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"Morfeo" di F. Gitto PDF Stampa E-mail
(Conferenza, San Severo 14 febbraio 2007)

Conosco il romanzo dal maggio 2004 e l'ho riletto due volte
Al suo interno pone il grande ed eterno problema del senso del vivere
Si presenta come un misto fra una visione realistica (con al centro il tema della morte) e il Sogno insopprimibile dell'uomo di andare oltre
Da una parte nasce l'esigenza di un vivere intensamente l'esistenza, anche sul piano delle emozioni, dall'altra emerge prepotente la necessità di non precludersi alla formulazione dei vari "perché" di essa con la relativa ricerca di soluzioni soddisfacenti
Diceva Einstein: "L'importante e di non smettere mai di interrogare e di interrogarsi"
Se una risposta razionale apparentemente non c'è, esiste però una "chiave", che potrebbe aprire la porta della conoscenza e, quindi, del mistero, anche se nel romanzo, questa è gelosamente custodita da Boris, segno visibile dei limiti terreni
Una volta scoperta, tale "chiave", però, sembra aprire solo la porta della "fine" (qui si avvertono chiaramente gli influssi provenienti dalla letteratura gotica di H. Walpole con Il castello di Otranto, M. Lewis con Il monaco, A. Radcliffe, M. Shelley, Ch. Maturin, J. Polidori, ecc.; ma anche dalla cultura del nostro Sud, contraddistinta da una diffusa passiva accettazione dell'ineluttabile)
La mente, però, non si rassegna, continua, direi dolorosamente, il cammino di ricerca di una risposta, tentando di trovarla nel ritorno alle radici, immergendosi totalmente, e quasi ossessivamente, nella memoria del passato, dove si crede di rintracciare quel filo di continuità della memoria, in base alla quale il presente si configurerebbe come una sorta quasi di riproposizione e di reincarnazione del già accaduto. Tutto si rinnova, ma nella ripetizione
La ricerca sembra concludersi con la constatazione di una lacerante e bruciante sconfitta: chi possiede un barlume di risposta (nel romanzo: fra' Vincenzo e l'uomo del mare) viene prima emarginato e poi eliminato, come a voler dire che è quasi vietato tentare di forzare la conoscenza. Chi lo fa sarebbe un folle. Ovviamente bisognerebbe chiedersi dove risiede la vera follia, se nella scelta della cecità per paura, pigrizia o mancanza di intelligenza e di coraggio o se nel non chiudersi alla musica del silenzio che pure parla, se si ha la capacità di saperne ascoltare intuitivamente le vibrazioni e le parole
Nel testo il dramma dell'esistenza umana viene presentato in una struttura narrativa che si sviluppa con un ampliamento progressivo di orizzonti, come accade nelle scatole cinesi, dove l'una, contenendo l'altra, spinge a esplorare l'imprevisto, rinvia a nuovi elementi da scoprire, anche se accadono eventi apparentemente paradossali, che si connotano con il paradigma enigmatico della autoesclusione, come, per esempio, apparizioni di spettri / loro sparizioni; sogni che accendono speranze e passioni / deprimenti delusioni per la loro inafferrabilità; memoria viva / coscienza della sua inutilità; storia che è stata scritta con il registro del fallimento e della sua totale perdita di consistenza, perché tutto è ridotto a polvere / trascendenza che prepotentemente s'impone come mezzo di recupero della storia stessa; fatti tremendi, magari bagnati dal versamento di sangue innocente in nome di una cultura dominante attraversata dalla superstizione (roghi di eretici e streghe) / nemesi degli stessi sulla discendenza dei loro autori; passato che, come voce lontana mai spenta, anche sotto forma di rimorso, ritorna e tormenta / presente non illuminato dal sole di una verità, qualunque essa sia, ma costellato di giardini labirintici e da fiori che sanno di artificialità; volti umani sui quali spesso trasuda la maschera / l'inesitenza di un progetto e di un futuro
La terra così, dalla quale pure parte la domanda, è come se rinviasse a se stessa la risposta, perché essa è il luogo della condanna, della sconfitta, della non speranza: non a caso sotto di essa è posto il regno dei morti, che, forse, parlano proprio attraverso la terra stessa
Al di là del tessuto narrativo a più livelli di lettura, del quale peraltro è bene intrecciato il "romanzo", c'è la posizione di un interrogativo di natura squisitamente metafisica, rimosso nella coscienza moderna da un pensiero fondamentalmente debole, troppo legato alla scienza e al suo prodotto principale (la tecnologia), che, purtroppo, un fine e un senso non hanno se non quello dell'autoriproduzione, escludendo così un codice di interpretazione che a essa può dare un'anima
