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La guerra come "viaggio" PDF Stampa E-mail
Relazione sul libro di A. Facchini "Guerra, dolore, amore"
San Severo, Auditorium Teatro Comunale, 7 maggio 2007

La dr.ssa Facchini è a tutti nota come un'attenta studiosa delle problematiche relative alla storia del proletariato agricolo e del movimento bracciantile, della nobile figura di Leone Mucci e dell'origine dei partiti in Capitanata, ricerche condotte avanti con il marito, l'indimenticato e caro amico dr. Raffaele Iacovino, del quale qualche anno fa ha curato anche la pubblicazione dei "Ritratti" (una raccolta di biografie di personaggi che hanno lasciato di sé una luminosa traccia nella nostra storia locale).
Con il romanzo "Guerra, dolore, amore" (231 pagine edito nel febbraio 2007 dalle Arti Grafiche Malatesta di Apricena) è alla sua prima esperienza di scrittrice di narrativa
Questa opera si colloca chiaramente nel filone della produzione letteraria neorealista con l'aggiunta di alcune tematiche che trascendono il periodo storico della seconda guerra mondiale e vanno a lambire l'attualità con la proposta di alcune domande sul senso del vivere, che stanno attraversando drammaticamente la coscienza dell'uomo moderno così sfaldata e lacerata da dubbi, insicurezze e paure di vario genere per il futuro, da un pragmatismo labile e relativista, dall'assenza, purtroppo, di una qualunque forma di fede in un qualcosa e da una strisciante, deprimente e talora angosciante solitudine, accresciuta quest'ultima anche dalla frequente dipendenza dalla rete web di Internet.
Con il racconto della vicenda di un giovane (Andrea), ipnotizzato quasi dall'infatuazione per le idee fasciste sulla purezza della razza e sulla virilità assunta a valore supremo di forza e di identità oltre che essere in balia dell'assioma detto "categorico"del "Credere, obbedire, combattere", si snoda sotto gli occhi del lettore tutta la tragedia di una guerra assurda, non voluta e certamente non necessaria (altro che igiene della storia!), con tutto il suo inquietante seguito di distruzioni, di massacri, di miseria, di terrore, di frantumazione di ogni più pallida sembianza di armonia e di bellezza, insomma di morte. Qualunque guerra, del resto, storica o psicologica che sia, è sempre accompagnata dal deserto e da questo triste corteo di macerie dolorose, che, come tante piaghe non cicatrizzate, interrogano la mente e non lasciano l'individuo così com'era prima, ma lo cambiano profondamente nella sua interiorità in bene o in male a seconda della personale sensibilità. Tutti, ancora oggi sgomenti, ricordiamo la fine di Primo Levi terminata con il suicidio.
Come in una tragedia greca o in un poema omerico scorrono scene di scontri sanguinosi senza alcun riguardo neanche per la pietà, diremmo oggi di fuoco non solo nemico ma anche "amico", cioè comunque mortale, di bombardamenti scriteriati, come quelli di Foggia e di Cassino con i tanti sfollati senza più una casa e i numerosi orfani lasciati sulle strade, di ferite curate con amore da gente che credeva ancora in un qualcosa di diverso dalla brutalità, di ideali di pace e di civiltà calpestati, in nome di uno squallido interesse di parte, dalla barbarie della irrazionalità e della follia promosse ed elevate a paradigmi di valori. Tutta la vita ridotta a puro numero e a un mero prodotto biotecnologico!
Nel romanzo si snocciola la vicenda del giovane Andrea, dell'audace baldanza che lo spinge alla guerra come volontario, del suo trasferimento da Rovigo in Puglia dove è ferito gravemente alla spalla da una scheggia di bomba, ma anche e soprattutto del suo profondo travaglio interiore fatto di eclissi e di luce, di buio e di improvvise illuminazioni, di autoisolamento e di apertura alla vita, di intollerabile dolore per la perdita della persona amata (Elena), ma anche di progressiva schiusura verso un orizzonte diverso del vivere proiettato sul superamento dell'angusto limite umano e dell'abbandono fiducioso tra le braccia della Trascendenza con l'avvio di una revisione delle proprie convinzioni, della validità delle scelte compiute e della necessità di una svolta decisiva, entrando alla fine in convento, dove, come scrive ì'Autrice, ritrovata la serenità "si dedicò con amore e generosità alla cura delle anime, divenendo punto di riferimento dei poveri e dei diseredati ed esempio... di bontà", insomma un operatore di luce e di carità.
