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Cervello umano e psiche: relazioni e patologie PDF Stampa E-mail
(Seminario di Studi, Torremaggiore, Castello Ducale, 17.03.1987)


Un argomento come quello dei rapporti fra cervello umano e psiche impegnerebbe anni interi di ricerche, di studi e di verifiche. La complessità dei molti misteri del cervello umano, come della sua evoluzione e delle sue funzioni, resta ancora per buona parte ignota, nonostante le scoperte della neurofisiologia e della neurochimica. È la macchina meglio strutturata dell'universo, nella quale quest'ultimo raggiunge il punto più alto del suo sviluppo. Nel cervello umano l'universo acquista un significato, vi si specchia nella sua natura, si esplicita nella sua storia. È l'unico congegno che può ritornare su se stesso con la riflessione, come sarà l'unico nel quale e per mezzo del quale la realtà può essere riletta nella sua varietà e nella sua bellezza. È il cervello umano che scopre le leggi che regolano il divenire delle cose, come da quest'ultimo dipendono anche il controllo e la manipolazione di esse. Sarebbe altrettanto superficiale porre la parola "fine" alla ricerca su quest'organo del corpo umano: la sfida, forse, è ancora agli inizi, nonostante tutto.
Un altro stimolante terreno di sfida è quello della psiche. Che cos'è? In cosa si distingue dal cervello? Qual è la sua struttura? Può avere una vita autonoma? Di che natura è questa sua diversità? Sopravvive alla morte del cervello? ecc. Sono le domande, in base alle quali si è costituita la storia umana, si è sviluppata la cultura, si è organizzata la religione con i suoi culti e i suoi riti. Tutta la civiltà umana, nelle sue varie colorazioni, è un tentativo di risposta o, forse, è essa stessa risposta, se la qualità dell'operazione ne esprime la natura.
Parlare dei rapporti fra cervello umano e psiche non ci farà che balbettare, specie poi se si tiene presente lo spazio di una breve relazione, com'è la presente. Per questo motivo non posso che fermarmi ad alcune considerazioni generali di fondo, apportando all'argomento certo un contributo, ma lasciando bene aperto il problema, che una soluzione inequivocabile ancora non ha trovato in termini di verificabilità scientifica e, forse, a mio giudizio, non troverà mai, dato il carattere sfuggente della psiche. Forse la sua esistenza la si verifica più nella sua operatività che non nella descrizione, per così dire anatomica, della sua natura.
Il cervello di un uomo adulto ha in media un peso di 1375 grammi, 1245 quello della donna. Si è soliti dividere il cervello in tre grandi parti: il mesencefalo (o cervello primitivo), il diencefalo e il telencefalo (emisferi cerebrali).
Il mesencefalo (il termine è inesatto) comprende il tronco cerebrale (bulbo, ponte e peduncoli cerebrali) e l'istmo.
Il diencefalo, la parte mediana, comprende il talamo con i nuclei striati (derivati dagli emisferi).
Il telencefalo comprende gli emisferi cerebrali (pari e simmetrici), di cui la parte più rilevante per le sue funzioni è la corteccia (o neoencefalo).
Da dopo Gall (1822) si è soliti anche parlare di localizzazioni cerebrali. Così la circonvoluzione frontale ascendente sarebbe l'area della motilità della parte opposta del corpo. La corteccia premotoria del lobo frontale presiederebbe ai movimenti motori complessi. Le fibre prefrontali del lobo frontale esprimerebbero l'attività inibitoria del movimento. Il lobo parietale sarebbe responsabile dell'attività sensoria. Il lobo temporale assolverebbe alle funzioni dell'udito e sarebbe coinvolto nei processi della memoria, della formazione del senso del tempo e delle esperienze legate dal déjà-vu; è unito al sistema limbico (sede dell'attività emotiva e delle reazioni di aggressività). Nel lobo occipitale operano i centri visivi. Il talamo è il grande selettore delle informazioni per la corteccia, l'ipotalamo è il centro regolatore del sistema neurovegetativo (regola funzioni come fame, sete, attività sessuale, veglia, ritmo cardiaco e respiratorio ...). Nel cervelletto si formano le mappe corporee (come, per esempio, la coordinazione del tono muscolare, gli atteggiamenti posturali, il movimento degli occhi e delle mani); nel sistema vestibolare si sviluppano i movimenti di correzione del movimento della testa.
