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L'uomo e la sua maschera PDF Stampa E-mail
J. L. Borges, il grande scrittore e poeta argentino scomparso nel 1986, ha pubblicato nel 1941 una raccolta di quattordici racconti dal titolo molto significativo di Finzioni. In essi immaginava un mondo organizzato a tavolino con le sue leggi e le sue innumerevoli tensioni interiori ( Tlön, Uqbar, Orbis Tertius ), nel quale il tema del labirinto (" l'universo che altri chiama la Biblioteca...") e quello dell'assurdo sfociano nell'affermazione del sostanziale fallimento delle parvenze, una sorta di sogno fatto da un Altro, come "la scrittura prodotta da un dio subalterno per intendersi con un demonio"(Borges). L' essere, il qui e ora, la vera presenza sono più concetti metafisici che non la realtà, come a dire un qualcosa di rimosso perché non pagante, privo della capacità di stupire e di impressionare : è quel mondo alla rovescia di anime morte, del quale parlava nel 1842 Gogol in un suo celebre romanzo.
Con queste premesse la Storia e la vita quotidiana (quest'ultima nelle sue manifestazioni private, amministrative, politiche...) si sono trasformate in una successione di finzioni, di sovrapposizione di maschere alla greca o da Commedia dell'Arte, di diffusi perbenismi salottieri o associativi, di camaleontiche e disinvolte inversioni di marcia che sanno tanto di pagliacciata, di promesse impudentemente mancate, di furbizie scambiate per realismo, dove non si sa quando inizia né dove finisce il carnevale del vivere (a San Severo, per stare a noi, per compensare in realtà molte allegre spese miliardarie per tante discutibili, perché minimaliste e non progettuali, "operazioni culturali", peraltro spesso "culturalmente" neanche ben selezionate, tutti, tranne Nargiso e Rodelli, nel Consiglio Comunale del 15.01.1999 hanno approvato l'Addizionale IRPEF dello 0,2% per il 1999: non si poteva pensare a un più accorto e oculato risparmio piuttosto che a limare la già fragile fibra del cittadino con l'imposizione di nuove tasse?): a far sorridere non è più la satira intelligente (per intenderci, quella alla Giusti, Belli, Trilussa o Forattini), generatrice di una distensione liberatoria, ma un noioso fastello di stupidità, che se non inducono disgusto certamente suscitano compassione. Difficilmente oggi si riesce a leggere l'uomo dietro le sue parole o le sue azioni, perché il simulare è più forte dell'offrirsi: un'assenza inquietante di volti definiti! Parafrasando il Diogene della lanterna, s'impone da sé una domanda: ma dov'é l'Uomo? Tommaso da Kempis nella sua Imitazione di Cristo a ragione poteva affermare che "ogni volta che scendo fra gli uomini ritorno sempre meno uomo". Non meraviglia, quindi, se si esaltano le apparenze, si celebrano altri per autocelebrarsi, si scrive per non dire, si propone per autoproporsi, si espone l'esterno per coprire l'interno: non so se tutto questo sia un voluto piegarsi al vuoto o se l'espressione di una tragica constatazione di paura e d'infelicità, verniciate dal trucco che copre le rughe d'un nevrotico gioco a chi più e meglio sa abbellire la propria scheletrica nudità.
Se il nostro sguardo è attento, oggi tutto sembra essersi ridotto a una maschera: la morale, la cultura, la politica, gli stessi sentimenti. Raramente s'incontra qualcuno che sappia comunicare, commuovere o donare emozioni: per dirla col Principe di Salina , dalla stagione dei gattopardi si è passati a quella delle volpi. Quanti libri si è costretti a leggere, dietro i quali v'è l'eclissi dell'autore; quante proclamate verità sono la patria d'una colossale quanto inspiegabile menzogna; quante parole sono solo "flatus vocis", nomi senza sostanza, ombre senza un corpo illuminato dal sole. Non è vero che gli schizofrenici sono solo quelli ospitati in manicomio (ora anche questi ultimi sono stati chiusi e forse è un bene, non fosse altro che per non farli sentire unici esemplari di una razza estinta): il fatto è che l'intero mondo di oggi, tranne poche oasi, sembra essere un immenso manicomio, dove la scissione fra essere-pensare-dire-fare è, al di là di ogni nostrano ( e talora deplorevole) lamento melodrammatico, platealmente visibile anche da un cieco.
E allora? Si celebrino pure centenari e bicentenari, si ricordino pure l'eroismo di Luisa Sanfelice e di Eleonora de Fonseca Pimentel o i V. Cuoco e F. Caracciolo nella Repubblica Partenopea del 1799, si dia giusto peso alla memoria di chi ha creduto di compiere un nobile gesto in nome della libertà ( come i Santelli, i d'Ambrosio, i Galliani, i Maddalena, i Cordera nella San Severo del 1799; ma anche i 240 massacrati il 25 febbraio dello stesso anno dai francesi e dai giacobini nostrani), si commemorino anche i Leopardi, i Lorca, i Giubilei e quant'altro, ma non si dimentichi di far parlare loro, il loro cuore, la loro voce, la loro vita, il loro pensiero, la loro storia e, perché no, anche la loro morte. E soprattutto si sappia accettare il confronto sempre rispettoso con la loro esperienza, traendo semmai motivo per umanizzarne la propria: operare altrimenti si è al falso storico.
Io credo che oggi si abbia un urgente bisogno di vedere dove è l'uomo, dove è praticata una parola onesta di personale verità, dove il si è si e il no è no, di trovare insomma un Chi e non un Che Cosa da fissare negli occhi: ai fantasmi occorrerebbe sostituire la visione diretta, come un padre quando contempla il proprio figlio che dorme. Giustamente faceva osservare il cantautore di recente scomparso Fabrizio De André: "Un uomo senza utopia e senza sogno è come un cinghiale laureato in matematica". E di laureati in nullità pullula, purtroppo, questo mondo. Dio voglia che rispunti, fra le dune del nostro non tanto metaforico Sahara, un frammento di dignità, come a dire una polla d'acqua fresca alla quale poter dissetare l'antico desiderio di genuinità.
Se bisogna sempre conservare l'orgoglio dell'umiltà e se la generosità di alcuni non è un credito ma in ogni caso un dono, c'è da augurarsi che diminuiscano i tanti Lucien de Rubempré, protagonista della famosa trilogia di Honoré de Balzac Le illusioni perdute. Sarebbe un bene per questa nostra storia scritta troppo frequentemente, nonostante l'offerta del mistero della salvezza, sulla sabbia della superficialità.
Concludo, proponendo alcuni interrogativi avanzati dallo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa e tentando di abbozzarne una risposta: "Sopravvivrà ancora l'innocenza in questo terzo millennio che ci apprestiamo a inaugurare? Ci sono molte ragioni attorno a noi che ci spingono a temere che non sarà così. Però, per fortuna, ce ne sono anche alcune che ci permettono di coltivare qualche speranza" (Repubblica, 17.01.1999). Mi chiedo: quali? Forse nella solitaria semina da parte di chi ha la forza e il coraggio di saper guardare lontano, attendendo, con pazienza e in silenzio, di raccoglierne ( lui o chi per lui) un giorno i frutti. Sarà così o semplicemente un caso? Nessuno può prevederlo. Ma, come notava uno scrittore francese, "il caso é lo pseudonimo di Dio quando non vuole firmare". Nella mia coscienza, almeno, nonostante che tutto per il momento dica il contrario, ne sono fermamente convinto.















 

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