caratterizza l'essere umano. In realtà tutti pensano, la differenza sta nella qualità e nei contenuti del pensiero: è da questi se esso sarà banale, comune, debole, forte, alto. Le condizioni (qualità, contenuti), a loro volta, dipendono dalla raffinatezza o meno delle strutture del pensare (logico, matematico, artistico, intuitivo...) e dalla natura delle informazioni immagazzinate. Un modo di pensare raffinato procede per elaborazioni lente delle idee, con chiarezza e alla fine perviene a una sintesi, che è la conclusione naturale di un intero ragionamento. Naturalmente la sua comunicazione verbale è articolata in maniera discorsiva e pacata, senza contrazioni linguistiche e senza enfasi oratoria. Ovviamente il tutto va riempito di contenuti essenziali, veritieri, di forte spessore significativo. Al pensiero qualitativamente raffinato si perviene gradualmente, ma, se si è mentalmente liberi e aperti, anche con una costante continuità, che può ammettere momenti di stasi, ma comunque li supera più o meno agevolmente.


I "salti" conoscitivi della mente
La conoscenza è un processo che può essere progressivo, ma anche regressivo, e quest'ultimo dipende da eventuali resistenze o addirittura da ostacoli veri e propri che provengono sia dall'interno della persona (stati emotivi alterati, disequilibrio temporaneo, patologie cerebrali o di altra natura, ecc.) che dall'interno (povertà di stimoli, bisogni impellenti di sopravvivenza da soddisfare, difficoltà economiche e familiari, lutti e sofferenze varie, ecc.). Nulla vieta che anche questi ostacoli possano trasformarsi in elementi di spinta a proseguire nel proprio percorso conoscitivo, ovviamente dopo averli bene elaborati e  in qualche modo liberati dal loro potenziale frenante. Il "salto" implica che ogni tanto si determini l'insorgere di una particolare illuminazione che va a rafforzare quanto si è conosciuto e a  prefigurare nuovi orizzonti da esplorare e nei quali immergersi con un più accurato progetto di ricerca. In questo modo il cammino evolutivo nella conoscenza prosegue senza sosta perché ogni punto di arrivo diventa uno di partenza per altre mete. E questo vale per ogni ambito di studio, ma soprattutto nella sua globalità: si va cioè da complessità in complessità. Naturalmente tutto ciò presuppone che ci sia la voglia di conoscere sino in fondo l'essenza ultima delle cose, che, per loro natura, sembrano presentarsi quasi come infinite.

Questi "salti" della mente prevedono varie tappe: il pensiero comune, quello debole, il forte, quello comico, il tragico, quello alto.

Il pensiero comune
Si intende per pensiero comune quello legato all'espletamento delle attività quotidiane, come il lavoro, la cura di qualche interesse, i problemi connessi alle necessità di ogni giorno (salute, cibo, sesso, ecc.), l'accettazione della moda comportamentale dominante, l'assenza di critica, ecc. Il mondo sembra essere circoscritto nei confini della quotidianità, non si va oltre il dato visibile e ripetibile, si rimuovono domande e ricerca di risposte, si pensa prevalentemente se non unicamente al "carpe diem",soprattutto si è chiusi nel recinto della soddisfazione dei propri esclusivi interessi. Un pensiero di questo genere produce appiattimento, mancanza di slanci emotivi, assenza di prospettive, negazione del possibile, vuoto di progetti, spesso ansia e depressione dinanzi a una realtà non rare volte conflittuale e contraddittoria. Alla base del pensiero comune ci sono vari elementi: la crisi della metafisica e della riflessione filosofica, il dominio quasi assoluto dello scientismo e della tecnologia, la perdita di distinzione fra mezzi e fini, la dipendenza dalle ideologie dominanti (economia, , mercato), la relatività di ciò che un tempo si chiamavano valori, il soggettivismo esasperato, l'assenza di uno scopo. Ovviamente con queste premesse non si va oltre il contingente, perché tutto sembra essere ridotto a logica puramente formale o a matematica. In un universo conoscitivo di questo genere non c'è tanto spazio per un possibile pensiero che vada oltre na banale visione del vivere.
Si potrebbe così rappresentare questa carenza di dinamica:
+ , -     I + E      =        + , - CA

Dove I= Informazione, E= Etica, C= Conoscenza, A= Alta

Il tutto è unito da questa duplice interna connessione, che riguarda da una parte il complesso coerente della struttura conoscitiva e dall'altra la coscienza della necessità di una profonda onestà mentale.
Il pensiero, allora, resta comune se il tutto è orientato verso il meno.