Secondo MacLean il cervello è diviso in tre parti: rettiliano (costituito dal tronco encefalico e responsabile dei processi dell'autoconservazione), dal sistema limbico (responsabile dei processi emotivi), della corteccia (responsabile dei processi del pensiero).
Attraverso il midollo allungato passano le fibre nervose al midollo spinale. Per queste localizzazioni ho posto il verbo al condizionale, perché in effetti le cose non sono così semplici, cioè il cervello non è un computer con funzioni prefissate. È una realtà molto plastica, in cui le funzioni si interscambiano. Esistono livelli stratificati, in cui, distrutto uno, la sua funzione è assunta da quello immediatamente inferiore, secondo il meccanismo della consegna e della riconsegna.
Un neurone trasmette un impulso (o un'informazione) all'altro neurone mediante una duplice attività: elettrica e biochimica, tramite la sinapsi, servendosi di neurotrasmettitori e neuromodulatori. Se si immagina un cervello, formato da circa 100 miliardi di cellule, avente ciascuna la possibilità di stabilire circa 1000 collegamenti con un'altra cellula, si può comprendere la complessità del suo funzionamento, accresciuto quest'ultimo dal grande influsso che può esercitare l'esperienza (cioè gli stimoli esterni) sul numero e sulla varietà delle connessioni neuronali. Questa plasticità cerebrale è testimoniata da tanti fatti, non ultime le esperienze dei voli spaziali. I circuiti neuronali sono pressoché infiniti: il loro comportamento è di natura probabilistica, tanto più che essi non si limitano a fissare i messaggio, ma esercitano su di essi una funzione altamente modulatrice, a seconda del significato che essi devono assumere per l'equilibrio dell'intero organismo. Un'importante funzione, a questo proposito, è svolta dalla sostanza reticolare, avente lo specifico compito di facilitazione e inibizione nel passaggio dei vari stimoli sui neuroni. Perciò fra i neurotrasmettitori e i neuromodulatori c'è una perfetta armonia. Secondo W. Penfield, che in ciò si rifà a Jackson, il cervello è organizzato secondo linee funzionali, dipendenti dal fine e dall'intenzione. Nulla è lasciato al caso. Le sostanze principali che la cellula nervosa consuma per la sua sopravvivenza e il suo buon funzionamento sono il glucosio e l'ossigeno. Senza di esse la cellula muore, provocando danni facilmente comprensibili.
Un interrogativo viene spesso posto ed è quello della presenza di due emisferi cerebrali: il destro e il sinistro. Si sa che essi sono asimmetrici e collegati fra di loro da un fascio di fibre (il corpo calloso). Dagli effetti delle lesioni riportate si conosce la loro funzione: quello sinistro è razionale, analitico, logico e lineare e assolve il compito del linguaggio e del ragionamento verbale; quello destro è intuitivo, analogico, sintetico, a-temporale, generatore d'immagini, olistico, fornisce la percezione della spazialità ed è il luogo del linguaggio non verbale. Si dice comunemente che l'Occidente ha sviluppato di più quello sinistro, facendo di quello destro un ramo secco dell'evoluzione con tutte le conseguenze disastrose di tutto ciò sul piano storico (la preminenza della logica ha prodotto fanatismi, autoritarismi, guerre). E forse non si hanno tutti i torti; in ciò è anche la differenza dall'Oriente che ha saputo trovare un maggior equilibrio in questo (cfr. la Cina). Secondo una teoria l'esistenza dei due emisferi è giustificata dal fatto che essi, attraverso il corpo calloso, si forniscono sistemi di messaggi di riserva, nel caso di danni a uno di essi, questo dimostrerebbe ancora una volta la plasticità e la flessibilità delle varie strutture cerebrali, cosa che si evince d'altronde anche dall'osservazione che un disturbo non è quasi mai conseguente alla lesione di una sola parte di esse, ma coinvolge danni in più livelli del cervello.
