Home arrow Articoli

j0341542.jpg                     Articoli suddivisi per categoria

Per una medicina globale PDF Stampa E-mail
(Seminario di Studi, Torremaggiore, Castello Ducale, 03.02.1987)

In questa sede mio desiderio è soltanto quello di sottolineare e semmai di provocare una riflessione sulla perenne e ancora insoluta problematica dei rapporti fra psiche e soma, fra anima e corpo con i loro risvolti operativi. Su queste due realtà, a volte dicotomizzate a volte esorcizzate reciprocamente, si sono dette e scritte tante cose, pretendendo ciascuno di dire la verità totale. La realtà è che una verità assoluta su di esse non esiste e il contrasto ormai plurisecolare nel dibattito lo sta chiaramente a dimostrare. La nostra condizione umana è, per natura sua, di ricerca, fatta anche di ipotesi nella coscienza della loro relatività. Si tratta di affrontare non una realtà statica, ben definita e sempre quantificabile, ma un processo dinamico, sfuggente quando si crede di possederlo, non afferrabile pienamente con strumenti univoci. L'uomo è l'unico essere in costruzione, in continua autocreazione, in più o meno crescente progettualità. Pretendere di ingabbiarlo in definizioni incontrovertibili significa estrapolarlo dalla sua realtà e ogni forma di estrapolazione è sempre una manovra arbitraria. A ragione qualcuno dice che l'uomo è l'indefinibile. La radice profonda di tutto questo sta nella sua libertà. Esistono cioè degli ambiti e degli spazi interni nei quali nessuno e nessun potere esterno può penetrare; è lì che si gioca e si costruisce il proprio destino, è lì che si realizza l'identità personale, unica e mai assimilabile a quella degli altri. Ognuno scrive una pagina di vita diversa da quella di un altro e qui risiede il fascino dell'avventura umana.
Se per il poeta Byron "il difficile è cominciare", noi già ci stiamo introducendo nel nostro argomento.
Questo incontro ha per tema "Per una medicina globale che includa tutto l'uomo nelle sue dimensioni psico-fisiche"..
Come prima cosa mi sembra opportuno spianare il terreno da un equivoco di fondo che pongo sotto forma di interrogativi: esiste la malattia o la malattia è un'espressione di un disagio e quindi di un uomo malato? O tutti e due questi aspetti sono compresenti e interagenti? La nostra cultura occidentale, erede di quella greca, ha vivisezionato l'uomo, riducendolo in parti considerate molte volete contrapposte fra di loro. La scienza dell'uomo, sia quella medica che quella psicologica, ha seguito così itinerari diversi, nella frequente reciproca ignoranza delle proprie istanze e dei propri contenuti; la medicina non è andata al di là dei propri parametri organicistici, preoccupata forse di dare una veste rigorosamente scientifica alle proprie definizioni, ma dimenticando anche il carattere relativo del concetto di scienza; la psicologia, dal canto suo, si è fondata sulla probabilità statistica delle sue osservazioni sul comportamento umano. Ambedue, a mio giudizio, quando pretendono di dire tutta la verità, cioè la propria, peccano o di presunzione, perché ignorano il punto di vista dell'altra, che può contenere parti preziose di verità. Ci si trova così davanti al paradosso di una medicina moderna spesso senz'anima e di una psicologia molte volte senza corpo: il risultato è l'incomunicabilità, cosa che urta contro l'esperienza quotidiana. Ancora una volta sull'uomo s'è operata una scissione di marca chiaramente illogica, che fa sentire i suoi effetti poi anche sul piano pratico; medici che si preoccupano soltanto del corpo senza tenere in debito conto i risvolti psichici e psicologici che ipotizzano e praticano terapie avulse dalla risonanza anche somatica dei sintomi dolorosi. Il risultato è che non si aiuta tutto l'uomo, ma solo una parte di esso e neanche sempre bene, perché le correlazioni fra i due sistemi sono tanto strette e intercomunicanti che non si possono ignorare a vicenda senza con ciò danneggiarsi a vicenda. Ritorna qui un famoso detto indiano: "Colui che conosce un ramo solo della sua arte somiglia a un uccello con un'ala sola".
Questa dicotomia ideologica si è strutturata per secoli nella programmazione universitaria: da una parte una medicina senza psicologia e dall'altra una psicologia senza medicina. Per fortuna, però, anche se lentamente e in mezzo a mille difficoltà, le cose stanno cambiando anche qui da noi in Italia. Si sta comprendendo il grave errore che si è commessi con la divisione manicheistica fra corpo e anima; non si ospedalizza, o perlomeno si tende a non ospedalizzare, ciò che non è sempre ospedalizzabile. Ognuna delle due discipline che studiano l'uomo sembra finalmente che stia riconoscendo con umiltà i propri limiti di intervento e la conseguente necessità di apertura a una reciproca integrazione. Ha ragione Lériche quando dice che "la nostra medicina è nelle stesse condizioni di uno spettatore che rimane al buio per i primi due atti dello spettacolo e solo al terzo vede illuminata la scena".
