Il Dio degli atei

Etica e fede nell'ateismo contemporaneo

Si leggeva nei testi di teologia di un tempo: "Homo naturaliter christianus" (=L'uomo è naturalmente un cristiano). Se si sostituisce il termine "cristiano" con quello di "religioso" forse il pensiero diventa più plausibile. Quale persona, infatti, nella Storia, all'interno della propria coscienza, non si è mai posta una serie di domande come: Perché vivo? Finisce veramente tutto dopo la morte fisica? Al di là dell'apparente visibile, esiste un qualcosa o un qualcuno che regola e guida l'universo? Si è soltanto un complesso di cellule aggregatesi per pura casualità e senza un disegno progettuale intelligibile? Perché la mente, pur consapevole della scomparsa del corpo, non si rassegna al suo totale annullamento? Perché il suo immenso bisogno d'eterno e d'infinito? Può mai essere tutto frutto di una banale illusione conseguente a un'operazione di natura proiettiva? E così via.

Queste sono domande ineluttabili e fondamentali che, talora pur rimosse, mai abbandonano la vita dell'uomo, ma l'attraversano profondamente, incidendo su alcuni, sgomentando altri, fermando tanti al loro punto di partenza. Il vero problema sta nella qualità della risposta che ci si dà o che si teme di darsi: in gioco è il cambiamento dello stile di vita, se il cammino di ricerca di una soluzione richiede poi di andare sino in fondo.

Prima di entrare nel dettaglio dell'argomento ritengo sia opportuno definire terminologicamente alcuni concetti:
- Ateo: Colui che nega l'esistenza e la conoscibilità di Dio (a-theòs= senza Dio).
- Teista: Chi ammette l'esistenza di una divinità personale, libera e intelligente, alla quale si deve la creazione e la conservazione del mondo.
- Antiteista: Chi non si limita soltanto a non ammettere l'esistenza di un Dio, ma ne combatte concretamente la stessa diffusione di una tale idea.
- Agnostico: Chi afferma l'inconoscibilità dell'Assoluto, senza negarne l'esistenza.
- Laico: Colui che agisce in completa autonomia dal potere religioso, ma senza essergli ostile.
- Laicista: Chi è apertamente contrario a ogni forma di imposizione da parte del potere religioso.
- Teodem: Chi fa derivare le scelte politiche direttamente dai principi di una fede religiosa.
- Teocon: Colui che afferma la dipendenza dell'economia da un'etica ispirata alla religione.

Chiariti questi termini, oggi vi sono tanti modi o livelli secondo i quali si manifesta l'ateismo nelle sue varie espressioni: teorico, pratico, economico, politico, tecnologico, religioso e storico.

Teorico. È quello formulato e sostenuto da alcuni filosofi e umanisti (Th. Hobbes, L. Feuerbach, F. Nietzsche, A. Schopenhauer, K. Marx, A. Comte, S. Freud, J. P. Sartre, positivismo scientifico e logico, ecc.), secondo i quali l'ammissione dell'esistenza di un Dio (espressione infantile della evoluzione umana) limiterebbe sia il mondo che l'uomo. Io credo che questo sia una maschera dietro la quale si nascondono, intrecciati, vari elementi: l'orgoglio intellettuale che non sa o non vuole accettare con umiltà la verità della condizione umana, l'affermazione della totale e illimitata autonomia dell'uomo e quindi della liceità di tutto ciò che egli compie, una sorta di giustificazione per difendersi magari da eventuali esperienze negative legate a un rapporto avuto con il potere religioso, un alibi per coprire un drammatico vuoto di riflessione perché non si vuole "conoscere" ma "godere" solo del virtuale promesso e propinato dai media (si promette per una Promessa!). Insomma un atto di debolezza, perché la paura verso se stessi quasi sempre genera odio verso Chi ridona un volto. Tutti i sistemi sociali che lungo il corso dei secoli hanno tentato di imporre alle masse questa visione del mondo e della vita alla fine hanno dovuto registrare un completo e, spesso, tragico fallimento. Questo è accaduto con l'esasperazione dell'umanesimo razionalista nel XX secolo (comunismo, nazismo, ecc.) e questo potrebbe accadere nel XXI se si lascia la gestione della specie umana solo e unicamente alla scienza e alla tecnologia, secondo le quali non si può oltrepassare l'esperienza sensibile. Le sorti dell'uomo stanno nel recupero dell' "etica del discorso", della quale parla il filosofo tedesco J. Habermas, nella rivalutazione cioè dei valori condivisi, per non ripiombare nella trappola senza ritorno del nichilismo. Vorrei proprio sapere se nella mente di tanti pensatori che hanno teorizzato l'ateismo alla fine non sia affiorato o non riaffiori almeno qualche dubbio circa la pretesa assolutizzazione delle loro conclusioni. L'eccessiva fiducia nella "sola" ragione, che lavora prevalentemente sul visibile, quante volte non ha prodotto mostri o è costretta a infrangersi nella constatazione che esistono anche tante altre realtà non misurabili e non racchiudibili nell'ambito del comune parametro della sperimentabilità in un laboratorio! Semplicemente ci sono, anche se l'intelligenza empirica non riesce ad afferrarle nella loro intima natura, perché sfuggenti e non traducibili in parole umane ben definite. Al di sopra dei pensieri c'è sempre l'immaginazione e su quest'ultima vi è il regno della ricchezza del silenzio, bisognoso anch'esso di una sua attenta lettura!