La zona di frontiera fra la neurofisiologia e la psicologia è l'apprendimento. Scopo di quest'ultimo è quello di fornire all'intero organismo eventi, e quindi messaggi, utili per la sopravvivenza.
Ogni forma di apprendimento suppone quattro fasi: la sensazione, la percezione, la fissazione dei messaggi sotto forma di engrammi nella memoria, la possibilità di rievocazione al fine di utilizzarli per la conservazione dell'equilibrio dell'insieme.
La sensazione è il processo di arrivo degli stimoli interni ed esterni ai centri nervosi attraverso i canali sensoriali.
La percezione, che, sia pur piccola, attiva una popolazione molto ampia di neuroni, è la prima forma di organizzazione dei dati sensoriali, che fa si che essi vengano riconosciuti come espressione di un insieme ordinato e compiuto (così è la percezione di una qualunque figura, compresa quella umana).
La memorizzazione dei dati organizzati dalla percezione è un processo piuttosto complesso. Il concetto di memoria è andato incontro a molte interpretazioni. Si parla, per esempio, di memoria "immunologica" e di memoria "genetica": la prima, attivata nell'RNA (acido ribonucleico), serve all'organizzazione di un messaggio di origine elettrica; la seconda, attivata nel DNA (acido desossiiribonucleico), alla ricognizione di un messaggio di origine chimica (com'è, per esempio, nelle reazioni fra antigeni e anticorpi). Si parla, inoltre, di memoria dei fatti recenti e quella di fatti lontani: la prima, che permette il ricordo di fatti solo per alcuni minuti o momenti, sarebbe dovuta, secondo Hebb, a processi cerebrali che si sviluppano sotto forma di moduli spazio-temporali con e in una sola eccitazione neuronica; la seconda, che permette un ricordo più a lungo termine (anche in seguito all'anestesia o a raffreddamento o a shock), sarebbe dovuta, invece, a processi stabili, irreversibili, resistenti a qualsiasi agente fisico o chimico, evocabili a distanza.
Nel processo di formazione dei dati si susseguono quattro momenti: l'attenzione, i riflessi condizionati, la riverberazione e la fissazione stessa.
L'attenzione è la concentrazione su di un dato di percezione e, a livello neurofisiologico, coinvolge il sistema reticolare ascendente, quello di proiezione talamo-corticale e il lobo parietale.
I riflessi condizionati, il cui concetto è noto a tutti, implicano processi di generalizzazione, differenziazione e rinforzo con l'equivalente onda di attesa.
La riverberazione è affidata ai circuiti riverberanti, la cui esistenza è stata dimostrata da Cajal e da Lorente de No, e che hanno lo scopo di far ripetere una determinata esperienza (infatti si ha la perdita di un ricordo se, entro il margine di un'ora, interviene un fenomeno capace di dissolvere l'evento elettro-fisiologico).
La fissazione si svolge con un processo biochimico; si formano RNA specifici (che sintetizzano proteine specifiche) in conseguenza della creazione di engrammi, che diventano perciò irreversibili dopo un'ora dalla fissazione. Si creano così moduli di frequenza specifici per ogni tipo di informazione. In questo processo così complesso entra sotto molti aspetti in gioco la struttura dell'ippocampo, oltre che l'acetilcolina: molto influiscono, quindi, anche i fattori emotivi e anche questa è un'esperienza nota a tutti. È possibile la traslazione della memoria da un emisfero all'altro. Si ha la sua perdita in conseguenza di encefaliti, demenze, psicosi di Korsakov (alcolismo), traumi cranici gravi. Tale perdita è semplicemente distruzione del vissuto o rimozione nell'inconscio? Riprenderò più avanti il discorso.
Il quarto elemento per avere l'apprendimento è la revocabilità dei dati memorizzati.
Scrivevo prima che l'apprendimento è la terra di frontiera fra neurofisiologia e psicologia. Infatti esso è la base e la cerniera per un salto di qualità, ma ad un più alto livello, che è quello del pensiero, che in fin dei conti non è che una nuova forma di riorganizzazione dei dati appresi. Questo livello implica un triplice processo fondamentale: l'astrazione, l'autocoscienza, la determinazione ad agire.
