Negli anni
'60 del 1900 il grande leader negro e Premio Nobel MARTIN LUTHER KING scrisse un libro che aveva come titolo La forza di amare: un invito accorato
alla fraternità universale, al di là
del colore della pelle o delle condizioni economiche, ma anche il sogno di un
giorno diverso in cui l'uomo potesse
guardare il proprio simile negli occhi
e scoprirne l'interna dignità. Erano dei pensieri profondamente cristiani,
illuminati da una visione di vita ispirata alla solidarietà, non tanto per
compensare il dolore del mondo (LEOPARDI), ma soprattutto per spingere ognuno a porgere una mano perché i valori
presenti in ogni essere venissero fuori
in tutto il loro personale splendore.
Quell'invito di M. L. KING non si è esaurito nel tempo né tantomeno è morto, anzi. La
società di oggi ha una drammatica fame di amore, di una sillaba dotata di
senso, di un segno di affetto che riscaldi i silenzi del cuore. Molti, tutti
hanno urgenza di una briciola di attenzione che dia corpo alle domande della
mente, come una lieve carezza che faccia sentire il morbido soffio dell'animo.
La richiesta è diffusa e attraversa ogni età e ogni ceto sociale: si è in una falsa e rischiosa pratica della
democrazia, dove quasi assente è
l'ascolto e vince chi urla più forte in un mercato nel quale, in una frenetica
e superficiale privatizzazione alla moda, tutto si spaccia come buono, moderno
ed efficiente e dove solo l'oggetto (denaro, potere e successo) è il nuovo
feticcio davanti al quale inginocchiarsi in preghiera, a scapito del soggetto (l'uomo), della sua
libertà e spesso della sua stessa sopravvivenza.
Tanti sono gli amori, perciò amare può significare
molte cose: tra queste la prima è saper accettare l'altro così com'è, nella sua totalità e importanza, allo scopo di offrirgli un sostegno perché
possa riconoscersi un giardino portatore di bellezza. È come il dono di uno
spirito libero che dà chiarore all'intelletto e intensità all'emozione, sicché
il vivere si scrive come un romanzo piacevole fatto di eventi vibranti e di
teneri abbracci che rendono meno
deserto il cammino di ognuno.
Amare vuol dire anche difendere i deboli e fra questi i bambini, gli anziani,
gli ultimi, i malati, i disoccupati, i diversi di ogni genere, quelli cioè
costretti spesso da una brutale
violenza a finire assiderati su una
panchina abbandonata o a non avere una voce
con cui affermare la propria identità. Sovente ci si trascina come tanti
trascurati, dimenticati, circoscritti e riconoscibili solo nella cerchia di
pochi, comunque non sulla prima pagina della storia quotidiana o nella condizione di essere signori del proprio tempo: e questo
francamente non è né giusto né umano né certamente cristiano.
Amare significa occuparsi del prossimo, uscire fuori
da sé, far sorridere un bambino
senza futuro, sorreggere un anziano ad attraversare la sua strada, progettare un quadro di riscatto per chi ne
è orfano. Questo vale anche in
politica dove l'arte del servire non
può risolversi solo in dubbi e spesso immorali interscambi (il do ut des da sempre praticato), ma
andrebbe coniugata al rigore delle regole e dell'etica: un errore comune non
può essere un alibi per una sorta di autoassoluzione giubilare o l'arroganza un
emblema di lungimirante coerenza. L'impegno di conversione al bene è il segno
della sincerità di quello che si promette di voler fare. Per dirla con MAX WEBER: vivere per la politica, ma non di
politica, privilegiando cioè l'interesse comune a quello privato.
Amare è poesia e
racconto, rispetto e confronto, conforto e gioia verso vicini (moglie,
marito, figli, genitori, i propri e gli altrui morti) e lontani: integralmente,
senza macchie egoistiche.
Amare è
regalare un frammento di presenza divina in un mondo in cui non si sia
più copie ma originali (ALEXIS de TOCQUEVILLE), più esseri pensanti e meno
maschere immobili, più speranza pacifica
e meno deliri demenziali tradotti in olocausti: insomma meno case
dilaniate e più città di sole, più memoria e meno stupidità.
Uno sguardo amorevole va dato ai monti, ai laghi, ai
fiumi, sollevando un fiore bruciato nel campo, un cane ferito che implora aiuto
sull'asfalto o piantando nel bosco un cedro offeso dal vento dell'odio: non si
uccida più quella natura sorella che ha accolto i nostri primi vagiti e
protetto il nostro sonno notturno.
Non so se tutto questo è un'utopia: so soltanto che
molti realizzano questo modo di agire e grazie ad essi si disegna un sentiero di salvezza, come so
anche che senza un po' di utopia (il saper guardare, cioè, lontano) nulla di
buono si costruisce. Eppure non ci vuole un grande sforzo: basta solo un gesto
di schiusura delle braccia. Il vero forte,
e qui ha ragione M. L. KING, è chi sa
amare senza alcuna riserva, dominando i propri impulsi negativi e incoraggiando
la nascita di una parola innocente. Se solo si tentasse, quante foglie secche
si muterebbero in alberi, quante spocchiosità si sgonfierebbero dei loro spigoli ridicoli, quante miserie
sarebbero addolcite e risolte in
miracolo! Ma, chi capisce tutto ciò?
Il sogno di un nuovo mondo, fratello dell'amore,
nonostante tutto, mai dovrebbe morire alle prime luci dell'alba.
|