Dal pensiero comune a quello "Alto". |
La
mente umana è una realtà molto complessa e, sotto certi aspetti, ancora un
insoluto mistero. Essa è capace di raggiungere
altezze raffinate, ma anche le bassezze più esecrabili. Ad abitare, per
così dire, la mente è il pensiero, che è anche il prodotto dei suoi processi
elaborativi. Naturalmente essa non è ferma, ma si trova in un continuo stato
dinamico, che la pone in condizione di generare una infinità di sfumature in
quanto a varietà di idee e di contenuti. Da cosa è determinato tutto ciò? Da
tanti fattori: grado evolutivo della persona, patrimonio genetico, natura e qualità
degli stimoli, ambiente familiare e sociale, ecc.
Nel presente studio verranno tratteggiati questi passaggi, che non sono automatici, ma rispondono a una legge fondamentale, che è quella della linearità progressiva, quando è libera da resistenze o condizioni pregiudizievoli. Il pensiero Il termine pensiero deriva dal latino pensum (participio del verbo pendere: "pesare") e stava a indicare un determinato quantitativo di lana che veniva appunto "pesata" e poi passata alle filatrici che avevano il compito di trattarla. Il "pensum" era quindi la materia prima, designante metaforicamente un elemento o un tema che doveva essere in seguito trattato, elaborato e acquisire così una nuova forma. Il pensiero si presenta come un qualcosa di straordinariamente semplice, la cui attività con il "pensum" si esplica nel comporre oggetti. Il pensare è caratterizzato da alcune proprietà:
In alcune correnti della storia della filosofia, come nell'idealismo, a cui appartengono filosofi pur diversi tra loro (Platone, Berkeley, Fichte, Schelling, Hegel...), il pensiero è stato solitamente contrapposto ai sensi fino ad essere considerato sinonimo della realtà stessa.
Anassagora, fra gli antichi greci, riteneva che il pensiero
non fosse dei singoli ma appartenesse ad una mente universale (detta Νούς, Nùs)
o Intelletto cosmico, che poneva ordine nel caos primordiale.
Pitagora identificava nel numero il
fondamento del pensare e della stessa realtà: secondo lui, il pensiero era strutturato secondo le leggi della
matematica.
Per Parmenide
ogni pensiero è sempre pensiero di qualcosa. Nel Poema sulla natura
scrive: "Senza l'essere ... non troverai il pensare". Perciò il divenire,
presentato dai sensi, non è pensabile, perché è
impossibile che l'essere nasca e muoia. La via maestra per approdare
all'essere è proprio il pensiero, che deve abbandonare ogni dinamismo per
riconoscere la semplice verità secondo cui "l'Essere è, e non può non
essere".
Con Socrate
il pensiero nasce e si sviluppa essenzialmente come pensiero
critico e come autocoscienza dei propri limiti: suo oggetto non è la verità, ma
il dubbio da chiarire.
La dimensione ontologica (la verità) sarà resa più esplicita dal suo allievo Platone, che distinse due modalità del pensiero:
Il primo tipo ha la capacità di trascendere i
fenomeni sensibili risalendo fino all'astrattezza dell'unità, il secondo invece
è rivolto a distinguere e analizzare il molteplice. Il pensiero intuitivo è
però superiore a quello dialettico, perché guida il filosofo verso la
contemplazione, mentre la dialettica è solo uno strumento. Le Idee sono il
fondamento e la meta finale del pensiero: esse sono per così dire le
"forme" del pensiero, i modi con cui ci è dato pensare il
mondo. Platone così concepisce il pensiero in forma gerarchica: al livello più
alto esso è identico al pensiero statico parmenideo, e riflette in pieno la
verità dell'essere; man mano che si scende giù nella gerarchia, però, il
pensiero diventa sempre più inconsistente e fallace.