L'astrazione è la capacità dei generalizzare i dati, operando interventi di transfert e di trasposizione, esprimerli attraverso simboli (una sorta di sintesi fra realtà interna ed esterna) e comunicarli attraverso il linguaggio. Quest'ultimo, quindi, è l'elemento mentale di ricognizione del simbolo, ma anche di ritorno sul reale. La semplice sua analisi, com'è facile notare, anche se per inciso, è oltremodo significativa al fine dell'individuazione del tipo di organizzazione mentale presente nel soggetto.
La coscienza, l'altra componente di questo livello superiore, consiste nella consapevolezza del proprio schema corporeo, nella capacità di anticipazione del futuro (giocando sulla probabilità) e il ricordo del passato, nell'attribuzione di tutto quanto avviene a un Io inteso come complesso stabile attorno al quale ruota tutta l'attività interna. Sul piano neurofisiologico intervengono qui i circuiti riverberanti ed è riscontrabile, allo stato di veglia cosciente, nell'EEG con la presenza del ritmo alfa.
La determinazione ad agire, cioè la volontà, è frutto, dunque, di atti altamente elaborati, che sul piano neurofisiologico hanno riscontro non solo nella corteccia motoria, ma anche nelle interazioni che questa ha con i gangli basali e il cervelletto. L'atto di volontà è, quindi, determinato da questo complesso processo di elaborazione dei dati, che, però, da solo non spiega tutto, come dirò fra poco.
A questo punto si pone la domanda cruciale: la mente è una funzione biologica, anche se la più alta, del corpo? O viceversa? O fra i due c'è strettissima interazione?
Sta un fatto che molti aspetti della dinamica delle attività corticali con le relative loro espressioni comportamentali sono allo stato attuale delle conoscenze ancora incomprensibili. La varietà delle teorie (da quella di Hebb a quelle di Halsteadt, di Kohler, ecc.) lo sta a dimostrare. Molti scienziati, come W. Penfield e J. Eccles, sostengono la dualità e, quindi, la distinzione fra mente e corpo: la mente, cioè, con tutte le sue raffinate capacità di elaborazione e di attuazione, potrebbe esistere indipendentemente dal corpo. Altri sostengono l'opposto: la mente è la più alta funzione biologica del corpo. Qualcuno, come Hebb, fa questo ragionamento: la mente, come entità separata, non esiste (ipotesi), lavoriamo come se non esistesse (operazione), alla fine, se risulta che esiste, ne accettiamo la distinzione dal corpo. T. de Chardin fa invece quest'altro ragionamento: la materia non è un qualcosa di contrapposto alla trascendenza, ma un quid di relativo a essa, come a dire senza trascendenza non ci sarebbe neanche materialità o, con altre parole, la materialità si evolve come punto finale verso la trascendenza. Che dire su tutto questo? Nel nostro cervello c'è un ordine (centri, vie nervose e loro connessioni), ma anche un certo disordine (specialmente nelle strutture a organizzazione microscopica). Sta un fatto che l'informazione genetica è di 105 di messaggi, mentre il numero delle connessioni neuronali è di 10¹5 di messaggi. Tutto il resto da chi è programmato, dal momento che non può esistere un programma senza un programmatore? La mente è un sistema organizzato ad un altro livello: la correlazione con l'organizzazione della struttura neuronale non implica necessariamente identificazione. È vero che ci sono rappresentazioni neuronali gerarchicamente organizzate con capacità, quindi, di offrire risposte graduate (e in questo i sistemi non corticali hanno una parte attiva), ma è anche vero che ci sono realtà come l'attività creativa, le decisioni eroiche, la propria singolare originale irripetibilità, la coscienza dei essere un Io assolutamente diverso da una altro (nonostante i processi di massificazione in atto nella società); c'è, inoltre, un insieme di abilità sempre diverse da quelle degli altri; c'è un modo tutto intraducibile di essere se stessi e non altri; c'è una modulazione del bisogno di felicità o nell'esperienza stessa del dolore che è del singolo e non di tutti; c'è una modalità tutta personale di vivere la libertà. Il disordine nelle strutture cerebrali microscopiche non starebbe a dimostrare questo salto di