Home arrow Articoli

j0341542.jpg                     Articoli suddivisi per categoria

La funzione della conoscenza PDF Stampa E-mail
1. La funzione della filosofia
Sui grandi temi del vivere una parola importante compete o dovrebbe competere alla filosofia, da intendersi quest'ultima come capacità di riflettere con serena lucidità sui "perché" e sui "nessi" che caratterizzano l'apparente e talora contraddittoria frammentazione esistente nelle cose e negli eventi quotidiani. È vero che oggi la filosofia sembra aver rinunciato alla sua funzione "maestra", che è quella di pensare e di far pensare. Certamente non si può più parlare di una filosofia come sistema chiuso e ben definito di conoscenze, che di essa ne faceva un elemento compatto e dotato di una sua sufficiente e chiara coerenza interna. Spesso a minare il tutto era l'apoditticità dei principi dai quali si lasciava discendere il tutto: la scienza, con la sua attività spesso demolitrice più che complementare, ha fatto poi il resto, permettendo la proliferazione del dubbio su ogni cosa, che, se legittimo sotto molti aspetti come metodo, non può essere, però, la risposta ultima in ogni procedimento conoscitivo. Occorrerebbe uscire fuori da questa nebbiosa e asfittica "rinuncia" e dare un giusto spazio al pensiero logico, perché una "logica" esiste, purché non si abbia la presunzione di affermarne come valida soltanto la propria. Bisognerebbe capire meglio i meriti e i limiti delle ricerche portate avanti dal Circolo di Vienna, da K. Popper e dal moderno cosiddetto "pensiero debole" (Cacciari, Vattimo...): alla fine si scoprirebbe che qualcosa li accomuna ed è l' "aderenza ai fatti" e si sa che questi ultimi presentano una pluralità di letture. Lo sforzo, allora, sarebbe quello di cogliere, selezionare e generalizzare questo pluralismo e riuscire a individuare gli elementi comuni che l' attraversano. Ma quanta umiltà e quanto onesto e sincero amore alla verità un tale modo di procedere richiede! E i filosofi, purtroppo, non sempre possiedono queste necessarie virtù.
Per quanto attiene ai problemi tratteggiati in questo saggio, la filosofia, cioè quella sgombra da pregiudizievoli apriorismi, ha da dire qualcosa, che io identifico sostanzialmente con la "decisione", perché di questa si tratta, e "intuire" finalmente il legame che collega i vari rami della dispersione degli esseri. L' "assenza" va letta con la "presenza", il "vuoto" con il "sensore" che lo percorre, lo "spazio-tempo" con un "qualcosa" cui esso intelligentemente allude. Non ci si può chiudere blindati nel "già dato" ma imparare ad "andare oltre" non tanto con la fantasia quanto con la mente "creativa": un lampo di "genio" sarebbe necessario, ma di quella genialità che talora è fatta di attenzione al semplice e al marginale, perché è proprio dall'analisi di questi ultimi che sono nate le migliori intuizioni che hanno poi rivoluzionato e fatto così progredire la conoscenza umana. "Andando oltre" si scopre che esistono altri orizzonti del sapere, dell'essere e del vivere, ma occorre compiere con coraggio questo "salto" dal comodo "disimpegno" intellettuale. Bisognerebbe cioè apprendere e praticare il "volare alto", non fermarsi nell'angusta valle delle papere non pensanti. Questa non è tanto la funzione del filosofo "impegnato e schierato" quanto quello del "filosofo" sic et simpliciter. Ma esistono oggi ancora questi filosofi? Non pare, se il risultato è quello della paura ad affermare l'autonomia del pensiero dalla scienza empirica e dal suo impiego tecnologico. Liberandosi da questi schemi, ci si accorgerebbe che la presunta "uccisione" del sacro non ha pagato, anzi. Di esso si avverte una struggente nostalgia: senza di esso la filosofia è un "pour parler", un farfugliare cioè sul niente, decretandone così la sua morte. Tutto questo per un timore reverenziale verso l' "empiria": ma è mai dignitosamente accettabile tutto ciò?

