Il 'Mistero Wojtyla'
Dopo la scomparsa di Papa Giovanni Paolo II si è detto e scritto tanto sul Suo conto con un dispiego di servizi mediatici mai riscontrato prima: indubbiamente la Sua è stata una figura e una presenza eccezionale di Uomo, di Sacerdote e di Pontefice nella storia della Chiesa e in quella del mondo. In questa sede, però, al di là delle vaste reazioni emotive prodotte dalla notizia, mi preme soprattutto indicare una possibile chiave di lettura della Sua personalità allo scopo di comprendere con ragionevole sensatezza da una parte le notevoli “aperture” e dall'altra alcune “chiusure” effettuate durante il Suo Pontificato. Questa io la connoto nella parola “Radicalità”, sintesi del Suo programma di Pastore “Totus Tuus”.
 Papa Wojtyla è stato un testimone sofferto del “male radicale” sia nel dramma della Sua vita personale (guerra, operaio, studente clandestino, orfano e senza famiglia a 20 anni) che nell'angoscia di quello sociale (nazismo e comunismo). La Sua raffinata sensibilità, che in un primo momento aveva indotto la Sua attenzione a rifugiarsi, forse per una legittima e inconscia compensazione affettiva, nell'arte (poesia, teatro), alla fine ai Suoi occhi quest'ultima risultò essere del tutto insufficiente e incompleta. Scoprì così la Fede, grazie anche a due grandi personaggi che hanno segnato il percorso della Sua ricerca interiore (i Cardinali polacchi Adam Sapieha e Stefan Wyszynski). Quindi, ben consapevole delle molte domande imposte dalla ragione ma anche dell'esigenza di un'etica universalmente accettata, si immerse nello studio della filosofia tomistica e della fenomenologia di Husserl (mediata dalle rielaborazioni di Edith Stein) e approfondì, facendole proprie, la teologia orientale (S. Giovanni Crisostomo) e soprattutto quella mistica (S. Teresa d'Avila e S. Giovanni della Croce). Con decisa convinzione scelse e si innamorò di Cristo, Maestro esigente, e della Madonna e sia il primo che la seconda sono il segno e il simbolo della direzione verso il “bene radicale”, cioè Dio. In questa ottica mistica di tensione verso l'Assoluto l'uomo Wojtyla non tergiversò, non indulse alle mezze misure indugiando negli stadi intermedi, non si perse nei labirinti delle dispute teologiche sulle spinte più o meno giuste presenti nel periodo postconciliare, mirò diritto al cuore del problema usando un linguaggio forte e certamente non di accomodante carità soprattutto contro ogni forma di incertezza e di paura: Cristo come “primo e ultimo senso” del Suo vivere e di quello della Chiesa (“Aprite, spalancate le porte a Cristo”, disse al momento dell'inizio del Suo ministero papale), l' “uomo totale” (a prescindere dal credo, dal colore, dalle condizioni sociali e dall'età) come luogo visibile nel quale riversare la tenerezza del Suo bene scoperto. Ha seguito Cristo, ha inseguito l'uomo, è andato a cercarlo, rompendo ogni schema, in tutte le latitudini, fino all'ultimo respiro. E l'intera umanità, anche quella più distante, ha risposto e l'ha “riconosciuto” nell'atto di spezzare il pane fraterno di una speranza essenziale, autentica, unica, anche se radicale. Certamente qualcuno ha sofferto per questa energica proposta, ma per Giovanni Paolo II era ed è quella ispirata da una Fede innegabilmente sincera: d'altronde non è stato così anche per Cristo? I consueti parametri sociologici, culturali e istituzionali di valutazione (tradizione-innovazione), senza questo riferimento esistenziale di fondo, non costituiscono un valido metro di analisi né in alcun modo servono a spiegare la “persona Wojtyla”: finirebbero con il fornire solo una visione riduttiva e troppo umana di quel complesso e, per molti aspetti, ancora misterioso mondo interiore.

Non sta a noi, né tantomeno a me, esprimere un giudizio sul Suo operato o sulla Sua eredità magisteriale e pastorale: però il Wojtyla pubblico, carismatico comunicatore della immediatezza, ironico e intuitivo, coetaneo a ogni età, amante della sport e della giovinezza, con le Sue geniali e profetiche iniziative (Giornata Mondiale della Gioventù, Giubileo, dialogo ecumenico nel rispetto delle singole diversità religiose e culturali, difesa della pace, dei diritti umani e della sacra dignità della vita, richiesta di perdono, rivalutazione della santità laicale e familiare, liberazione “integrale” dell'uomo non solo sul piano sociale, fermo richiamo al filtro metastorico dei valori trascendenti contro ogni pervasiva secolarizzazione consumistica…) non può essere compreso senza il Wojtyla ripiegato umilmente nel silenzio della Sua intensa preghiera meditante. L'aver accettato in pieno, abbandonandosi fiduciosamente fra le Sue braccia, il Dio della Luce, dell'Amore, della Risurrezione e delle Beatitudini, ma anche Quello della croce e del dolore, stimmate questi ultimi ben scolpite sul suo corpo, ha significato per Lui anche l'adozione totale e misericordiosa dell'uomo, di ogni sua sofferenza, anche del suo attentatore: fino all' “Amen” finale, come a voler far intendere che tutta la sua vita era stata una costante e ininterrotta preghiera, un colloquio con l'Eterno, che si chiudeva come tale perché diventava “visione” presso la “finestra” del Padre, dalla quale Egli avrebbe continuato a benedire chi a Lui si rivolgeva. L'incessante pellegrinaggio da parte di folle di fedeli e ammiratori presso la sua tomba nelle Grotte Vaticane ne è una palpabile riprova. Da testimone e vittima, quindi, del “male radicale” a promotore e annunciatore del “bene radicale” senza esitanti scorciatoie: questo è il coraggioso passaggio operato nel Suo cammino terreno da Giovanni Paolo II. È qui che, a mio giudizio, si colloca la Sua grandezza spirituale e morale, che la storia presente e futura non mancherà di riconoscerGli, come, peraltro, già sta accadendo. Comunque, al di là delle norme e procedure previste dal Diritto Canonico, nel cuore della gente la memoria positiva di questo Papa, come un giorno lo fu per Padre Pio e Giovanni XXIII, con la sua originalità è già stata scritta.