Se l'uomo è un essere complesso, l'intervento su di esso non può che essere altrettanto complesso. La medicina e la psicologia, allora, sono arti e artisticamente va ricostruito, perché egli è un'opera d'arte. I grandi medici e i grandi psicologi questo lo hanno sempre affermato; da Ippocrate a Galeno e ai clinici del giorno d'oggi, come da Freud a Piaget e ai vari indirizzi psicologici moderni. Dal "Corpus Hyppocraticum", che raccoglie tutti gli scritti d'Ippocrate, leggiamo, per esempio, che "al di sopra di tutto bisogna perseguire il bene del malato", "dove c'è l'amore per l'uomo, lì c'è l'amore per la medicina". L'uomo malato, quindi, è un tutto, in cui i confini fra lo psichico e il fisico non sono netti, perché ciascuno sconfina nell'altro e viceversa.
Che cos'è la malattia, allora? Era l'interrogativo che ci siamo posti prima. In questa ottica è facile comprendere come la malattia è un processo destrutturante l'organizzazione psico-fisica dell'uomo, minandone l'equilibrio e la stabilità pur nella sua dinamicità e che, prescindendo dalla sua specifica patogenesi, coinvolge irrimediabilmente tutto l'uomo in queste sue due componenti fondamentali e nelle loro relative articolazioni. Una semplice nevralgia, per esempio, provoca ansia, come una semplice preoccupazione per un qualunque problema presenta il suo riflesso organico, che, quando è prolungato addirittura si somatizza in sintomatologie organiche di vario genere. L'uomo si riflette nell'altro; l'uomo cioè reagisce nella sua totalità al processo destrutturante che è la malattia, come nella sua globalità andrebbero attivate le forze per fronteggiare l'impasse esistenziale. La malattia allora, qualunque essa sia, è una crisi di vita, ma, come qualunque crisi, se gestita con saggezza e intelligenza, può costituire un prezioso momento di crescita, quello che Piaget definisce "equilibrazione maggiorante". Davanti all'uomo malato, dunque, è giusto che ci sia il medico con le sue competenze diagnostiche e terapeutiche (farmacologiche o chirurgiche) e con la moderna e sofisticata strumentazione che lo aiuta nel suo lavoro, ma sarebbe pure altrettanto giusto che sia presente anche lo psicologo con la sua carica di umanità e con il bagaglio delle sue conoscenze indagative degli aspetti più nascoste della psiche umana e delle raffinate tecniche d'intervento di cui dispone. Il malato è l'espressione di una domanda dolorosa e fiduciosa d'aiuto, che non va elusa o, peggio, delusa. Il farmaco solleva il corpo, la parola giusta s'inserisce come stimolo nella mente mettendone in moto organizzazioni nuove del pensiero e quindi dell'emotività con tutto quell'insieme neurochimico, che, partendo dal Sistema Nervoso Centrale, invia messaggi di benessere all'intero organismo. L'intera persona così si riprende, perché è nella sua integralità che affronta e combatte il processo morboso. In realtà noi di questi problemi, e specificatamente del rapporto mente-benessere, conosciamo ben poco. La saggezza popolare, che si fonda sull'esperienza d'intere generazioni, in questo è maestra; l'uomo sereno, si dice, vive cent'anni. è quello che il "Regimen Sanitatis Salernitanum" della famosa scuola medica Salernitana codificava in un aforisma "se vuoi star bene, se vuoi vivere sano, scaccia i gravi pensieri, l'adirarti ritieni dannoso". Noi oggi potremmo aggiungere: "se vuoi affrontare con più efficacia e successo i guai organici, poniti davanti ad essi con serenità e coraggio, aiutando così il tuo corpo a far prevalere in esso le forze positive della vita su quelle distruttive della morte".
Se la malattia, allora, coinvolge tutto l'uomo, e questo fatto è sotto gli occhi di tutti, l'intervento per combatterla non può non essere globale, non può che prescindere da un'operazione multipla nei suoi confronti, che si dovrebbe tradurre completamente in un approccio pluridimensionale, cioè di équipe, al male. La pratica del "malato è di mia competenza e me la gestisco io" è chiaramente una forma di strumentalizzazione, non certo un gesto di servizio e di amore verso la persona malata. La triste conseguenza è che, purtroppo, l'uomo malato resta tale o, se guarigione c'è, è unita e accompagnata quasi sempre da qualche ferita lasciata aperta.
