L'epoca do oggi è caratterizzata
da un bisogno quasi nevrotico di comunicare. Non si perde occasione per
esternare qualcosa, proporsi in prima persona, dire anche quando la prudenza
consiglierebbe il silenzio. Certamente se si avverte una tale necessità un
motivo deve pur esserci e questo spesso è dato dalla presenza di una immensa
solitudine interiore dalla quale lo spirito, per non annegare, sembra volersi
liberare comunque e ad ogni costo. Purtroppo, caduti o fatti cadere i punti
chiari di riferimento, tutto si spiega: non si è in pace con se stessi, si è smarrita l'armonia del vivere, si cerca
spasmodicamente altrove, magari nelle sensazioni anche più pericolose, quanto
invece occorrerebbe trovare e costruirsi all'interno della propria coscienza. È
inutile nascondersi o fuggire: la realtà è che l'uomo di oggi è infelice, bussa
alla porta delle altrui solitudini per socializzarne la propria, crede di "essere"
e di "esistere" inseguendo il successo
a ogni prezzo per ritrovarsi alla fine ancora più spoglio di prima. Questo
"male di vivere" descritto da MONTALE è percepito come una condanna e una via
di non ritorno. Non meravigliano, allora, lo sviluppo e il diffondersi della
"personalità multipla" (una in privato, un'altra in pubblico), il trionfo della
maschera dell'immagine ("Sembro, dunque sono"), la pratica dell'insulso,
dell'egoismo e della menzogna approvata e codificata come fatto normale, la
corsa senza scrupolo al palcoscenico delle finzioni e delle vanità: e questo in
politica, nelle varie professioni, in economia e nel mercato, in TV, nei
rapporti sociali, nella vita quotidiana. Cosa si comunica? Il niente, l'impalpabile,
il fumo dell' "apparire", cioè l'esatto contrario di quello che si desidera.
Io credo che bisognerebbe
riappropriarsi dei personali spazi di riflessione, di libertà e di decisione,
non soggiacendo più alla narcosi della stupidità proposta allo scopo di non far
pensare più l'individuo e la collettività. C'è una troppo diffusa rassegnata
passività nei confronti dei manipolatori della parola: ci vorrebbe una forte e
coraggiosa reazione che ridia alla persona il gusto di autoprogettarsi, di
ri-crearsi la propria "vera" identità, di scegliere senza farsi condizionare
più di tanto, di vivere e non solo di sopravvivere. A queste condizioni il
dialogo interpersonale potrebbe riacquistare una propria dignità, il sapore di
uno scambio sincero di emozioni, di affetti, di pensieri significativi. La
nostra è paradossalmente, al di là del conclamato rumore propagandato come
sostanza, la società della negazione della comunicazione, della morte del gesto
autentico e quindi dell'Io. Non so se si avrà questa forza reattiva, ma è
l'unica maniera per uscir fuori dal vicolo cieco dello svuotamento del valore
del tempo. Forse, soprattutto i più giovani, potrebbero essere indotti ad amare
di più "questa" vita e quanto di genuino ancora in essa circola.
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