Il sostegno psicologico ai disabili
La disabilità psicofisica, comunque la si voglia definire (diversa-abilità, handicap,ecc.), in ogni caso è, clinicamente parlando, l'assenza di una compiutezza che può esplicitarsi sia a livello strettamente fisico (patologie varie) che a livello mentale (minorazioni di vario tipo) ed emotivo-comportamentale (diversità, tossicodipendenze, aggressività accentuate, psicopatie, disturbi dell'umore...).

È chiaro che di questi casi va fatta innanzitutto una diagnosi precoce, precisa e attenta per stabilire poi un adeguato protocollo d'intervento, che dovrà prevedere, oltre a un apporto terapeutico di natura farmacologica, anche e, forse, soprattutto uno di natura psicologica. Non si dimentichi mai che ci si trova dinanzi non a delle malattie da curare ma di fronte a persone portatrici di uno stato di sofferenza, che va comunque alleviato in tutte le sue varie sfumature e componenti. Si sa che questo incrina l'equilibrio della persona, indebolisce la reattività dell'Io, crea delle sfasature sul piano affettivo e conseguentemente anche operativo. È dunque sulla possibile ricostruzione di questa complessità ferita che occorre intervenire con competenza, umanità e, perché no, anche con una grande e disponibile apertura di cuore.

L'intervento psicologico-clinico sostanzialmente può essere ricondotto a tre ambiti generali e fondamentali:

1. quello rassicurativo e di accettazione in un contesto di empatia sincera;
2. quello ricostruttivo delle varie parti lese o destrutturate della personalità;
3. quello dell'attivazione delle forze-risorse positive alle quali il soggetto può far ricorso per affrontare con fiducia la sua vita. Certamente un insieme di stimoli luminosi derivanti dalla fede religiosa non guasta, anzi.

La rassicurazione

Il soggetto disabile va incoraggiato, evitando assolutamente i toni drammatizzanti. Il trauma va svuotato dei suoi contenuti ansiogeni e, se qualche traccia c'è, questa va sciolta con fermezza e delicatezza, ponendo in risalto la presenza di ben altri elementi positivi pur esistenti in ogni persona. L'attività distrattiva qui gioca un ruolo molto importante.


La ricostruzione

È la parte più fine e delicata dell'intervento, che richiede tempo, pazienza e una complessa conoscenza di tecniche psicoterapeutiche, che vanno dal riconoscimento dell'Io e dalla ristrutturazione del Sé, rafforzandoli gradualmente nelle loro capacità di scelta, alla nascita, crescita e sviluppo dell'autostima, che spinga il soggetto ad accettarsi nella sua identità e, semmai, a migliorarsi nelle sue relazioni emotive interne (autocontrollo) ed esterne, e infine a un approccio comportamentale sereno sul piano dell'integrazione sociale. Il fine è quello di raggiungere un equilibrio, se non perfetto, almeno accettabile, che ponga il paziente (passi questo brutto termine) in condizioni di quasi normalità.


L'attivazione delle istanze positive

È quello che io sono solito chiamare il "progetto di vita", del quale ognuno, come soggetto dotato di spiritualità, è portatore. Esso implica una serie di attività concrete da programmare con intelligenza e che siano congrue alle capacità attuative del soggetto. Queste possono essere di natura strettamente manuale, ma anche blandamente di curiosità e intellettive. L'essenziale è che il soggetto le percepisca come proprie, le possa realmente compiere e che siano in qualche modo creative e, quindi, soddisfino, gratificandolo, il disabile stesso. Lo scopo è quello di arrivare a una compensazione che renda consapevole la persona che la sua vita è importante e preziosa e che serve comunque a qualcosa e a qualcuno (a sé e agli altri).


In sintesi, è su questo piano interattivo e pluridirezionale che andrebbe diretto l'intervento psicologico, che, in quanto tale, è sempre da effettuare in uno staff, dove si possa agire in équipe. Solo a queste condizioni si può nutrire legittimamente la speranza di avere un risultato che soddisfi le attese del disabile. Per quanto attiene alle singole disabilità, le modalità e le tecniche d'intervento variano a seconda della loro specificità. E questo, data la necessaria brevità di parola cui bisogna attenersi, non è né il momento né la sede di descriverle nei loro dettagli.

Concludendo, si può affermare con relativa tranquillità che una persona sofferente che si sente veramente seguita, apprezzata per quella che è, valorizzata nei suoi elementi propri e soprattutto amata è già, di per sé, per metà guarita. L'esperienza clinica di tanti anni a contatto con simili soggetti questo ha insegnato e questo tuttora insegna. Il Santo Padre Pio, nel discorso commemorativo del 1° anniversario dell'inaugurazione della Casa Sollievo della Sofferenza (5 maggio 1957), ebbe a dire:"Questo deve diventare un tempio di preghiera e di scienza". È proprio quello che gli ammalati si attendono: amore, fede e competenza. Anch'essi hanno diritto a scrivere in piena libertà e con il dovuto aiuto da parte delle strutture sociosanitarie il proprio originale romanzo di vita. Agli operatori il compito di predisporre le condizioni ottimali perché ciò si realizzi, ma anche alle cosiddette agenzie educative la responsabilità di specializzarsi con più risolutezza e serietà allo scopo non solo di non far sentire dei "diversi" questi fratelli, ma, come diceva ieri una relatrice, dei "piccoli figli di Dio" ai quali donare con generosità la carezza affettuosa di un sorriso.


(L.U.C.I. 'Padre Pio')