((Dalla Rivista "P. Matteo da Agnone")
Dio: una parola perlopiù rimossa dalla coscienza moderna,
a partire da Cartesio e, passando attraverso l'Illuminismo e Kant, quasi derisa
da Nietzsche, Freud e da buona parte della scienza, della letteratura e della
filosofia contemporanee (empirismo logico, gnosticismo, pensiero debole,
nichilismo, tecnologismo, secolarizzazione...). Tutt'al più si arriva a dire,
specialmente con L.Wittgenstein, che di Esso semplicemente "non si può"
parlare, perché è l'Inconoscibile, quel Totalmente Altro lontano e distante dalle vicende storiche
umane a cui accennava K. Barth. Lo stesso S. Gregorio Nazianzeno annota: "Come
potrà l'uomo che è soltanto erba, terra e cenere, scoprire le tracce del
mistero di Dio e della volontà del vasaio? Dio è irraggiungibile"; e lo
scrittore Pietro Citati: "Tutto deve essere detto e insieme taciuto; rivelato e
nascosto; alluso, con segni nei quali i paragoni terrestri cercano, e subito rinunciano,
a esprimere l'inconcepibile". Eppure ci sono miliardi di persone di ogni
continente e area culturale che credono in Lui e in Suo nome erigono chiese,
templi e luoghi di culto in ogni angolo del mondo. Come si concilia questa
frattura fra il dire e il fare, tra le istanze di razionalità (fondata, non lo
si dimentichi, sulla verificabilità) e quelle dell' "essere uomo" che
continuamente s'interroga sugli ultimi suoi destini, e quindi anche su Dio?
Credo che per ridurre in qualche modo il dramma della separazione tra Fede e
ragione una riflessione seria vada
fatta a livello metodologico per capire bene quanto insegna P.Matteo. In "Fides
et Ratio" (c. VI) Giovanni Paolo II insiste molto su questo.
Innanzitutto:
se si pone una domanda deve esserci anche la possibilità di una risposta. Su
Dio si pone la domanda, eccome: da sempre, da tutti e non solo riduttivamente
per esorcizzare la paura della morte o
le incertezze della vita. Il fatto è di chiedersi quale sia la via "logica" più
appropriata che occorre seguire per arrivare a una conclusione adeguata. Qui i
tentativi effettuabili sono sostanzialmente di un triplice ordine: scientifico,
intuitivo e teologico (con il ricorso cioè alla Rivelazione diretta di Dio).
Il
primo, quello scientifico, non conduce da nessuna parte o al massimo alla
"sospensione" del giudizio, perché la ragione, da sola, segue regole ben
precise (ipotesi, verifica, sperimentazione dei dati, ripetibilità e
conclusione). E' da notare, inoltre, che i nostri strumenti conoscitivi condizionati
dai sensi sono molto limitati. Gli
scienziati più "aperti" arrivano, però, almeno alla concessione della
possibilità della esistenza di un Ente
Superiore, di una Mente Ordinatrice
fonte delle leggi fisiche, comunque del
grande "mistero" nel quale si è immersi. C'è da dire ancora che la fisica
moderna, specialmente la cosmologia (cfr. F.J.Tipler, La fisica
dell'immortalità, Mondadori, Milano 1995), comincia a porsi con forza questo
interrogativo: il Punto Omega, come affermava Th. De Chardin, dovrebbe essere
l'elemento risolutivo della domanda cruciale. Ma siamo nella fase di una
rielaborazione scientifica dell'argomento ancora "in fieri".
Il
secondo, quello intuitivo, è una strada
che io considero molto importante: gli indizi di una Presenza Superiore ci sono
e anche molti. Tutto sta a saperli collegare in un mosaico unitario: ma qui si richiede una grande
onestà intellettuale che non tutti possiedono oltre che una flessibilità
interiore che non è, purtroppo,
appannaggio dei molti ( o c'è o non c'è).
Il
terzo, quello teologico, è proprio di chi parte dai dati della Rivelazione (dono gratuito, ma anche
un aiuto all'intelligenza umana) ed è quello seguito, più che in Teodicea, in
Teologia. E' il metodo utilizzato da P. Matteo, che, pur avendo come scopo la
finalizzazione all'apostolato e alla predicazione (il santo frate è stato
professore di filosofia a Vasto) , non per questo è meno rigoroso e preciso di
una organica trattazione teologica. Nel "Fasciculus Myrrae" le sue osservazioni
si presentano sotto forma di dispense e nella terminologia si rifanno a S. Bonaventura (P. Matteo ebbe a Bologna
Maestri del calibro di Pietro Trigoso e di Giovanni Diotallevi).