La medicina e la psicologia sono le due gambe sulle quali cammina l'equilibrio psicofisico dell'essere umano. Ambedue sono scienze dell'uomo e, come tali, anche arte: la prima si avvale del metodo sperimentale, l'altra di quello statistico. Sicché l'effetto farmaco-terapeutico varia a seconda delle capacità reattive del soggetto; la psicoterapia molto dipende dalle condizioni somatiche dell'individuo. Chi opera a livello clinico questo lo sa benissimo. Cosa dice, allora, l'esperienza? Che la risposta non è univoca, non sempre è quantificabile. Esistono cioè delle zone inaccessibili dell'essere umano che sono refrattarie a essere possedute totalmente dagli agenti esterni: sono le zone della libertà e di ciò bisogna tener conto nell'intervento terapeutico. In qualche maniera l'uomo è un essere elastico e plastico, che cambia sempre forma e dimensioni, sfugge a ogni tentativo di totale controllo. perciò la sua risposta è diversificata e nello stesso tempo stratificata. A maggior ragione la medicina si rifà per lo più al modello matematico e funzionalmente a quello chimico, la psicologia si richiama a quello probabilistico e funzionalmente allo studio delle variabili individuali. Dal punto di vista teorico ambedue hanno prodotto dei vasti e complessi sistemi di conoscenze, che affondano, però, le loro radici nell'osservazione costante dell'esperienza quotidiana. Ambedue, inoltre, e forse paradossalmente, sono come si diceva prima anche arti, perché nel loro esercizio molto gioca l'inventiva e l'intuito dell'operatore, il cosiddetto "occhio clinico" dell'esperto, e non può non essere così, perché l'intervento è diretto a una realtà dinamica e vitale, come è appunto l'uomo
Questo lo possiamo dire dell'uomo malato. Nel suo disagio, che è sempre globale, egli chiede aiuti specifici, ma in ambedue le direzioni. Quanto spesso egli si lamenta per il modo come viene avvicinato dal personale sanitario interessato a lui e questo certo non gioca in positivo per il suo riequilibrio. Nella nostra società, che pur è ispirata dall'influsso del cristianesimo, quante volte non si tratta il malato come se fosse soltanto un insieme di muscoli, ossa e nervi e nulla più. Questi, a mio giudizio, è la grande tragedia, che si esprime poi nella crisi dei vari servizi, che pur dicono di essere stati istituiti per servire l'uomo. Penso che la medicina debba essere più umiltà e saggezza nell'interrogare più spesso la psicologia e viceversa vale per quest'ultima. Non si dovrebbe mai dimenticare che il fine è l'uomo e non la professionalità o, peggio, l'avido guadagno. C'è tutto da guadagnare in professionalità e, perché no, anche in remunerazione economica se il malato è rispettato per quello che la sua dignità richiede; la gente è generosa verso chi è generoso di umanità e di attenzioni.
Siamo, allora, per una medicina integrata, che abbracci e consideri tutto l'uomo, che sappia leggere con più acuta intelligenza i suoi bisogni e le sue domande, che sappia rispondere e soddisfare con più completezza le sue richieste d'aiuto. Le pieghe dell'animo umano sono complesse, altrettanto è la sua reattività. Basta saperla attivare con competenza e coraggio. Il male va visto, come suol dirsi, negli occhi per combatterlo e guai a rassegnarsi davanti ad esso: indebolendosi le forze positive e il sistema immunitario, avrebbe terreno libero per compiere la sua devastante opera distruttiva.
Da tutto ciò si comprende facilmente come da parte di tutti sia necessario cambiare radicalmente atteggiamento nei confronti dell'uomo malato, infondendogli fiducia e coraggio nelle sue capacità di recupero, facendogli comprendere che la risposta è sostanzialmente in lui stesso. La vita è un grande valore, da porsi al di sopra di tutti e tutto dovrebbe essere convogliato al suo sviluppo, alla sua armonica crescita, alla speranza che alla fine essa può vincere il male e, forse anche la morte. Queste riflessioni sono offerte non solo ai medici, ma a tutti, educatori e non. In noi ci sono infinite potenzialità non sempre ben conosciute e ancor meno sviluppate e sfruttate per la crescita dell'individuo: non c'è male che non possa essere affrontato, quando c'è la volontà comune di aiutare chi soffre a saperlo superare. Personalmente ne sono convinto di questo. Quante morti si eviterebbero se la nostra etica professionale fosse più orientata a servire con più intelligenza e decisione la vita e se si abbandonasse con più rapidità quella secolare cultura della rassegnazione, che ingigantisce le nostre fragilità e minimizza le nostre possibilità. È vero che l'uomo non è che un atomo nell'immensa composizione dell'universo, ma è un atomo intelligente, carico di una smisurata energia, che ha solo bisogno dei meccanismi adeguati d'innesco per esplodere in tutta la sua prepotente vitalità..




 

.:Statistiche:.

Visite: 50398
Visite in questo mese: 0
Visite Oggi: 0