Il pensiero debole
Il pensiero debole è un concetto introdotto dal filosofo Gianni Vattimo, fra i massimi esponenti del postmodernismo europeo, per descrivere un importante mutamento nel modo di concepire la filosofia. Tale mutamento, introdotto secondo Vattimo dall'opera di pensatori come Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Gadamer, Deleuze, è caratterizzato dal cadere di numerosi presupposti che stavano alla base della filosofia classica e della tradizione filosofica occidentale.

L'espressione "pensiero debole" si contrappone al pensiero forte di concezioni come quella marxista o cristiana.

Il pensiero debole si presenta come una forma particolare di nichilismo e parte dall'assunto che con le filosofie di Nietzsche e Heidegger (in particolare del secondo Heidegger) si sia attuata una crisi irreversibile delle basi cartesiane e razionalistiche del modo di filosofare, modificando così il pensiero così come si era sviluppato durante l'età moderna.

Tratti comuni delle filosofie dell'era moderna, tutte figlie della tradizione del pensiero greco e della Weltanscauung  (visione del mondo) giudaico-cristiana sono caratterizzati:
  • dalla presenza di un ruolo forte del soggetto, sia sul piano dell'etica, sia sul piano della conoscenza;
  • dal binomio essere-verità, intendendo l'essere come fondamento forte di tutto ciò che è e la verità come sua manifestazione e autoevidente;
  • dall'ottimismo di fondo circa la governabilità, la prevedibilità, la logicità e la finalità della storia;
  • dalla distinzione, in ambito scientifico, fra la spiegazione razionale del fenomeno e l'interpretazione basata sull'idem sentire e sul coinvolgimento comunicativo.
Il Superuomo di Nietzsche, ridefinito da Vattimo Oltreuomo, non è più il soggetto forte del Cristianesimo, ma colui che assume, accetta e fa proprio il destino e la destinazione di tutto ciò che accade nella natura e nella storia, e in generale nella sua esistenza. Da qui il concetto di deriva destinale dell'essere, concepito come indebolito e poroso, sempre reinterpretabile e sempre diversamente reinterpretato. Con Heidegger Vattimo sostiene che la  umana  progettualità è determinata da qualcosa che le è esterno, cioè dalle circostanze esteriori al suo essere e al suo esistere. Connessa a questa visione è l'indebolimento della teoria della conoscenza ridotta a semplice interpretazione.

Rispetto alla fede religiosa, essa viene intesa dal pensiero debole semplicemente come assunzione regolativa dell'esistenza, come indirizzo e destinazione delle scelte di vita dei singoli individui.

Il pensiero forte

Se il pensiero debole è quello " che afferma l'impossibilità di enunciare verità assolute, proponendo viceversa un'interpretazione consapevolmente parziale e provvisoria della realtà, soggetta a continua revisione critica", il pensiero forte ammette certezze assolute, da cui discende la possibilità di indagare e conoscere la realtà, un pensiero - al dire del Devoto-Oli - "fondato su metafisiche certezze, convinto che la verità esiste e che la si può conquistare".  

Il pensiero comico

Una forma più evoluta del pensiero comune è quello caratterizzato dal pensiero comico. Quest'ultimo sostanzialmente si esprime nella lettura della realtà partendo dagli elementi sui quali poter ironizzare, perché non assolutizzabili, pur credendosi tali. È un modo per relativizzare un po' tutto in una prospettiva di superamento della posizione di prendere troppo sul serio le cose. Il pensiero comico va al di là di quello comune perché del secondo ne sottolinea i limiti e spesso l'inconsistenza e  comunque osservandolo con un sorriso attento e talora dissacrante.