Pratico. Questo parte dal principio "Vivere come se Dio non esistesse", cioè dal dio-Nulla. In concreto queste persone, forse la stragrande maggioranza degli esseri umani, non si pongono neanche la domanda, perché la trovano molto angosciante e inquietante, lontana dal loro voluto modo di essere e di agire, quasi pericolosa, perché un eventuale tentativo di risposta o, peggio, un percorso fatto di seria ricerca potrebbe provocare uno stato di grave crisi al loro quieto vivere fra lavoro, divertimenti, consumismo esasperato e voglia sconsiderata di apparire e far successo ad ogni costo, anche a prezzo e detrimento della propria dignità. Tali persone sembrano essere come tanti sugheri galleggianti sulle acque o come lacere foglie secche condotte qua e là dal vento, simboli viventi cioè del vuoto e negazione della vita stessa. Questa forma di ateismo mi sembra molto grigia, insignificante, superficiale e di comodo, perché spinge a trascorrere la propria giornata terrena senza darle un nome e un senso, alla mercé di qualsiasi evento, privata di un minimo soffio di orgoglio. Alla fine ci si ritrova ad aver consumato il tempo concesso come se non si fosse mai veramente vissuti, da fantasmi ambulanti, cioè scioccamente e inutilmente, con tutti i conseguenti sotterfugi per nascondere i rimorsi e giustificare anche ciò che moralmente in sé giustificabile non è.

Economico. In economia predomina, è inutile nasconderselo, l'accumulo di denaro, talora senza scrupoli, in un mercato reso globale, dove, purtroppo, non sempre vigono regole precise. Basta osservare quanto sta accadendo in giro e che è sotto gli occhi di tutti: furti. scippi, rapine, omicidi per 100 euro, pizzi e pizzini mafiosi, riciclaggio di risorse economiche cosiddette porche, indecoroso spaccio di droga, arricchimenti da illecita provenienza, speculazioni finanziarie di vario genere, ecc. Tutto questo dice che il nuovo (ma anche antico) "dio" rimane l'onnipotenza della "moneta", con la quale si crede di comprare e di vendere tutto, compresa la propria dignità (scandali diffusi di ogni natura e in tutti i settori del vivere). Per questa tipologia di ateismo, Dio, quello vero, sembra come essere "morto" (H. Cox), perché c'è un altro che l'ha sostituito in una società considerata nei suoi riti ripetitivi e nei suoi soli ristretti confini terreni e nella quale l'unico scopo da perseguire sembra essere non il "piacere di vivere" ma il " vivere per il piacere". Per questo così esteso ateismo il problema di Dio si pone solo nel momento nel quale compare la ferita del dolore, la misera frana del castello di ricchezza accumulata (tracolli economici e finanziari), la coscienza di dover lasciare tutto nella prospettiva di una morte imminente. Questa forma di ateismo potremmo definirla di rimozione.