In seguito Aristotele, pur respingendo la teoria platonica delle idee, formulerà una distinzione abbastanza simile a quella del suo predecessore: per lui vi è da un lato il pensiero intuitivo-intellettivo (o noético), capace di cogliere le essenze universali delle realtà che ci circondano, astraendole dal loro aspetto particolare e sensibile; dall'altro vi è il pensiero logico-sillogistico, che da quei princìpi primi fa scaturire delle conclusioni coerenti con le premesse, scendendo a definire e catalogare il molteplice. La dinamica è la seguente: l'Essere tende a passare dalla potenza all'atto, i sensi ne attivano un primo movimento (pensiero latente, Intelletto potenziale), intervento dell'Intelletto attivo dotato di coscienza, autocoscienza, contemplazione sell'Atto Puro (pensiero di pensiero: Dio).
Con il Neoplatonismo
il pensiero mantenne e anzi acquistò una
valenza maggiore non solo sul piano conoscitivo, ma anche su quello ontologico
e salvifico, nel senso che l'anima (in forma di autocoscienza) vi ritorna per
mettersi in salvo. Solo nell'autocoscienza infatti il pensiero riesce a cogliere
la verità su di sé. Al di sopra di tutto c'è l'Uno assoluto per arrivare al
quale il pensiero deve completamente annullarsi, spogliandosi e uscendo da se
stesso in una condizione di estasi. (Plotino)
Per farsi meglio comprendere, Plotino paragona l'essere
alla luce: su un piano assoluto, il principio della luce è contrapposto
all'ombra. La luce, man mano che si allontana dalla sorgente, tende ad
affievolirsi, non perché si trasformi in ombra, ma solo perché viene a
mancare. Nell'oscurità, come vedere il
buio significa non vedere, così pensare il nulla equivale a non pensare
affatto. Fondamento del pensiero per Plotino sono le Idee platoniche, che poi
sono "il pensiero" per eccellenza, cioè infiniti modi di pensarsi di
quell'unica Mente o Intelletto (Nùs), che emana dall'Uno e coincide con
l'Essere. Di quest'ultimo non è dimostrabile l'esistenza, ma esso si giunge,
mediante il processo intuitivo, solo con l'ascesi mistica.
In seguito saranno gli autori cristiani, come Sant'Agostino, San Tommaso d'Aquino, San
Bonaventura, Cusano, ecc.,, a fare propria la tradizione neoplatonica e
aristotelica, che facevano del pensiero (contrapposto ai sensi) la chiave di
accesso alle realtà trascendenti e a Dio. Elementi fondamentali sono: il
principio di non contraddizione, il riconoscimento dell'intuizione, come forma suprema e immediata del sapere, coincidenza
fra essere e pensare, complementarietà del pensiero alla fede (Sant'Agostino),
il pensiero come forma di amore con il quale Dio si rende presente all'uomo (San
Tommaso), il pensiero come originato da
una Verità attingibile solo con l'intuizione (N. Cusano).
Nell'età moderna Cartesio per
primo cercò di costruire un sistema di pensiero autonomo, indipendente da
criteri teologici: per lui hanno valore
soltanto quei pensieri di cui si ha coscienza e che sono definiti in forma
chiara e oggettiva.
L'empirismo
anglo-sassone riduce il pensiero a un fatto, un concetto fissato e
"plasmato" dall'esperienza sensibile, in maniera quasi meccanica con
una attività mediata dai sensi .
Dopo Cartesio, tuttavia, ci furono nell'Europa
continentale dei tentativi di riportare il pensiero alla dimensione ontologica
e intuitiva dell'Essere con Spinoza (unità
fra idea e realtà) e Leibniz (esistenza
di diverse gradazioni di pensiero fino a quella suprema dell'autocoscienza).
Per Kant il pensiero è una sorta di "legislatore della natura", cioè lavora quando riceve dati da elaborare. Partendo da Kant, Fichte e Schelling arrivarono ala conclusione che dal pensiero nasce e si produce tutta la realtà. Hegel sostanzialmente concepiva il pensiero come un fatto che sottometteva a se stesso, anche l'aspetto ontologico delle cose.