Il pensiero tragico


È quello che della realtà assume gli aspetti più oscuri, senza una via di uscita e con esiti che comunque non sono risolutivi ma pongono domande alle quali si è sollecitati a dare una risposta. L'amletico "essere, non essere: questo è il problema" non è una soluzione ma la posizione di un serio interrogativo, che di per sé impone la prosecuzione della ricerca. Questa sarà lunga e faticosa, ma è necessaria, se non si vuole rimanere nell'amletismo del'incertezza..

L'uomo tragico non ha mai rinunciato alla speranza, ma non ripone questa speranza nel mondo: per questo nessuna verità che riguardi sia la struttura del mondo sia la sua propria esistenza intramondana potrebbe turbarlo. Giudicando le cose in rapporto alle proprie esigenze e trovandole tutte ugualmente insufficienti, può vedere senza timori e senza riserve la loro natura e i loro limiti, cosí come può rendersi conto dei propri limiti nella prova intramondana delle sue forze, sia che questa prova abbia luogo sul piano teorico della conoscenza o su quello pratico della realizzazione.

Cercando unicamente il necessario, la coscienza tragica non troverà nel mondo che il contingente; riconoscendo solo l'assoluto, troverà solo il relativo, ma prendendo coscienza di queste due limitazioni (quella del mondo e la propria) e rifiutandole salverà i valori umani e supererà il mondo e la propria condizione.

Il pensiero tragico è il bivio più  alto nel quale ci si possa venire a trovare. E ciò lo si nota facilmente nella storia della letteratura e della filosofia, quando gli abissi del'inferno o del nulla sembrano riempire e opprimere in un abbraccio asfissiante l'interiorità di una persona. Di esempi storici se ne contano tanti: Sofocle, Eschilo, Euripide, Alfieri, Foscolo, Baudelaire, Rimbaud, Nietzsche, Shopenhauer, Leopardi, Montale, Svevo, Pirandello, Pavese, ecc. Conseguenza del pensiero tragico sul piano comportamentale e conoscitivo è quel senso diffuso di depressione e di nausea del vivere (Sartre), dove la stessa vita più che una opportunità sembra essere una trappola mortale. Il pensiero tragico porta alla chiusura della conoscenza, perché tutto si pretende sia risolvibile nel nulla e nella irrimediabilità di una fine senza ritorno.

Il pensiero alto


Diceva Schopenhauer: "L'uomo non conosce né il Sole né la terra, ma solo un occhio che vede un sole, una mano che sente una terra"
Il pensiero alto fa osservare la realtà in tutta la sua complessità:  il fatto che non  si vedono le cose né prima né dopo non significa che non esistano o che siano diventato altro, ma si sono solo eclissate alla nostra vista. Sono trascorsi 2500 anni di discussioni metafisiche, molto dotte ma poco costruttive, sull'essere, sul non essere e sul divenire che hanno portato alcuni filosofi a dichiarare che la metafisica è morta. Non si può essere d'accordo, non è che la metafisica sia morta, ma si trova  in un punto di stallo, ossia in  standby, attende un nuovo input. Questo nuovo input può venire forse dalla scienza, segnatamente dalla fisica teorica. Ě vero che essa  a volte crea illusioni e speranze deluse, ma è altrettanto vero che ci ha portato ad un livello di conoscenza, come nessuna filosofia ha mai fatto. L'analisi del microcosmo  porta nella direzione di una verità unica: l'esistenza di un mattone "primo"su cui è basato tutto l'universo. Una piccola e sottilissima "stringa" di energia.  Un "ente" immateriale ed eterno, seppure vibrante, che giustifica sia l'immutabilità dell'essere che il divenire, quale parte apparente e mutevole delle sue aggregazioni. Solo partendo da questo punto, la metafisica potrà riprendere il ruolo ermeneutico, che le compete. Il superamento delle teorie filosofiche, fino ad oggi  seguite  e, tenendo ben presente, che la scienza si evolve continuamente, è proprio questo  andare "oltre" che viene  chiamato pensiero alto.