Politico. L'ateismo di fatto caratterizza non poco la carriera e la politica, per le quali si è disposti a mortificare ogni cosa, anche affetti e valori, pur di conseguire lo scopo non certo sempre di "servire" quanto di "servirsi" del dio-potere raggiunto (o da raggiungere) più frequentemente per la tutela e lo sviluppo dei propri interessi personali, di parte o di gruppo e non rare volte, più o meno palesemente, anche per addormentare le coscienze, tentando di addomesticarle e piegarle così ai propri fini. In questa maniera tutto si autorigenera, e senza tanti pudori, in vista della conservazione dello "status quo". In tale ottica Dio è quasi totalmente assente nelle scelte, ma non in nome dell'autonomia del temporale dallo spirituale, quanto perché l'affermazione della sua presenza imporrebbe che ciascuno, servendosi dei mezzi giusti, dovrebbe poi stare al posto giusto, cosa che ovviamente non si desidera, perpetuando così la prassi che "il fine giustifica i mezzi" (anche quelli illeciti) e che il forte diventa sempre più forte e il debole è destinato a essere sempre più debole. Ma anche qui si tratta di una forma strumentale di ateismo, salvo poi a rinnegarla quando eventi particolari o l'avanzare dell'età richiedono ripensamenti su ciò che si è praticato per ragioni di carriera.

Tecnologico. Per la tecnologia il mezzo è anche fine e il senso è svuotato di significato: contano solo l'uso del dio-tecnica e la continua sua autoriproduzione con la conseguente eclissi di tutto ciò che attiene alla sfera psichica, che, come autentica "signora" dell'agire, dovrebbe dominarla e guidarla verso finalità più umanizzanti. La tecnologia "sembra" essere onnisciente, non avere confini e per essa, senza la dovuta selezione delle priorità, ogni cosa si tende a immolare e sacrificare fino al punto da rendersene schiavi e talora anche vittime. Soltanto allora viene a galla l'esigenza di un Dio, che alla tecnica può conferire un'anima, una coscienza del limite e, perché no, uno stimolo a non escludere dal proprio ambito altri piani del conoscere e del vivere, compresi quelli non eludibili relativi alla realtà del mistero.

Religioso. Spesso si assiste alla presenza d'un sottile ateismo che serpeggia anche nelle stesse istituzioni religiose e che, nelle sue forme più estreme e fondamentaliste, si esprime purtroppo, in nome di una presunta prescrizione divina, anche con la tragedia del terrorismo. Queste dovrebbero essere le rivelatrici visibili del sacro e delle sue istanze di pace e invece non poche volte si trasformano in mero dio-immagine, privo di segno e di vitalità interna, con il frequente rischio che ognuno si confeziona una divinità a propria somiglianza in vista di un personale ed egoistico uso e consumo della stessa.

Storico. Quante volte questa forma di ateismo esistenziale non è conseguente al silenzio temporaneo di Dio nei periodi più dolorosi della Storia, tanto da far pensare in alcuni momenti a una sua assenza dalle vicende terrene, come durante le guerre, i tanti macabri eccidi, il massacro di innocenti, le "pulizie etniche", lo sterminio di massa nei forni crematori, i disastri naturali, ecc.! Ma qui ci inoltriamo in un orizzonte conoscitivo che va nettamente al di là della nostra capacità di intendere e di comprendere, anche se oggettivamente sembra che si tratti di una provvisoria sconfitta di Dio da parte delle forze del Male, comprese quelle originate dalla follia della irrazionalità umana, che pure ci sono state e ci sono ancora e tuttora fanno sentire il loro nefasto peso.

Dopo aver presentato molto sinteticamente questo quadro generale delle diverse e complesse sfumature sotto cui si palesa l'ateismo contemporaneo nella nostra società postmoderna, discorso doverosamente richiesto dal nostro argomento, c'è ora da chiedersi: può esistere per l'ateo un comportamento etico regolatore di vita e autonomo da una fonte di ispirazione religiosa?