Al
giorno d'oggi prevalgono, da un
lato, spiegazioni del pensiero di tipo materialista e meccanicista, per cui il
pensiero sarebbe un prodotto fisiologico del cervello ottenuto dall'estrema
complessità delle connessioni neurologiche, da un altro la critica linguistica
alle contraddizioni di cui sopra.
B. Il pensiero dal punto di vista psicologico
In psicologia, il pensiero è considerato una delle
più alte funzioni cognitive e viene studiato in maniera interdisciplinare con
la logica, l'intelligenza artificiale, la teoria dei giochi. Si pensa cioè più
al modo come esso nasce si sviluppa (Piaget,
Skinner, la Psicologia della Gestalt) che a definire la natura del pensiero
stesso. In modo particolare Piaget distingue tre stadi: preoperatorio,
operatorio e formale. La ricerca contemporanea, soprattutto grazie alle
neuroscienze, sta mappando con sufficiente precisione le varie cerebrali interessate alla modulazione di determinati
pensieri (area logico-matematica. area artistico- creativa, area delle
emozioni, ecc.).
C. Il pensiero in psicoanalisi
In psicoanalisi (Freud)
vengono considerati pensieri tutti i processi cognitivi, sia quelli situati al
livello della coscienza (e tra questi i processi cognitivi di tipo discorsivo e
mediato), sia quelli che avvengono a un livello inconscio. Sempre secondo la psicoanalisi,
molte realtà che noi crediamo esistano realmente come fatti concreti, ad una
più attenta indagine si rivelano essere semplicemente e nulla più che
proiezioni del pensiero fuori di noi, quindi solo realtà interiori.
Nella psicoanalisi un posto centrale acquista lo studio del sogno, che, secondo questa disciplina sarebbe una modalità di pensare come altre, ma che diversamente dal pensare razionale non sottostà alle regole proprie al pensiero controllato dalla ragione ma ha regole sue proprie q quindi il pensiero inconscio si presenterebbe come autonomo da quello cosciente, che così non sarebbe più quello unico o principale. Lacan andò oltre Freud relegando l'io in una posizione secondario rispetto all'inconscio, da lui chiamato Logos. La scoperta e la messa in giusto valore del fattore inconscio da parte della psicoanalisi fa sì che questa disciplina costituisce un punto di rottura rispetto alla tradizione precedente della storia del pensiero filosofico. D. Prospettive filosofiche contigue Questa tesi della psicoanalisi sull'autonomia dell'inconscio ha influito sulle elaborazioni seguenti in vari altri campi come per esempio la filosofia contemporanea dove la critica dell'Ego quale istanza del pensiero aveva precedentemente subito una serie di analisi critiche già a partire dal filosofo empirista David Hume, precedendo in questa critica Friedrich Nietzsche fino ad arrivare ai nostri giorni a Martin Heidegger che giunge a negare che il soggetto del pensiero sia l'uomo bensì l'Essere stesso e che l'uomo sia solo un tramite. E. Il pensiero dal punto di vista antropologicoSecondo Lev Semyoronovič Vygotskji la natura del pensiero è socialmente determinata dalla cultura d'appartenenza. Egli suddivide il pensiero in due tipologie:
F. Pensiero e comportamento
Il
comportamento è preceduto dal pensiero già al livello del pensiero. Il comportamento
non è altro che l'estrinsecazione di una visione del mondo. Da questo punto di
vista la vera azione si opera già sul piano del pensiero, di cui il comportamento è solo un fenomeno
secondario o derivato.
L'attività
del pensare è,o dovrebbe essere, quella che meglio caratterizza l'essere umano.