qualità affidato alla libera e originale attività riorganizzatrice della mente? Qui è il nocciolo della nostra irripetibilità, a parte tutto quello che possano aver sviluppato o teorizzato la religione o la filosofia. In questo discorso il problema della sua localizzazione è un non-senso. Lo stesso problema del sogno, in cui emergono vissuti e simbolismi significativi per la vita del soggetto, depone a favore dell'originalità dell'integrazione psichica. Dalle esperienze di Moruzzi e Magoun sul sonno dei gatti e dalla scoperta del sonno REM (dall'inglese: Rapido Movimento degli Occhi), che si sviluppa per 10-60 minuti ogni 90-120 minuti e che si presenta più lungo all'alba e meno all'inizio (cosa contraria succede nei depressi e nei narcolettici), denota un bisogno della psiche di fuoriuscire in qualche modo dalla sua complessità, anche se ad esso sono interessati principalmente i nuclei pontini (il nucleo soprachiasmatico sarebbe il principale orologio corporeo). Ci si chiede: perché si è svegliati non tanto dai rumori quanto dalle cariche affettive collegate a essi? È solo un allarme per la sopravvivenza di sé e degli altri, come ad esempio il bambino per la madre, o è il segnale di un qualcosa che ha un senso per l'espansione interna del soggetto? In realtà la mente (o la psiche), quando andiamo per definirla, ci sfugge. D'altronde il meno (il cervello) può definire e contenere il più (la psiche)? A mio modo di vedere, il cervello è funzione della mente, nel senso che la prepara, dato che essa è inserita nel quadro spazio-temporale, gli elementi (sensazione-percezione-apprendimento) sui quali, ma non necessariamente in dipendenza dai quali, essa compie il suo lavoro eleborativo e integrativo. Sembra che il cervello si fermi allo stadio dell'apprendimento (cosa d'altronde in comune con gli animali), lasciando il terreno a questo processo superiore; cosa che si evidenzia nel disordine delle strutture cerebrali microscopiche. È come che se il cervello dicesse: qui termina il mio specifico servizio, ora comincia tu. Bisogna, però, dire che da qui in poi, cioè nei processi superiori, la mente in qualche modo utilizza ancora lo strumento (cioè il cervello), interagendo e attivando continui interscambi con esso, ma in un contesto di assoluta libertà. Ciò potrebbe dare l'impressione dell'identità, ma solo ai superficiali; in realtà si evidenzia soltanto l'unità, ma nella diversità degli agenti. Si può parlare allora di un Io psicosomatico, ma solo in questa dimensione, della stretta compenetrazione cioè che esiste fra corpo e psiche, non della reciproca identificazione, perché l'uno non è assimilabile all'altro. Tale simbiosi in attività (come si verifica, per esempio, fra lo strumento musicale e l'artista che lo suona) fa si che il corpo sia il riverbero della mente e quest'ultima in qualche modo ne risenta dell'imperfezione dello strumento, sicché a livello di storia spazio-temporale il soggetto può adottare comportamenti non sempre ottimali, talvolta addirittura patologici. Senza il cervello, la psiche che dimensione assumerebbe? Il cosiddetto debole mentale è tale perché la mente è debole o la mente è debole perché qualcosa nel cervello in qualche livello organizzativo non ha funzionato, intralciando così l'espressività della mente? Nella storia la psiche ha una libertà delimitata e finita, perché dipendente dalla limitatezza e finitezza degli stimoli e dello strumento, ma le sue potenzialità sono infinite, tanto è vero che talora le esprime nella creatività, nella generosità dei sentimenti, nell'atto di volontà eroica e anticonformista. Qui sta il mistero e la chance della vita umana.
Quando si va a parlare di patologia della mente, si deve sempre dire di patologia nel campo dell'integrazione mente-corpo, data la spazio-temporalità in cui essa si esprime ed opera. Accenno qui alle principali forme di lesioni e malattie organiche con manifestazioni patologiche sul piano dell'integrazione mente-corpo e conseguentemente sul comportamento:
1) Lesioni nei lobi frontali provocano comportamenti incontrollati, difficoltà nel pensiero astratto, povertà nella capacità di giudizio, fenomeni di amnesia.