Nella struttura narrativa del romanzo campeggiano figure imponenti di umanità e di saggezza, come quelle di P. Pio, P. Venanzio, P. Anselmo e frate Antonio, ma anche ricordi di luoghi a noi familiari, come San Severo con l'ospedale civile e i suoi campi militari di aviazione (Torre dei Junghi, zona del Triolo), il Santuario di Stignano e soprattutto quello di San Matteo riempito dal respiro innocente e dagli occhi limpidi dei bambini che con la loro voce festosa ma anche di speranza allietano l'allestimento del presepe. C'è il ricordo dell'Isola del Liri, della Ciociaria e delle sue case diroccate dalla furia della guerra, delle abbazie di Casamari e di Trisulti (luoghi a me cari per tante ricerche storiche ivi condotte sui Templari), ma anche delle suggestive bellezze del Gargano con i suoi silenzi che vengono da lontano nei secoli e gli abitanti dell'epoca che tanto rievocano l'ancora intatta incontaminazione dalle seduzioni delle sirene della cosiddetta modernità
Come in un documentario storico in bianco e nero sfilano sequenze di eventi, come la caduta del fascismo del 25 luglio 1943 e la relativa esultanza popolare ma anche con un esercito costretto allo sbando, le orrende rappresaglie nazifasciste seguite all'8 settembre ma anche gli stupri perpetrati da parte delle truppe alleate marocchine, la dichiarazione di guerra alla Germania da parte di Badoglio (13 ottobre 1943) e il Congresso a Bari dei sei partiti antifascisti, gli sbarchi alleati di Salerno e di Anzio e la distruzione di Montecassino del febbraio 1944, il ritorno di Togliatti da Mosca nel marzo del 1944, lo scempio di Piazzale Loreto dopo il 25 aprile ma anche il ricordo dei 15 partigiani ivi trucidati qualche giorno prima, la capitolazione del Giappone firmata il 2 settembre 1945...: si assiste come a un serrato sciogliersi di una progressiva liberazione dai tanti incubi costituiti dal militarismo, da una guerra vista come un terribile "gioco" studiato, rappresentato e guidato dall'antiumanità, da un malinteso patriottismo funzionale solo ed esclusivamente al potere, dal mito di una presunta e infondata superiorità di una razza come teorizzato da N. Pende e da Karl Julius Moelbius. È come la saga del tramonto e della caduta di una società e dei suoi fatui idoli per dare spazio alla rinascita e ricostruzione quasi catartica di un'altra, come una terra nuova, basata sui principi di fratellanza e di solidarietà. Ma ci voleva proprio una così gigantesca ondata di odio e di lutti per capire questa lezione, tanto da far dire a Spengler che l'Europa e l'Occidente erano ormai giunti al loro crepuscolo?
Giustamente fa notare l'Autrice che se prevalessero di più intelligenza, prudenza e maggiore esperienza, come ricordato dalla madre del protagonista, forse molti errori e orrori non si ripeterebbero più nella storia in maniera tanto vistosa e insensata (questa, purtroppo, non sempre è stata ed è "magistra vitae" !), come, peraltro, avverte che se si ritornasse maggiormente in se stessi (quell' "ascoltarsi senza riserva", del quale parlava P. Venanzio) ci si riconoscerebbe meglio come membri di un'unica grande famiglia, quella umana, evitando così agli ultimi di soffrire ulteriormente senza un perché, anche se un "perché" mai dovrebbe esserci come giustificazione al loro soffrire. Anche gli ultimi hanno un nome e una parola da cancellare che si chiama "umiliazione" come una da difendere che si chiama "dignità"!
Nel romanzo non mancano episodi di squisita attenzione umana e cristiana (le cure prestate ad Andrea) e delicati momenti di innamoramento, come quelli per la bella suor Bianca e soprattutto per la dolce e saggia Elena, purtroppo spentasi nel fiore della giovinezza: la psicologia femminile qui si evidenzia e si esprime in tutta la sua imprevedibile e spesso contrastante dualità di realtà e di mistero.
Oltre a quelli già menzionati sopra, sono presenti altri personaggi di tutto rispetto, come la concretezza riservata del padre e la tenerezza della madre del protagonista, l'apparizione improvvisa del bimbo Elio che distoglierà Andrea dal compiere un gesto inconsulto, la storia di Lorenzo, la figura protettiva della zia, le disavventure di Silvia, l'amarezza e lo sconforto della slava Lucia.
Soprattutto spicca il dramma del giovane Andrea, uno studente liceale promosso poi in guerra tenente e ferito alla scapola, che, attraverso uu'analisi attenta e sofferta dovuta alla sua forzata inattività ma anche con l'osservazione di ciò che gli stava accadendo attorno, riesce lentamente e non senza difficoltose resistenze (era orgoglioso di sé) a intravedere il classico "centro di gravità" e a riannodare così i fili del suo tessuto interiore, che, partendo dalla messa in crisi di alcune certezze ritenute incrollabili e, visti gli effetti devastanti, considerate ormai vecchie (gli ideali fascisti), approda a uno stadio di ricerca più coraggiosa che darà poi un significato più vero all'esistenza, grazie anche alla forte e prepotente domanda non tanto dell'"hic et nunc" quanto del "dopo". Bisognava allora riscrivere e riedificare tutto dalle fondamenta: società, individui, valori, diritti e doveri.
