Il sostegno psicologico ai disabili |
La disabilità psicofisica, comunque la
si voglia definire (diversa-abilità, handicap,ecc.), in ogni caso è,
clinicamente parlando, l'assenza di una compiutezza che può esplicitarsi sia a
livello strettamente fisico (patologie varie) che a livello mentale (minorazioni
di vario tipo) ed emotivo-comportamentale (diversità, tossicodipendenze,
aggressività accentuate, psicopatie, disturbi dell'umore...).
È chiaro che di questi casi va fatta innanzitutto una diagnosi precoce, precisa
e attenta per stabilire poi un adeguato protocollo d'intervento, che dovrà
prevedere, oltre a un apporto terapeutico di natura farmacologica, anche e,
forse, soprattutto uno di natura psicologica. Non si dimentichi mai che ci si
trova dinanzi non a delle malattie da curare ma di fronte a persone portatrici
di uno stato di sofferenza, che va comunque alleviato in tutte le sue varie
sfumature e componenti. Si sa che questo incrina l'equilibrio della persona,
indebolisce la reattività dell'Io, crea delle sfasature sul piano affettivo e
conseguentemente anche operativo. È dunque sulla possibile ricostruzione di
questa complessità ferita che occorre intervenire con competenza, umanità e,
perché no, anche con una grande e disponibile apertura di
cuore.
La rassicurazione Il soggetto disabile va incoraggiato, evitando assolutamente i toni drammatizzanti. Il trauma va svuotato dei suoi contenuti ansiogeni e, se qualche traccia c'è, questa va sciolta con fermezza e delicatezza, ponendo in risalto la presenza di ben altri elementi positivi pur esistenti in ogni persona. L'attività distrattiva qui gioca un ruolo molto importante.
La
ricostruzione È la parte più fine e delicata dell'intervento, che richiede tempo, pazienza e una complessa conoscenza di tecniche psicoterapeutiche, che vanno dal riconoscimento dell'Io e dalla ristrutturazione del Sé, rafforzandoli gradualmente nelle loro capacità di scelta, alla nascita, crescita e sviluppo dell'autostima, che spinga il soggetto ad accettarsi nella sua identità e, semmai, a migliorarsi nelle sue relazioni emotive interne (autocontrollo) ed esterne, e infine a un approccio comportamentale sereno sul piano dell'integrazione sociale. Il fine è quello di raggiungere un equilibrio, se non perfetto, almeno accettabile, che ponga il paziente (passi questo brutto termine) in condizioni di quasi normalità.
L'attivazione delle istanze
positive È quello che io sono solito chiamare il "progetto di vita", del quale ognuno, come soggetto dotato di spiritualità, è portatore. Esso implica una serie di attività concrete da programmare con intelligenza e che siano congrue alle capacità attuative del soggetto. Queste possono essere di natura strettamente manuale, ma anche blandamente di curiosità e intellettive. L'essenziale è che il soggetto le percepisca come proprie, le possa realmente compiere e che siano in qualche modo creative e, quindi, soddisfino, gratificandolo, il disabile stesso. Lo scopo è quello di arrivare a una compensazione che renda consapevole la persona che la sua vita è importante e preziosa e che serve comunque a qualcosa e a qualcuno (a sé e agli altri).
(L.U.C.I. 'Padre
Pio')
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