Quando si parla dell'uomo sembra, secondo l'opinione dei
più, che si tratti di un qualcosa di già scontato, di già ben conosciuto, di
già completamente analizzato e studiato in tutti i suoi aspetti sia dalla
psicologia che dall'antropologia e dalle neuroscienze. La realtà è che l'uomo è
un grande, complesso e imprevedibile mistero, assolutamente non racchiudibile
nel tempo né totalmente condizionabile da stimoli esterni anche persistenti. La
natura umana è un miscuglio intricato di emozioni e di pensieri, di passioni e
di paure, di ardite utopie e di ciechi egoismi, di sogni grandiosi e di cadute
volgari, di inconscio difficilmente accessibile e di coscienza a volte chiara e
controllata e a volte esitante. E potrei continuare per quanto riguarda le
funzioni cerebrali nella loro straordinaria, molteplice e plastica
flessibilità.
Ma chi è veramente e per cosa è
chiamato l'uomo? È una domanda difficile, alla quale, però, una qualche
risposta è necessario pure dare anche se in maniera appena abbozzabile.
Certamente egli non è solo il prodotto di fattori genetici o ambientali:
sarebbe troppo riduttivo, considerati la sua libertà, l'attività creativa, gli
atti di eroismo e quant'altro attiene all'ordine delle scelte non sempre programmabili in anticipo. Occorre, allora,
andare più a fondo per tentare di comprendere meglio questo particolare essere
che è l'uomo, avendo ben presenti, però, due osservazioni: una di Gödel
("Niente si spiega con se stesso") e l'altra di Wittgenstein ("L'enigma della
vita lo si comprenderà appieno al di là della vita stessa"). Quindi bisogna
restare fuori dalla sfera umana per avere una briciola di informazione e di
spiegazione. E qui vengono in aiuto la teologia, la filosofia e la stessa
psicologia, specialmente quella definita di frontiera. Se c'è un "perché
proprio noi e non altri" deve esistere anche una fonte di questa scelta e della
sua conseguente decisione a farci comparire sulla scena dell'Essere quaggiù
in questo nostro attuale mondo. Tale
fonte non può che situarsi al di sopra dell'uomo stesso e questa non può essere
il Caso o il Caos (chi e cosa sarebbero poi questi ultimi?), ma una
Intelligenza superiore e non facilmente attingibile che si è soliti chiamare
Dio.
"Noi" siamo oggetto del pensiero
eterno di questo Dio, siamo stati amati
da sempre da Lui, anche se ancora senza
una nostra autonoma autocoscienza. A un certo momento questa Intelligenza
amorosa decide di farci incarnare nello spazio-tempo per offrirci la
possibilità di acquisire una tale
autocoscienza, dotata di pensieri, volontà e sentimenti, in vista di un ritorno
a Lui come tanti esseri con Lui in
dialogo affettuoso. Questo è il progetto divino del quale occorre acquisire
conoscenza, regolandosi di conseguenza nei comportamenti e affinandosi nella propria evoluzione interiore: Dio
scommette "con" e "su" l'uomo, a quest'ultimo il compito di rispondere se, da
"persona" finalmente cosciente, intende essere felice e partecipare così al godimento della Bellezza e dell'Armonia
universale. Scriveva l'allora Card. Joseph Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI:"
Nei pensieri di Dio ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è
necessario" (Dio e il Mondo, p.276 e ss.). Tutto gira attorno a questo disegno
fondamentale: ignorarlo o, in nome di
uno sciocco scetticismo o di un rozzo pseudoscientismo, far finta di eluderlo,
significa non aver capito niente dell'uomo e del suo vivere "stando qui e ora",
salvo poi a doversi comunque interrogare sull'argomento nell'esperienza del
lutto, del dolore o di uno shock traumatico.
Tanto varrebbe, allora, pensarci prima e magari sempre: la vita
cambierebbe colore e qualità. Ma qui cade l'asino della pochezza valutativa che
molti sposano per ragioni spesso di comodità: rimuovere la domanda. Questa,
però, non è una risposta intelligente, ma solo un rinviarla nel tempo: il fatto
è che essa si situa "altrove" e a un "più elevato livello". Solo chi comprende
tutto ciò si ritroverà, con legittima soddisfazione, nella condizione di salvarsi
e, salvando se stesso, recuperare così il "senso del proprio vivere",
senza del quale tutto rischia di ridursi come al passaggio di una deprimente
ombra che porta all'insignificanza e alla quasi inutilità della propria
chiamata all'esistenza.
In questo periodo storico
nevroticamente elettrizzato da ritmi così veloci, fermarsi un po' per
riflettere con un pizzico di saggezza su tutto ciò, e perché no, anche su se
stessi non farebbe male, anzi!
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