Quello di Andrea è come un viaggio più generale e metaforico contrassegnato dal feedback di un'andata e di un ritorno, ma anche di una crescita, com'è nella natura di ogni viaggiare: da un lato una corsa frenetica, senza sentire ragioni, verso l'utopia (la guerra) e dall'altro il cammino a ritroso alla riscoperta della autenticità delle radici, dove solamente si può ritrovare l'identità semplice ma pulita degli affetti che salvano e preservano la bellezza del vivere. È a questo livello che si esperimenta l'incrociarsi della lotta fra il bene e il male, fra l'illusione e la concretezza, fra ciò che si è lasciato e ciò che si reincontra e che comunque nel frattempo è già mutato, perché con gli anni ogni cosa tende a trasformarsi.
Tutto sembra essere guerra, anche lo stesso amore con i suoi tanti risvolti spesso dolorosi: sono proprio questi ultimi che affinano, filtrano e selezionano il banale dal sostanziale, creando le premesse per quelle provvidenziali ispirazioni che spingono poi l'animo umano a cogliere l'essenziale e ciò che veramente è degno di essere conservato come elemento importante e veramente significativo. Tutto allora si riannoda e si riconnette e trova una sua risposta: ovviamente, non potendosi spiegare niente con se stesso, questa si situa al di là dell'uomo, cioè in una dimensione di fede, che è sì un atto di fiducia ma anche e soprattutto la manifestazione di una intuita più alta conoscenza, la sola che può schiodare le tenebre dell'incertezza.
Anche la fede, però, ha bisogno di conferme e non a caso nel romanzo si nota come il protagonista "viaggia" dalla Ciociaria alla Puglia, ritorna in Ciociaria e da questa di nuovo riapproda in Puglia per l'incontro con P. Pio, che in qualche modo con la sua carismatica autorevolezza dà come il suggello della sacralità alla luce di una pace interna finalmente ritrovata.
Come si può notare da quanto detto fin qui, il romanzo, adoperando un linguaggio lineare e ben articolato e pur rifacendosi a eventi realmente accaduti, è come un'allegoria dell'esistere dell'uomo d'oggi, in continuo conflitto fra ricerca e rinuncia, fra desiderio di uno sguardo acuto e paura di indirizzarlo verso una meta definita, fra orgoglio dominante e necessaria umiltà, fra esigenza di una pronta vigilanza e una distrazione prolungata con un cervello ridotto a pura passività, insomma fra uso maturo, rispettoso e responsabile della libertà da porre al servizio della giustizia e rincorsa nevrotica delle sole sensazioni con la pratica di una schiavitù intellettuale o, peggio, di un libertinaggio talora criminoso senza più alcun freno inibitorio.
Ogni romanzo è sempre un libro della memoria, anche se non necessariamente della propria: è come una scia che emerge dall'ombra, dopo essere stata tracciata da una mano che ne ha plasmato la persona. Perciò luoghi e personaggi, descritti o dipinti con un tocco di finezza tale da richiamare atmosfere di intensa liricità o alludere a forti emozioni, come accade non rare volte nel nostro caso, sono sempre luoghi e fantasmi dell'anima, dove parole e immagini si muovono e si coniugano in una sorta di simbiosi con il vissuto dell'Autrice. È questo il miracolo della scrittura: essere rivelatrice della presenza di vibrazioni di un qualcosa d'altro, magari sedimentato o rimosso nelle pieghe più nascoste dello spirito, che, pur non trovando talora suoni e sensi compiuti e pienamente rispondenti alla complessità del reale, riesce perlomeno a darne una evocazione diffusa, come una musica di fondo, sotto forma di simboli o di trasposizioni analogiche.
Guerra, dolore, amore: tre momenti solo apparentemente slegati e contradditori di questa avventura terrena, ma che s'intersecano e quasi si sintetizzano fra di loro come un fuggire di stagioni che segnano e misurano la ripetitiva precarietà della condizione umana. Alla fine del percorso c'è sempre l'amore a squarciare la nebbia velata del tempo e a mostrare il vero volto del vivere. Ma quanta accortezza e quanta lucidità richiede un tale faticoso processo di conoscenza! E anche a questo servono i libri, come quello che stiamo illustrando: se non si leggono, si uccidono!
Scriveva Marcel Proust: "Il vero viaggio non è quello di scoprire nuove cose, ma quello di avere nuovi occhi", come a dire, bisognerebbe pensare di più non a ciò che non si ha, ma a ciò che non si è e soprattutto essere non ciò che si vuole, ma volere ciò che si è: questo romanzo della dr.ssa Facchini si presenta come un invito sommesso ma senza reticenze ad accettare e a raccogliere con coraggio una simile sfida, quella che nella sua esistenza terrena contraddistinse l'esperienza umana, culturale e professionale del caro amico Raffaele.



 

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