Entrando
nel dettaglio, il cappuccino di Agnone mostra di avere una minuziosa conoscenza
della Patristica, della Scolastica e della S. Scrittura. Partendo da S. Tommaso
(Summa Th., I p. q.1, art.1), da S. Agostino (De Civitate Dei, c.1. l.8) e da S. Paolo (Rom 1, 20) P. Matteo ammette senza esitazioni la
possibilità di conoscere Dio "naturali lumine rationis" (f. 331 r) e questa è
chiamata "Teologia naturale", mentre altre realtà proposte per Rivelazione
(Trinità, Incarnazione...) sono attingibili "lumine supernaturali" e questa è
la "Teologia soprannaturale".
Le
parole delle quali si serve la Teologia, continua P. Matteo, possono essere "figurate" (es. "occhi di
Dio") e "proprie" (es. bontà, sapienza di Dio...). La prima è denominata
"Teologia simbolica", l'altra "demonstrans" (f. 332 v).
P.
Matteo distingue ancora la Teologia in "positiva" (quella che parte
direttamente dalla S. Scrittura) e "scolastica" (spiegazione razionale dei dati
della Fede: cfr. f. 332 v). Qui cita S. Paolo
nella I Cor 12, 8: "Dallo Spirito ad alcuni è data la parola della
sapienza, ad altri quella della
scienza". Ambedue questi procedimenti sono stati adottati da Gesù, dagli
Apostoli e dai SS. Padri (S. Ambrogio, S. Agostino, S. Clemente Alessandrino,
S. Girolamo: cfr. ff. 332 r e 334).
La
Teologia, allora, secondo P. Matteo, è da intendere come "scientia", perché
supera tutte le altre scienze, però sarebbe meglio definirla "sapienza": quindi
non è né "opinio" né "ars" né "prudentia" (f. 339 r). Inoltre essa è superiore
alla metafisica, perché ha come sua origine la Rivelazione (f. 343).
L'oggetto
della Teologia è Dio (f. 356 v) con i Suoi principali ed essenziali attributi.
Il percorso per giungervi è o servendosi
di argomenti "lumine naturali" (le famose "cinque vie" di S. Tommaso e
quella di S. Anselmo) o di quelli
attinti alla S. Scrittura (f. 361 v).
Per
arricchire tutto questo discorso, che, ripeto, è solo un insieme di appunti per
i suoi studenti, il P. Matteo introduce molteplici elementi desumendoli dalla
Scolastica del tempo, come le opinioni dei vari teologi e pensatori delle
epoche passate e di quelli a lui contemporanei.
Da
tutto questo, anche se esposto da P.
Matteo in maniera necessariamente frammentaria e sotto forma di "quaestiones",
si può facilmente evincere come il Nostro abbia avuto una solida preparazione
filosofica e teologica, della quale si nutrì poi la sua predicazione. Senza di
questa non si spiega la profonda spiritualità che caratterizzò la vita di
questo grande cappuccino. P. Matteo aveva le idee molto chiare, ma soprattutto
"sperimentò" Dio e i "Suoi vasti
territori interiori": perciò il suo non
voleva essere un puro e semplice esercizio astratto in materia teologica, quanto piuttosto, su queste salde radici,
uno stimolo a vivere la conoscenza di Dio più come, giustamente egli dice,
"sapienza" che come erudita, ma arida, "scienza". La "sapienza", infatti,
implica il coinvolgimento dell' "intero" uomo: nei pensieri, nelle parole e
nelle azioni. Dice la S. Scrittura: "La sapienza tutto conosce e tutto
comprende" (Sap 9, 11) e "Acquista la sapienza, acquista l'intelligenza" (Prov
4, 5). Quindi essa è qualcosa di
"vitale": è come un "senso direzionale" che si dà alla propria esistenza,
basandola non sulle fragili e talora contraddittorie sollecitazioni emotive, ma
su presupposti razionali e fattori conoscitivi che poi colorano di un "sapore
reale" le scelte di ogni giorno. In termini moderni si può parlare anche di "saggezza": i santi sono stati e sono i
veri grandi "saggi" della storia, con gli occhi e la mente rivolti al cielo ma
con i piedi ben piantati per terra.
Il
problema, quindi, della conoscibilità di Dio, se prevede il rispetto delle
esigenze della ragione e quella che i teologi chiamano "opzione fondamentale",
richiede soprattutto l'abbandono di ogni forma di pre-giudizio e di
pre-concetto con una onesta "apertura" del cuore e dell'intelligenza a non
fermarsi alla soglia del dubbio (perché dubbi ci sono e ce ne saranno sempre),
ma affrontandolo con coraggio, lucidità e perspicacia e sapendone accettare le
implicanze di cambiamento che, una volta chiarito, esso postula. Questo significa
essere uomini, cristiani e santi.
P.
Matteo non si è sottratto a questa "logica" consequenziale: perciò la sua
coerenza fra il pensare, il dire e il fare è la prova inconfutabile della
sincerità dell'essere stato quello che è stato, cioè un fedele testimone di
quel messaggio di novità e di verità contenuto nella Parola Rivelata di Chi ha
voluto, con un gesto di amore, rendersi
Conoscibile e, in Cristo, anche storicamente Visibile.
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