Premesso che un "ateo in assoluto", a mio giudizio e stando al vaglio dell'esperienza quotidiana, non può essere ipotizzato se non per ragioni di scelte dettate più dalla contingenza che da esigenze veramente teoriche (se di Dio non si può compiutamente parlare, almeno si dovrebbe tacere!), io credo che la possibilità di una morale ci sia e questa andrebbe cercata sul "terreno dell‘uomo" e della sua dignità. Non a caso l'Illuminismo già aveva elaborato qualcosa del genere elencando alcuni valori comuni come: libertà, fraternità, uguaglianza, razionalità, solidarietà, tolleranza, rispetto per sé e per gli altri. Su questi elementi, fondati sostanzialmente sul riconoscimento dell'importanza della vita umana e sulla necessità di salvaguardarne i diritti, evitando le assolutizzazioni razionaliste del XX secolo con le loro terribili conseguenze storiche su menzionate, io penso che un incontro e un dialogo possa e debba esserci. Tali valori naturali condivisi costituiscono un presupposto essenziale per la costruzione di un discorso anche religioso. In teologia si dice: "Gratia non destruit, sed supponit et perficit naturam" (= La Grazia non distrugge, ma suppone e perfeziona la natura). Quindi una morale per l'ateo e il laico non solo "può", ma "deve" esistere, perché si possa pensare e vivere nella società in maniera civile e rispettosa delle regole che essa si è data, se il tutto si basa su un tacito e accettato "contratto sociale": agire altrimenti si è all'anarchia, al caos, alla legge della giungla, alla primitiva e animalesca istintualità della foresta. E, bisogna riconoscerlo, molti che si proclamano atei questa visione etica del mondo e della vita ce l'hanno e la praticano in maniera abbastanza coerente. Ciò, però, in tali soggetti è frutto non solo di un processo di maturazione intellettuale e personale, ma anche di un confronto positivo e costruttivo che da tempo si sta portando avanti in più circostanze, a diversi livelli e tra personaggi responsabili di rilievo (Concilio Vaticano II, Card. C.M. Martini, J. Habermas, Card. J. Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI, ecc.). Quando prevalgono la buona volontà e la voglia di attenzione, di apertura, di rispetto e di ascolto del diverso da sé, allora un incontro, pur rimanendo magari alla fine ciascuno nelle proprie rispettive convinzioni (non si dimentichi il freno derivante dalle resistenze o dai meccanismi di difesa), almeno può servire a capirsi e a capire che un granello di verità può abitare nella coscienza di chiunque. E quante fruttuose e benemerite realizzazioni umanitarie sono state prodotte e sono tuttora prodotte anche da atei in buona fede! Quindi non è assolutamente detto che una persona, consapevole della propria e dell'altrui dignità pur senza seguire un particolare credo religioso, non sia in grado di avere dei principi etici forti e fermi ai quali rapportare il proprio comportamento: tutt'altro! Solo che si richiede appunto un ateismo in buona fede, cioè onesto e non pregiudizialmente ottuso. Di quello in "mala fede" ci sarebbe di che dubitare, perché ben altre motivazioni, non certamente sempre nobili, potrebbero esserne alla base e sulle quali regolare magari non la propria libertà (che si fonda sulla chiarezza dei limiti e del rispetto), ma la pretestuosa giustificazione per un uso indiscriminato della stessa, cosa che equivarrebbe ad affermare un assai discutibile libertinaggio etico.

In conclusione si può dire che un ateo coerente con se stesso a suo modo è anche un credente, nel senso che almeno crede in un qualcosa di valido (anche se non espressamente riferito al trascendente), a differenza di tanti che asseriscono di avere una fede religiosa, ma in realtà e concretamente non credono in niente e a nessuno, perché il tutto si fa esaurire passando per il solo "flatus vocis" della parola e dell'apparenza. Quanti ateismi sono indotti psicologicamente e socialmente da alcuni pessimi modelli dominanti e quante "sorprese" riserverà l'Aldilà, se questo esiste come io ne sono certo! Che allora i primi non saranno gli ultimi e gli ultimi i primi? Chi vivrà, cioè tutti, vedrà!

(da 'Il Giornale dei Misteri')