Dal nichilismo la via d'uscita è solo temporanea. Un momento di non pensiero, un momento di irrazionalità come lo sono gli affetti, l'amore, la sessualità, anche se la riproduzione rientra nel ciclo vita-morte e quindi nel divenire.

Paradossalmente è proprio Leopardi a esprimere questa contraddizione insita nel nichilismo, qundo scrive ne "L'Infinito": ""il pensier mio si annega "  e "naufragar m'è dolce in questo mare."

Perché la tristezza accompagna l'uomo? Steiner dice: "L'infinità del pensiero è anche un'infinità incompleta". Il pensiero è capace di formulare le cosiddette "domande ultime": "Come è nato l'universo? Le nostre vite hanno uno scopo? Esiste Dio?" Il pensiero dell'uomo non è in grado di dare le risposte, da qui la malinconia.

Il pensiero umano è in altre direzioni: è illimitato e soprattutto libero. Libero di abbracciare il microcosmo come il macrocosmo, non c'è spazio per la persistenza della malinconia, essa è un momento transitorio, un momento di rilassamento del cogito, ma non è il nulla.

Gli assertori del nichilismo (pensiero debole) affermano che il pensiero raziocinante abbia dei limiti: esso invece non ha limiti, se non quelli che gli danno gli atei e, per un altro verso, i credenti. L'amletico "essere non essere", non è un passaggio dall'essere al nulla, ma semplicemente una metamorfosi dell'essere: un passaggio da uno stato esistenziale ad un altro stato esistenziale. Si esclude così il relativismo del pensiero debole e l'immutabilità del pensiero forte.

Il "pensiero alto" è al di sopra del nichilismo e del dogmatismo, nulla è precluso : è solo questione di tempo. In un mondo che cambia, in cui il caos dei sistemi è sempre in agguato, aumenta per il soggetto il rischio di assumere posizioni "intoccabili", giudizi e presupposti rigidi di interpretazione della realtà. Se questo contribuisce sicuramente a diminuire l'entropia, spinge anche l'individuo all'intolleranza. Comprendere la complessità del pensiero diventa indispensabile per aiutare le persone ad essere più flessibili. Il pensiero alto, che è anche complesso, critico e creativo contiene infatti un ampio numero di elementi dinamici e interdipendenti: include pensieri di base ed è caratterizzato da molte risposte possibili; richiede capacità di analisi e di sintesi; nasce dalla capacità di cogliere i nessi logici e renderli flessibili.
Quando si parla di pensiero alto c'è da dire, inoltre, che esso è attraversato da alcune qualità fondamentali: è nobile e raffinato, aperto, interculturale e dallo sguardo complessivo, flessibile, dinamico e umile, perché consapevole dei propri limiti, creativo. Il pensiero alto è indagatore di connessioni, è saggio e prudente nelle attività interpretative, cerca di andare sempre oltre senza mai ripetersi, sa confrontarsi muovendosi con leggerezza fra scienza, filosofia e teologia, talora si nutre anche di dubbi, è possessore di un altro orizzonte del "vedere" e in sé ingloba conoscitivamente il tutto, è libero e proiettato al vero, non è totalizzante, è ricco di numerose curiosità.

Il pensiero alto, servendosi di simboli sintetici, è capace di muoversi con logica consequenziale sia in altezza che in profondità, sapendosi destreggiare con intelligenza fra un argomento e un altro e cogliendo il nucleo essenziale dei problemi. Per sua natura esso è inventivo di nuovi percorsi conoscitivi e, partendo da informazioni, le organizza con duttilità e rapidità in categorie sempre più complesse. In fin dei conti il pensiero alto è ricerca di armonia, di significati e di strutture linguistiche ed espressive orientate verso una articolazione delle idee sempre più selettiva.