In realtà tutti pensano, la differenza sta nella qualità e nei contenuti del
pensiero: è da questi se esso sarà banale, comune, debole, forte, alto. Le
condizioni (qualità, contenuti), a loro volta, dipendono dalla raffinatezza o
meno delle strutture del pensare (logico, matematico, artistico, intuitivo...) e
dalla natura delle informazioni immagazzinate. Un modo di pensare raffinato
procede per elaborazioni lente delle idee, con chiarezza e alla fine perviene a
una sintesi, che è la conclusione naturale di un intero ragionamento. Naturalmente
la sua comunicazione verbale è articolata in maniera discorsiva e pacata, senza
contrazioni linguistiche e senza enfasi oratoria. Ovviamente il tutto va
riempito di contenuti essenziali, veritieri, di forte spessore significativo.
Al pensiero qualitativamente raffinato si perviene gradualmente, ma, se si è
mentalmente liberi e aperti, anche con una costante continuità, che può
ammettere momenti di stasi, ma comunque li supera più o meno agevolmente.
I "salti" conoscitivi della mente
La
conoscenza è un processo che può essere progressivo, ma anche regressivo, e
quest'ultimo dipende da eventuali resistenze o addirittura da ostacoli veri e
propri che provengono sia dall'interno della persona (stati emotivi alterati,
disequilibrio temporaneo, patologie cerebrali o di altra natura, ecc.) che dall'interno
(povertà di stimoli, bisogni impellenti di sopravvivenza da soddisfare,
difficoltà economiche e familiari, lutti e sofferenze varie, ecc.). Nulla vieta
che anche questi ostacoli possano trasformarsi in elementi di spinta a proseguire
nel proprio percorso conoscitivo, ovviamente dopo averli bene elaborati e in qualche modo liberati dal loro potenziale
frenante. Il "salto" implica che ogni tanto si determini l'insorgere di una
particolare illuminazione che va a rafforzare quanto si è conosciuto e a prefigurare nuovi orizzonti da esplorare e
nei quali immergersi con un più accurato progetto di ricerca. In questo modo il
cammino evolutivo nella conoscenza prosegue senza sosta perché ogni punto di
arrivo diventa uno di partenza per altre mete. E questo vale per ogni ambito di
studio, ma soprattutto nella sua globalità: si va cioè da complessità in
complessità. Naturalmente tutto ciò presuppone che ci sia la voglia di conoscere
sino in fondo l'essenza ultima delle cose, che, per loro natura, sembrano
presentarsi quasi come infinite.
Questi "salti" della mente prevedono varie tappe: il pensiero comune, quello debole, il forte, quello comico, il tragico, quello alto. Il pensiero comune
Si
intende per pensiero comune quello legato all'espletamento delle attività
quotidiane, come il lavoro, la cura di qualche interesse, i problemi connessi
alle necessità di ogni giorno (salute, cibo, sesso, ecc.), l'accettazione della
moda comportamentale dominante, l'assenza di critica, ecc. Il mondo sembra
essere circoscritto nei confini della quotidianità, non si va oltre il dato
visibile e ripetibile, si rimuovono domande e ricerca di risposte, si pensa
prevalentemente se non unicamente al "carpe diem",soprattutto si è chiusi nel
recinto della soddisfazione dei propri esclusivi interessi. Un pensiero di
questo genere produce appiattimento, mancanza di slanci emotivi, assenza di
prospettive, negazione del possibile, vuoto di progetti, spesso ansia e
depressione dinanzi a una realtà non rare volte conflittuale e contraddittoria.
Alla base del pensiero comune ci sono vari elementi: la crisi della metafisica
e della riflessione filosofica, il dominio quasi assoluto dello scientismo e
della tecnologia, la perdita di distinzione fra mezzi e fini, la dipendenza
dalle ideologie dominanti (economia, , mercato), la relatività di ciò che un
tempo si chiamavano valori, il soggettivismo esasperato, l'assenza di uno scopo.
Ovviamente con queste premesse non si va oltre il contingente, perché tutto
sembra essere ridotto a logica puramente formale o a matematica. In un universo
conoscitivo di questo genere non c'è tanto spazio per un possibile pensiero che
vada oltre na banale visione del vivere.