Nel romanzo un ampio spazio viene occupato dal gioco, che si esprime con Il velo rappresentato dai simboli e dal tema del doppio speculare: es. gli anagrammi (Totig: Gitto: l'uomo nero nel quale vi è il "segreto più profondo della coscienza"; Etrom: Morte come anima che informa e che sostanzialmente si autodefinisce "Io sono le vostre paure"; Etnorak: Caronte...), presenza di un Io narrante ben datato e di un Io riflettente- emblema della condizione umana universale (Morfeo, sempre in bilico fra bene e male, senza una via di uscita), Amore che si intende vivere come esperienza estatica sino in fondo - Cruda Verità della sua evanescenza identificata con una pallida ombra (Matilda - "un angelo a metà / luce che prima o poi si spegne / da alba diventeremo tramonto", la bella ragazza morta), voci che provengono da una fonte invisibile - una carrozza nera che è come se volesse inghiottire con la sua velocità in un buco altrettanto nero sia la luce che la vita ("candela che lentamente si consuma / quando sarò morto accendete una luce": una vita cioè senza senso), le atmosfere lugubri e nebbiose che ottundono la vista e generano angoscia - il Paradiso Perduto della lontana infanzia ( il paesino di origine, dimenticato da Dio e dagli uomini), il Museo degli Eterni dove si crede di fermare per sempre il ricordo, volendo, per così dire, come trattenere un frammento da rubare al cannibalesco pasto della morte - l'incendio che distrugge l'Archivio e, quindi, questa residua speranza
La realtà presentata dall'Autore con l'utilizzo e la mediazione dello strumento narrativo sembra essere questa, ma, se si è bene accorti, il messaggio vero mi pare sia da ricercare in una riflessione che egli propone, quasi sotto voce e come en-passant: per accedere alla verità occorre andare sino in fondo e mai cercarla non tanto fuori di sé (storia, eventi, natura...), ma dentro se stessi, anche se sempre con un atteggiamento di curiosità verso il mondo dei propri simili (Matilda: "Io sono dentro di te"). È nel luogo della personale interiorità, stando a contatto cioè con i pensieri più autentici, che si può pervenire al nucleo sia della domanda che della relativa sua risposta: e qui c'è qualcosa che è come se bussasse alla soglia dell'intelligenza e le chiedesse di leggere, di chiarire e di ben definire quanto di non esprimibile a parole l'inconscio è costretto quasi a balbettare con il ricorso all'allusività, perché il passaggio dall' a-razionale al razionale non trova un canale comunicativo adeguato. Le dimensioni dell'inconscio sono più numerose e ricche di quelle della coscienza, caratterizzata quest'ultima solo da quella spaziale (tridimensionale) e da quella temporale. Nell'inconscio spazio e tempo si condensano, si spostano, si identificano, si attraversano, parlano mediante i simboli. Ci sarebbe solo bisogno di un po' di ascolto e conseguentemente di decodificazione dei relativi messaggi informativi. Si scoprirebbero allora il dolore, la parola e l'abisso dell'anima. Ogni giorno ciascuno è impegnato ad armonizzare le dissonanze tra il mondo della ragione e quello delle emozioni. Scrive U. Galimberti: "Tutte le parole dimenticate o non sufficientemente ascoltate diventano opachi silenzi del cuore che aprono quei percorsi bui e insospettati di cui ci accorgiamo solo quando si producono gesti tragici" (la Repubblica, 12.02.2007). Purtroppo, quando il silenzio dell'anima non trova una terra amica, un luogo di conoscenza, un interlocutore attento e affidabile diventa spesso cupo e tenebroso. La risposta, dunque, se si attiva con un'apertura più umana questa disponibilità interiore, può arrivare ed il più delle volte si rivela essere affermativa, nel senso che la vita non viene più percepita come uno sciogliersi in una vuota illusione o in un sogno senza un seguito, ma si disegna come una irripetibile opportunità da cogliere, ri-conoscere e indirizzare verso un approdo che diventa e si trasforma in un progetto di amore e di verità: è quella "passione di vivere", che di sé permea e avvolge l'animo del giovane protagonista. Ma quanto coraggio tutto ciò richiede!
Nel suo romanzo "Morfeo" l'amico Gitto ha lanciato, forse suo malgrado, una sfida al pensiero moderno oppresso dal predominio asfissiante della scienza e delle sue derivazioni: solo la poesia e la letteratura possono farlo, come anche solo una persona liberamente evoluta e illuminata può capire, misurare e accoglierne il senso e il peso.

 

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