I problemi ecclesiali contingenti, da dopo il Concilio Vaticano II, rimasti come nodi ancora aperti e irrisolti? Certamente ve ne sono e anche molti (collegialità, celibato dei preti, ruolo della donna nella Chiesa, etica sessuale, bioetica…): a ognuno il compito di dare una propria risposta, quindi ai Suoi Successori la loro. Con il recupero di una forte e credibile identità del messaggio cristiano e delle sue radici, in un momento storico peraltro non facile, a causa delle sue mille sfide, Giovanni Paolo II ha tentato di offrire la sua, con onesta coerenza e fedeltà al Suo stile. La modernità, nel messaggio di questo Papa, non può reggersi sulla contraddizione né “prescindere” dall'uomo, o peggio andargli “contro”, ma ha bisogno che le vengano restituiti alcuni valori e soprattutto una fede da poggiare su ben più solidi punti di riferimento, che non siano solo quelli della banalità legata al selvaggio liberismo, alla supremazia quasi sacrale della tecnologia, al consumo sfrenato di beni, di pensieri e di vite, alla logica del più furbo e del più forte. In questo nostro mondo, attraversato da così stridenti disuguaglianze e da innumerevoli drammi nascosti, riportare una briciola di speranza, di amore e di giustizia, che facciano dell'uomo e della sua esistenza una pagina da scrivere e da rispettare con dignità, significa rivoluzionare questa nostra storia presente, globalizzata nel bene e nella solidarietà ma, purtroppo, anche nell'espressione del male nelle sue varie diramazioni. Giovanni Paolo II ha insistito molto su tutto ciò e in tutti i versanti: con i giovani, con i potenti della politica, con gli intellettuali, con i sofferenti, contro le organizzazioni criminali e i loro illegali e spesso illeciti traffici, contro le molteplici divisioni culturali e religiose, contro ogni forma di discriminazione, di sfruttamento e di illibertà, contro ogni pratica di guerra definita come “giusta e preventiva”, contro ogni falsa e ipocrita assoluzione del conformismo fatto passare per progresso.  Ogni cosa veniva da Lui chiamata con il proprio nome e senza riguardo reverenziale per nessuno. Ha condannato il nazismo, il comunismo, le varie dittature militari, ma anche la mercificazione dei diritti e dei doveri e un galoppante capitalismo senza regole né attenzione per i più diseredati, i più poveri e i più deboli: la “liberazione” dell'uomo è quella “integrale” (corpo-spirito), non solo quella legata alle sue condizioni socioeconomiche, come voleva la Teologia della Liberazione (Boff, Gutierrez…), cioè parziale, perciò censurata dal Papa polacco. A questa babele di lingue Egli ha opposto l'universalità della chiamata alla fraternità, perciò la Sua parola, come quella di un antico e solitario profeta del Vecchio Testamento (si ricordi quanto disse ad Agrigento, nella Valle dei Templi, con il dito puntato in tono fermo nei confronti della mafia), è stata chiara, controcorrente, incisiva, quasi tagliente, da alcuni posta in discussione, ma da nessuno mai negata nella sua sostanziale sincerità. E ciò va accreditato a indubbio merito di questo Papa.

Sul libro del Tempo il vento dello Spirito, privilegiando sempre la semplicità e la trasparenza, con imprevedibile libertà e novità soffia sempre dove, come, quando e mediante chi vuole: questo è il “vero mistero” della Chiesa che si rivive nei secoli e del quale Papa Wojtyla, come San Francesco e Madre Teresa di Calcutta, è stato ed è un magnifico esempio. Il resto lo si lasci pure all'umana mediatica emotività o alle disquisizioni sociologiche che sul piano teologico e filosofico perdono ogni valenza di ragionamento “sensato”.

In questo periodo storico nevroticamente elettrizzato da ritmi così veloci, fermarsi un po' per riflettere con un pizzico di saggezza su tutto questo e, perché no, anche su se stessi non farebbe male, anzi!

(da 'Il Giornale dei Misteri')