Si
potrebbe così rappresentare questa carenza di dinamica:+ , - I + E = + , - CA Dove I= Informazione, E= Etica, C= Conoscenza, A= Alta
Il
tutto è unito da questa duplice interna connessione, che riguarda da una parte
il complesso coerente della struttura conoscitiva e dall'altra la coscienza
della necessità di una profonda onestà mentale.
Il
pensiero, allora, resta comune se il tutto è orientato verso il meno.Il pensiero debole
Il pensiero debole è un concetto introdotto dal
filosofo Gianni Vattimo, fra i massimi esponenti del postmodernismo europeo,
per descrivere un importante mutamento nel modo di concepire la filosofia. Tale
mutamento, introdotto secondo Vattimo dall'opera di pensatori come Friedrich
Nietzsche, Martin Heidegger, Gadamer, Deleuze, è caratterizzato dal cadere di
numerosi presupposti che stavano alla base della filosofia classica e della
tradizione filosofica occidentale.
L'espressione "pensiero debole" si contrappone al pensiero forte di concezioni come quella marxista o cristiana.
Il pensiero debole si presenta come una forma
particolare di nichilismo e parte dall'assunto che con le filosofie di
Nietzsche e Heidegger (in particolare del secondo Heidegger) si sia attuata una
crisi irreversibile delle basi cartesiane e razionalistiche del modo di
filosofare, modificando così il pensiero così come si era sviluppato durante l'età
moderna.
Tratti comuni delle filosofie dell'era moderna,
tutte figlie della tradizione del pensiero greco e della Weltanscauung (visione del mondo) giudaico-cristiana
sono caratterizzati:
Il Superuomo di Nietzsche, ridefinito da Vattimo
Oltreuomo, non è più il soggetto forte del Cristianesimo, ma colui che
assume, accetta e fa proprio il destino e la destinazione di tutto ciò che
accade nella natura e nella storia, e in generale nella sua esistenza. Da qui
il concetto di deriva destinale dell'essere, concepito come indebolito
e poroso, sempre reinterpretabile e sempre diversamente reinterpretato.
Con Heidegger Vattimo sostiene che la
umana progettualità è determinata
da qualcosa che le è esterno, cioè dalle circostanze esteriori al suo essere e al
suo esistere. Connessa a questa visione è l'indebolimento della teoria della conoscenza
ridotta a semplice interpretazione.
Rispetto alla fede religiosa, essa viene intesa
dal pensiero debole semplicemente come assunzione regolativa dell'esistenza,
come indirizzo e destinazione delle scelte di vita dei singoli individui.
Il pensiero forte
Se il pensiero debole è quello " che afferma
l'impossibilità di enunciare verità assolute, proponendo viceversa
un'interpretazione consapevolmente parziale e provvisoria della realtà,
soggetta a continua revisione critica", il pensiero forte ammette certezze
assolute, da cui discende la possibilità di indagare e conoscere la realtà, un
pensiero - al dire del Devoto-Oli - "fondato su metafisiche certezze,
convinto che la verità esiste e che la si può conquistare".
Il pensiero comico
Una
forma più evoluta del pensiero comune è quello caratterizzato dal pensiero
comico. Quest'ultimo sostanzialmente si esprime nella lettura della realtà
partendo dagli elementi sui quali poter ironizzare, perché non assolutizzabili,
pur credendosi tali. È un modo per relativizzare un po' tutto in una
prospettiva di superamento della posizione di prendere troppo sul serio le
cose. Il pensiero comico va al di là di quello comune perché del secondo ne
sottolinea i limiti e spesso l'inconsistenza e
comunque osservandolo con un sorriso attento e talora dissacrante.