2) Lesioni nei lobi temporali causano alterazioni nel campo della sensorialità visiva, olfattiva, gustativa, uditiva.
3) Lesione nei lobi parietali e occipitali provocano alterazioni nelle discriminazioni sensoriali-percettive, nelle funzioni visive, uditive e del linguaggio, nell'intensità delle stimolazioni e dell'orientamento, nella funzione motoria (aprassia), nella consapevolezza. Da notare, però, è il fatto che possono essere disturbi identici con lesioni corticali diverse, il che implica che vaste aree sono interessate allo stesso comportamento.
4) L'idrocefalia (eccesso di liquido nella cavità cranica) provoca debolezza mentale.
5) Le infezioni (encefaliti, meningiti ...) producono difetti motori e sensoriali, perdita delle capacità intellettive, alterazioni nella personalità.
6) Lesioni vascolari producono disturbi motori e sensoriali (paralisi, afasie), alterazioni mentali miste a confusione, debolezza nel controllo emotivo.
7) I tumori cerebrali producono o deficit o perdita dell'abilità percettiva, intellettiva e organizzativa, indebolimento del controllo motorio, alterazione della personalità.
8) I traumi cranici hanno spesso come conseguenza disturbi nella memoria, nel pensiero astratto, ansia, ipocondria, ossessività.
9) Le malattie metaboliche producono debolezza mentale, alterazione del comportamento e della personalità, tendenze paranoici, deficit nella memoria e nell'attività motoria.
10) Malattie da tossine: sintomi psicotici, insonnia, disattenzione.
11) Malattie da demielinizzazione (sclerosi multiple, encefalomieliti ...): deterioramento della memoria, difficoltà percettive e organizzative, tendenze isteriche, indebolimento nel controllo motorio e di giudizio.
12) Malattie degenerative ed endodegenerative (mongolismo, distrofie ...): disturbi motori-sensoriali, dell'umore, della personalità.
13) Disfunzione nei neurotrasmettitori: l'eccesso di dopamina (prodotta da tre sostanze, fra cui la sostanza nera), per esempio, è associata alla schizofrenia; le diminuzione di serotonina e noradrenalina è associata alla depressione (o dovuta alla presenza di neurorecettori che catturano acetilcolina = ricerche di E. Gershon e S. Nadi, 1984).
La percezione del dolore è regolata dal neuropeptide P. e degli oppiati naturali (18 finora conosciuti, fra cui l'endorfina). In condizioni di stress, l'ipofisi libera un particolare ormone contenente beta-lipotropina. Ad alleviare il dolore non servono certamente le droghe, che esercitano anzi, fra le altre cose, il loro effetto di aggressività a livello di ippocampo e di altre aree della corteccia cerebrale.
Di tutti questi disturbi, secondo Thomas, bisogna guardare nei segni organici più a quelli "riduttivi" (per difetto) che "produttivi" (per eccesso).
Il quadro di queste varie patologie, in verità molto sommario, denota soltanto una disarmonica integrazione tra mente e corpo, non una causalità meccanica (questo dipende da quello), tanto più che vanno considerate molteplici variabili spazio-temporali, oltre al cervello e al suo stato di salute, come, ad esempio, l'ambiente con la natura dei suoi stimoli, l'ereditarietà genetica, la strutturazione della personalità nei primissimi anni dell'infanzia. Sarebbe stimolante, per esempio, questa domanda: che ne è della mente, dopo la fine fisiologica dello strumento? Che ne è, dopo, di quelli che nella loro realtà spazio-temporale sono stati mongoloidi, minorati mentali, schizofrenici, ecc.? Chissà quante sorprese ci riserverà il futuro. Diceva giustamente un mistico indiano: "Noi vediamo attraverso un vetro oscuro" e Chesterton: "Benché le tristi macchine siano in marcia/ non siate troppo abbattuto, amico mio .../ Quando i pedanti ci invitarono a notare/ da qual fredda meccanica gli avvenimenti/ dovevano derivare, le nostre anime dissero nell'ombra:/ forse, ma ci sono altre cose ...".




 

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