La fede nella
sopravvivenza della coscienza (o anima) è sempre stata praticata dall'uomo, che
l'ha poi trasferita nella mitologia, nella religione e nella filosofia
(Aristotele, Platone...). Qui, però, si impongono necessariamente e in via
preliminare alcune serie domande. La morte è la fine di un certo tipo di
"ordine", quello organico, ma è anche la fine della "coscienza" umana? Una
coscienza, che ha voglia naturale, e quindi tendenziale, di immortalità, può mai avere, a differenza
degli altri esseri viventi, anche autoconsapevolezza del proprio termine? Non è
una incomprensibile e stridente contraddizione? O la coscienza è da
identificarsi esclusivamente con le funzioni cerebrali e i loro infiniti
riverberi neuronali (cento miliardi di cellule nervose, con circa 2000
possibilità di collegamenti fra l'una e l'altra), sicché, distrutti i secondi, anche la prima scomparirebbe? O, forse, con i soli meccanismi biochimici e
biofisici (Riduzionismo), peraltro messi in discussione dalle osservazioni dei
Premi Nobel E. P. Wigner e P. Jordan, secondo i quali esiste una "coscienza"
nella produzione di fenomeni anche fisici? La diversità riscontrata
nell'organizzazione funzionale dei singoli cervelli umani è solo dovuta a
fattori genetici, molecolari e ambientali? In situazioni di sostanziale
uguaglianza in simili fattori, come mai tale "diversità" sussiste e anche in
maniera chiaramente evidente? Come si spiega, d'altro canto, il pensiero creativo? Solamente, forse, con
la riorganizzazione dei dati archiviati in memoria o con un'improvvisa e
imprevista illuminazione? Da dove e da chi originerebbe quest'ultima? E la
libertà con la conseguente responsabilità nelle proprie azioni? C'è, allora, un
"quid" (lo si chiami anima, psiche, spirito, Io, intelligenza...non importa) che
presiede alla formazione di una tale strutturazione funzionale, conferendo
un'identità inconfondibile a tale diversità? In realtà, al dire del
neurofisiologo G. M. Edelmann, nonostante la presenza di "mappe cerebrali" tra
loro correlate da fibre di "neuroni rientranti", ogni cervello è individuale,
unico e irripetibile non tanto nelle sue funzioni quanto nei suoi "prodotti". Non sembra convincente il
ragionamento portato avanti dai sostenitori della neurobiologia (F. Crick e C.
Koch), secondo i quali il fatto
"coscienza" si spiegherebbe, mediante tanti cortocircuiti, con le sole
correlazioni fra le varie reti di neuroni (memoria profonda e superficiale:
luogo della coscienza). Non escludo che questa, come molte altre, possa essere
una delle tante "modalità" esplicative
della mediazione cerebrale, ma resta comunque sempre da chiedersi: "perché così" e soprattutto "chi" organizza
quel "particolare" ordine di informazioni tipico di ogni individuo? Sembra
molto improbabile che possa essere il
"caso", che certamente non servirebbe a spiegare elementi e processi raffinati
e complessi come sono i pensieri, i
sentimenti, i desideri, i comportamenti.
A questo punto mi
sembra stimolante quanto prospettato dalla Meccanica Quantistica, secondo la
quale nulla v'è di deterministico, ma solo di probabile, sicché, e mi rifaccio
in questo alle ipotesi di J. Eccles e R. Penrose, la coscienza è una sorta di
"salto quantico", imprevedibile, dotato di "libertà" creativa di fenomeni,
assolutamente indipendente dal determinismo delle semplici interazioni
neuronali. A tale proposito afferma Roger Penrose, il celebre matematico di
Oxford: "Ci troviamo di fronte a qualcosa di non riducibile alla fisica
odierna... Ci sono buone ragioni per credere
che la coscienza sia al di fuori della fisica che conosciamo"
(Repubblica, 12/03/2002, p.37). A dare una sufficiente e convincente giustificazione delle funzioni della
coscienza non può essere né la meccanica né la biologia né l'elettronica ma la
Fisica Nucleare e la Scienza dell'Informazione. Alla morte della "corporeità
somatica" segue la vita della "corporeità fotonica" o luminosa (secondo la nota
equazione di Einstein), perché il genoma è immortale, come il DNA (=luogo delle
informazioni). Conseguentemente, con il fisico A. Turing, il dualismo
mente-cervello (come voleva Cartesio) diventa insostenibile.
Tenendo presente
questa molteplice serie di convergenti "indizi", allora è ipotizzabile, con una
fondata base di certezza, una vita autonoma della coscienza: questa "non
muore", dissolvendosi con la scomparsa dell'ordine organico, ma "entra" in una
dimensione "oltre" di esistenza, in cui essa, conservando la propria identità, esprime e realizza la sua personale
compiutezza. Se niente si può spiegare con se stesso, quindi neanche la
coscienza con le sue esigenze di immortalità, la risposta agli interrogativi,
dunque, è da ricercare in questo, per noi ancora misterioso, "Altrove".
La sopravvivenza
dell'essere umano, inoltre, è postulata da un'altra variegata serie di
esperienze. Da alcuni anni a questa parte il mondo dell'invisibile sta
restringendo e avvicinando i suoi confini, diventando ogni giorno sempre più
visibile, non ultimo con le sperimentazioni di metafonia. La Meccanica
Quantistica parla di tanti "paradossi" (effetto tunnel, azione a distanza di un
elettrone sull'altro...), di particelle e antiparticelle (C. Rubbia), di mondo e
antimondo (P. Dirac) quasi simmetrici e comunque paralleli e contigui, ma anche
di "campo", di quell'area cioè dove la
massa cessa di essere tale e si trasforma in pura "energia di campo". Se in
natura nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma, ciò vuol dire
che conseguentemente anche
l'autocoscienza si trasforma, certamente potenziandosi nelle sue interne
virtualità e diventando "energia pensante". Il matematico L. Fantappié denominò
questo stadio finale del percorso evolutivo "sintropia" (=massimo ordine).
L'evoluzione della psiche si prospetta, allora, come un'affascinante "sorpresa"
e un inatteso "dilatarsi" verso orizzonti "totalmente nuovi" e
indescrivibili, un esponenziale
sviluppo del vivere e della conoscenza e un Io (o anima) che viene a
trovarsi al di fuori dei vuoti silenzi
del tempo e dello spazio, incontrandosi finalmente con la sua ultima e vera
fonte, che è l'Eterno e l'Infinito, la Meraviglia e la Vita, la Bellezza e la
Risposta, cioè con un Dio-Essere di Luce, che è soprattutto Padre tenero che
amorevolmente attende i Suoi figli che a Lui ritornano dal loro faticoso e
spesso tormentato cammino terreno:
questa definitiva condizione, che è il reale superamento della percezione di
una sconfitta, è appunto l'immortalità.
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