Il pensiero tragico
È
quello che della realtà assume gli aspetti più oscuri, senza una via di uscita
e con esiti che comunque non sono risolutivi ma pongono domande alle quali si è
sollecitati a dare una risposta. L'amletico "essere, non essere: questo è il
problema" non è una soluzione ma la posizione di un serio interrogativo, che di
per sé impone la prosecuzione della ricerca. Questa sarà lunga e faticosa, ma è
necessaria, se non si vuole rimanere nell'amletismo del'incertezza..
L'uomo tragico non ha mai rinunciato alla speranza, ma non ripone questa speranza nel mondo: per questo nessuna verità che riguardi sia la struttura del mondo sia la sua propria esistenza intramondana potrebbe turbarlo. Giudicando le cose in rapporto alle proprie esigenze e trovandole tutte ugualmente insufficienti, può vedere senza timori e senza riserve la loro natura e i loro limiti, cosí come può rendersi conto dei propri limiti nella prova intramondana delle sue forze, sia che questa prova abbia luogo sul piano teorico della conoscenza o su quello pratico della realizzazione. Cercando unicamente il necessario, la coscienza tragica non troverà nel mondo che il contingente; riconoscendo solo l'assoluto, troverà solo il relativo, ma prendendo coscienza di queste due limitazioni (quella del mondo e la propria) e rifiutandole salverà i valori umani e supererà il mondo e la propria condizione. Il pensiero tragico è il bivio più alto nel quale ci si possa venire a trovare. E ciò lo si nota facilmente nella storia della letteratura e della filosofia, quando gli abissi del'inferno o del nulla sembrano riempire e opprimere in un abbraccio asfissiante l'interiorità di una persona. Di esempi storici se ne contano tanti: Sofocle, Eschilo, Euripide, Alfieri, Foscolo, Baudelaire, Rimbaud, Nietzsche, Shopenhauer, Leopardi, Montale, Svevo, Pirandello, Pavese, ecc. Conseguenza del pensiero tragico sul piano comportamentale e conoscitivo è quel senso diffuso di depressione e di nausea del vivere (Sartre), dove la stessa vita più che una opportunità sembra essere una trappola mortale. Il pensiero tragico porta alla chiusura della conoscenza, perché tutto si pretende sia risolvibile nel nulla e nella irrimediabilità di una fine senza ritorno. Il pensiero alto
Diceva Schopenhauer:
"L'uomo non conosce né il Sole né la terra, ma solo un occhio che vede un sole,
una mano che sente una terra"
Il pensiero alto fa osservare la realtà in tutta la sua complessità: il fatto che non si vedono le cose né prima né dopo non significa che non esistano o che siano diventato altro, ma si sono solo eclissate alla nostra vista. Sono trascorsi 2500 anni di discussioni metafisiche, molto dotte ma poco costruttive, sull'essere, sul non essere e sul divenire che hanno portato alcuni filosofi a dichiarare che la metafisica è morta. Non si può essere d'accordo, non è che la metafisica sia morta, ma si trova in un punto di stallo, ossia in standby, attende un nuovo input. Questo nuovo input può venire forse dalla scienza, segnatamente dalla fisica teorica. Ě vero che essa a volte crea illusioni e speranze deluse, ma è altrettanto vero che ci ha portato ad un livello di conoscenza, come nessuna filosofia ha mai fatto. L'analisi del microcosmo porta nella direzione di una verità unica: l'esistenza di un mattone "primo"su cui è basato tutto l'universo. Una piccola e sottilissima "stringa" di energia. Un "ente" immateriale ed eterno, seppure vibrante, che giustifica sia l'immutabilità dell'essere che il divenire, quale parte apparente e mutevole delle sue aggregazioni. Solo partendo da questo punto, la metafisica potrà riprendere il ruolo ermeneutico, che le compete. Il superamento delle teorie filosofiche, fino ad oggi seguite e, tenendo ben presente, che la scienza si evolve