Evoluzione della conoscenza e Biopsicocibernetica


Da quanto detto sopra il pensiero nel tempo generalmente si evolve, secondo Piaget, da quello concreto a quello formale-astratto, operando su simboli. Con questo, però, non è detto che sia sempre continuo e costante, anzi. Resistenze, mancanza di coraggio e assenza del desiderio di ricerca di significati fanno sì che la stragrande maggioranza delle persone si fermi ai primi stadi e lì sosti senza andare oltre. Sicché molti si bloccano nel quotidiano concreto, alcuni vanno alla ricerca di nuove informazioni, integrandole a un livello sempre più alto e arricchendole così di contenuti sempre nuovi; una sparuta minoranza s'inoltra nel varco che favorisce il salto dal visibile all'invisibile e qui entriamo nel campo della Biopsicocibernetica, dove l'analisi cerca di cogliere i significati del mondo vitale fenomenico. Ovviamente, essendo questo un settore di frontiera, il processo conoscitivo diventa quanto mai difficoltoso e talora anche tortuoso, perché gli argomenti si prestano a una serie di valutazioni e di interpretazioni, sicché per giungere a un barlume di verità occorre procedere innanzitutto per esclusioni e  per ipotesi e poi, semmai, per affermazioni. Qui la scienza  s'incontra e incrocia la metafisica e la teologia e si è al gradino  più elevato della conoscenza, dove il pensiero si fa tentativo di risposta alle domande ultime del vivere.


Conclusioni

Come si può facilmente notare, la mente, se lasciata libera di esprimere le proprie potenzialità, per sua forza interna è spinta ad andare sempre oltre, a adattarsi a leggere anche l'imponderabile e a sfiorare l'infinito. Essa rifiuta qualunque forma di pensiero debole, sfociante nel nichilismo, come anche quello forte, che sa di fondamentalismo: si pone, e bisogna lasciarla agire così, in lineare continua ricerca di nuove tracce da seguire, di originali filoni da praticare e di più ampi orizzonti da contemplare che, se raggiunti, danno un senso e magari una risposta alla richiesta di capire e di afferrare, se non il Tutto, almeno una parte di esso. La mente sembra non avere confini né limiti in quanto a tendenza, pur se attualmente condizionata dai suoi canali informativi sensoriali. Con il processo di astrazione essa è capace di pervenire anche al di là del significato immediato di tali informazioni e attingere ciò che sfugge nei suoi legami, ma che è intuito come una serie di fatti interconnessi fra di loro. Questo è il "miracolo" della sua vocazione, che non tutti, purtroppo, riescono a cogliere, a coltivare e a utilizzare con piena e cosciente maturità.

(Conferenza tenuta il 6 Marzo 2010 al Laboratorio di Biopsicocibernetica di Bologna).

Bibliografia

W. Emerson, Il pensiero e la solitudine, (a cura di Beniamino Soressi), Armando, Roma 2004
M. Heidegger, Che cosa significa pensare?
S. Freud, L'interpretazione dei sogni, Boringhieri, Torino
P. Natorp, Dottrina platonica delle idee, (a cura di G. Reale e V. Cicero), Vita e Pensiero, 1999
Th. A. Szlezák, Platone e Aristotele nella dottrina del Nous di Plotino, (traduzione di A. Trotta), Vita e pensiero, Milano 1997
L. Goldmann, Pascal e Racine, Lerici, Milano 1961
C. Dodolo, La teologia fondamentale davanti alla sfida del pensiero debole di Gianni Vattimo, LAS, Roma 1999
G.  Basti, Le radici del pensiero debole: dalla metafisica, alla matematica, al calcolo, Il Poligrafo, Padova 1996
D.  Antiseri, Le ragioni del pensiero debole: domande a Gianni Vattimo, Borla, Roma 1995
G. Vattimo - P. A- Rovatti (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1992
A. G.  Manno, Il pensiero debole e il ritorno alla metafisica, Editrice Domenicana Italiana, Napoli 1992
F. Foti, Problematica del pensiero debole, Ed. Albografica, Siracusa-Roma 1990
A.  Del Lago, Elogio al pudore
G. Cantoni, Dizionario del pensiero forte, IDIS