continuamente, è proprio questo andare "oltre" che viene chiamato pensiero alto. Dal nichilismo la via d'uscita è solo temporanea. Un momento di non pensiero, un momento di irrazionalità come lo sono gli affetti, l'amore, la sessualità, anche se la riproduzione rientra nel ciclo vita-morte e quindi nel divenire. Paradossalmente è proprio Leopardi a esprimere questa contraddizione insita nel nichilismo, qundo scrive ne "L'Infinito": ""il pensier mio si annega " e "naufragar m'è dolce in questo mare." Perché la tristezza accompagna l'uomo? Steiner dice: "L'infinità del pensiero è anche un'infinità incompleta". Il pensiero è capace di formulare le cosiddette "domande ultime": "Come è nato l'universo? Le nostre vite hanno uno scopo? Esiste Dio?" Il pensiero dell'uomo non è in grado di dare le risposte, da qui la malinconia. Il pensiero umano è in altre direzioni: è illimitato e soprattutto libero. Libero di abbracciare il microcosmo come il macrocosmo, non c'è spazio per la persistenza della malinconia, essa è un momento transitorio, un momento di rilassamento del cogito, ma non è il nulla. Gli assertori del nichilismo (pensiero debole) affermano che il pensiero raziocinante abbia dei limiti: esso invece non ha limiti, se non quelli che gli danno gli atei e, per un altro verso, i credenti. L'amletico "essere non essere", non è un passaggio dall'essere al nulla, ma semplicemente una metamorfosi dell'essere: un passaggio da uno stato esistenziale ad un altro stato esistenziale. Si esclude così il relativismo del pensiero debole e l'immutabilità del pensiero forte. Il "pensiero alto" è al di sopra del nichilismo e del dogmatismo, nulla è precluso : è solo questione di tempo. In un mondo che cambia, in cui il caos dei sistemi è sempre in agguato, aumenta per il soggetto il rischio di assumere posizioni "intoccabili", giudizi e presupposti rigidi di interpretazione della realtà. Se questo contribuisce sicuramente a diminuire l'entropia, spinge anche l'individuo all'intolleranza. Comprendere la complessità del pensiero diventa indispensabile per aiutare le persone ad essere più flessibili. Il pensiero alto, che è anche complesso, critico e creativo contiene infatti un ampio numero di elementi dinamici e interdipendenti: include pensieri di base ed è caratterizzato da molte risposte possibili; richiede capacità di analisi e di sintesi; nasce dalla capacità di cogliere i nessi logici e renderli flessibili. Quando si parla di pensiero alto c'è da dire, inoltre, che esso è attraversato da alcune qualità fondamentali: è nobile e raffinato, aperto, interculturale e dallo sguardo complessivo, flessibile, dinamico e umile, perché consapevole dei propri limiti, creativo. Il pensiero alto è indagatore di connessioni, è saggio e prudente nelle attività interpretative, cerca di andare sempre oltre senza mai ripetersi, sa confrontarsi muovendosi con leggerezza fra scienza, filosofia e teologia, talora si nutre anche di dubbi, è possessore di un altro orizzonte del "vedere" e in sé ingloba conoscitivamente il tutto, è libero e proiettato al vero, non è totalizzante, è ricco di numerose curiosità. Il pensiero alto, servendosi di simboli sintetici, è capace di muoversi con logica consequenziale sia in altezza che in profondità, sapendosi destreggiare con intelligenza fra un argomento e un altro e cogliendo il nucleo essenziale dei problemi. Per sua natura esso è inventivo di nuovi percorsi conoscitivi e, partendo da informazioni, le organizza con duttilità e rapidità in categorie sempre più complesse. In fin dei conti il pensiero alto è ricerca di armonia, di significati e di strutture linguistiche ed espressive orientate verso una articolazione delle idee sempre più selettiva. Evoluzione della conoscenza e Biopsicocibernetica
Da
quanto detto sopra il pensiero nel tempo generalmente si evolve, secondo
Piaget, da quello concreto a quello formale-astratto, operando su simboli. Con
questo, però, non è detto che sia sempre continuo e costante, anzi. Resistenze,
mancanza di coraggio e assenza del desiderio di ricerca di significati fanno sì
che la stragrande maggioranza delle persone si fermi ai primi stadi e lì sosti
senza andare oltre. Sicché molti si bloccano nel quotidiano concreto, alcuni
vanno alla ricerca di nuove informazioni, integrandole a un livello sempre più
alto e arricchendole così di contenuti sempre nuovi; una sparuta minoranza
s'inoltra nel varco che favorisce il salto dal visibile all'invisibile e qui
entriamo nel campo della Biopsicocibernetica, dove l'analisi cerca di cogliere
i significati del mondo vitale fenomenico. Ovviamente, essendo questo un settore
di frontiera, il processo conoscitivo diventa quanto mai difficoltoso e talora
anche tortuoso, perché gli argomenti si prestano a una serie di valutazioni e di
interpretazioni, sicché per giungere a un barlume di verità occorre procedere
innanzitutto per esclusioni e per
ipotesi e poi, semmai, per affermazioni. Qui la scienza s'incontra e incrocia la metafisica e la
teologia e si è al gradino più elevato
della conoscenza, dove il pensiero si fa tentativo di risposta alle domande
ultime del vivere.
Conclusioni
Come
si può facilmente notare, la mente, se lasciata libera di esprimere le proprie
potenzialità, per sua forza interna è spinta ad andare sempre oltre, a
adattarsi a leggere anche l'imponderabile e a sfiorare l'infinito. Essa rifiuta
qualunque forma di pensiero debole, sfociante nel nichilismo, come anche quello
forte, che sa di fondamentalismo: si pone, e bisogna lasciarla agire così, in
lineare continua ricerca di nuove tracce da seguire, di originali filoni da
praticare e di più ampi orizzonti da contemplare che, se raggiunti, danno un
senso e magari una risposta alla richiesta di capire e di afferrare, se non il
Tutto, almeno una parte di esso. La mente sembra non avere confini né limiti in
quanto a tendenza, pur se attualmente condizionata dai suoi canali informativi
sensoriali. Con il processo di astrazione essa è capace di pervenire anche al
di là del significato immediato di tali informazioni e attingere ciò che sfugge
nei suoi legami, ma che è intuito come una serie di fatti interconnessi fra di
loro. Questo è il "miracolo" della sua vocazione, che non tutti, purtroppo,
riescono a cogliere, a coltivare e a utilizzare con piena e cosciente maturità.
(Conferenza tenuta il 6 Marzo 2010 al Laboratorio di Biopsicocibernetica di Bologna). Bibliografia W. Emerson, Il pensiero e la solitudine, (a cura di Beniamino Soressi), Armando, Roma 2004 M. Heidegger, Che cosa significa pensare? S. Freud, L'interpretazione dei sogni, Boringhieri, Torino P. Natorp, Dottrina platonica delle idee, (a cura di G. Reale e V. Cicero), Vita e Pensiero, 1999 Th. A. Szlezák, Platone e Aristotele nella dottrina del Nous di Plotino, (traduzione di A. Trotta), Vita e pensiero, Milano 1997 L. Goldmann, Pascal e Racine, Lerici, Milano 1961 C. Dodolo, La teologia fondamentale davanti alla sfida del pensiero debole di Gianni Vattimo, LAS, Roma 1999 G. Basti, Le radici del pensiero debole: dalla metafisica, alla matematica, al calcolo, Il Poligrafo, Padova 1996 D. Antiseri, Le ragioni del pensiero debole: domande a Gianni Vattimo, Borla, Roma 1995 G. Vattimo - P. A- Rovatti (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1992 A. G. Manno, Il pensiero debole e il ritorno alla metafisica, Editrice Domenicana Italiana, Napoli 1992 F. Foti, Problematica del pensiero debole, Ed. Albografica, Siracusa-Roma 1990 A. Del Lago, Elogio al pudore G. Cantoni, Dizionario del pensiero forte, IDIS |