2. La funzione della conoscenza di frontiera
Per dare un "senso" al vivere serve certamente la filosofia, intesa come saggezza, ma non basta, perché si ha bisogno di punti fermi di riferimento che vadano al di là della pura razionalità, poiché, come si è detto precedentemente, quest'ultima a un dato momento si accartoccia su se stessa, balbetta, si contraddice, si blocca e spesso, se non si ha la forza del "salto", purtroppo anche si arrende. L'intuizione ovviamente aiuta, ma un'incertezza di fondo comunque stenta a dissolversi. Occorre, allora, interrogare il mistero: con cautela, con prudenza, con la sempre dovuta autocritica, ma è necessario avviare questa rischiosa operazione. È appunto da questa esigenza che è nata la ricerca cosiddetta di frontiera, portata avanti soprattutto dalla parapsicologia e dallo studio dei fenomeni "off limits", come sono quelli mistici, paranormali, metafonici (le "voci" al registratore e alla radio), onirici (sogni "particolari"), luminosi (apparizioni) e quant'altro attiene a questo specifico campo di indagine.
Perché queste conoscenze di frontiera possano dirsi realmente tali occorre darsi una rigorosa metodologia di ricerca e di analisi: niente può e deve essere rifiutato o accettato con un "a priori" acritico, ma tutto va indagato con una seria lucidità mentale in tutti i suoi elementi costitutivi, onde evitare facili e infondati entusiasmi, ciechi fanatismi, assolutizzazioni immotivate e proiezioni allucinatorie della propria psiche. Il "saper discernere" qui è essenziale, perché il "campo" è complesso, perciò "minato" con il sempre possibile rischio di scambiare lucciole per lanterne. I fenomeni, di cui sopra, vanno studiati con accurata meticolosità, vagliati con scrupolo avanzando tutte le ipotesi razionali per una loro eventuale smentita, confrontati fra di loro allo scopo di scoprire contraddizioni o coincidenze fortuite. Solo dopo questo delicato, lungo e faticoso lavoro di filtraggio possono essere prospettate delle conclusioni, che naturalmente vanno sempre presentate come provvisorie e personali, mai in maniera dogmatica e da accettare da parte di tutti. Il motivo è semplice: non tutti ci arrivano come non tutti sono disponibili a mutare le proprie abitudini di vita perché inevitabilmente a questo inducono tali esperienze. Il problema qui si sposta sul piano etico, perché fra conoscenza ed etica, per essere coerenti, esiste una stretta correlazione. Se seriamente interrogato, il "mistero" risponde, ma tale risposta richiede rispetto, un personale coinvolgimento vitale, un tipo di relazionalità fatta di "uscita allo scoperto" e fuori dalla pratica delle quotidiane regole di un gioco.
Se acquisite in questo modo, le conoscenze di frontiera possono aiutare non poco a comprendere il grande panorama dell'esistere e del suo significato ultimo. Esse costituiscono la fonte e come una "spia" per accedere a un ampliamento dei propri orizzonti mentali per poter giungere ad afferrare quel "senso", senza del quale la vita e le cose diventano vuote e senza una loro logica interna che pure dovrebbero avere perché niente è o avviene a "caso". Quest'ultimo assolutamente non spiega né la varietà né la molteplicità né tantomeno la complessità di ciò che esiste nell'universo: la semplice evoluzione della materia non è una spiegazione ma la rinuncia a una più completa comprensione di ciò che ci circonda. Tutto sta nel saper "comporre" e "mettere insieme" questi input informazionali e trarre da essi quanto serve a "ri-comporre" il mosaico dalla frammentarietà dei vari elementi sparsi e disseminati qua e là nel mondo visibile. Questa è la vera "sfida" che si pone alla conoscenza umana: d'altronde la fisica moderna (fotonica e logonica) non sta forse offrendo alla nostra intelligenza questi nuovi strumenti per andare più a "fondo" e non fermarsi così alla superficie dell'esistere?

3. La funzione della teologia
Nel grande processo del vivere la teologia ha una sua funzione fondamentale, che è quella di aiutare la ragione e la conoscenza di frontiera a convogliare verso una giusta direzione le varie ricerche che si vanno a effettuare sull'ultimo "senso" che occorre dare al proprio esistere. Un "senso" c'è e non è certamente l'uomo o le cose a tracciarlo o a inventarselo: esiste al di fuori e al di là di queste precarie realtà. Niente si spiega con se stesso né nell'ambito soltanto dei propri ristretti orizzonti, dove non si percepiscono che frammenti sparsi, voci apparentemente disarticolate, segnali a volte contraddittori. Da qui il fallimento della filosofia moderna, che prima ha presunto e poi ha rinunciato definitivamente al suo principale compito, chiudendosi nel proprio relativismo conoscitivo. Non è assolutamente vero che di Dio o dell'Aldilà non si possa affermare né negare: basta saper ascoltare le vibrazioni degli esseri per accorgersi della loro "presenza".
In questo discorso come si pone la teologia? Certamente come una istanza di servizio o, se si vuole, una sorta di "soccorso" che viene dall'Alto a indicare e illuminare la strada corretta che bisognerebbe imboccare per poter giungere alla verità. Qui, al dire di Kierkegaard, è necessario, però, fare un "salto nel buio", cioè un atto di fede e di fiducia, senza il quale la ragione non si libera dalle strettoie dei suoi angusti schemi. Si comincia così a "volare alto", come un'aquila che si libra nel cielo, da dove può ammirare sconfinati panorami, paesaggi inattesi, frontiere mai viste prima con il conseguente ampliamento dei suoi spazi di apprendimento. È il Dio che si "rivela", si "disvela", quel Totalmente Altro, così chiamato da K. Barth, che si rende storia per scendere al livello umano allo scopo di purificarlo ed elevarlo verso piani superiori. È un atto di fede, implicito in ogni "relazione", è una forma di fuoriuscita dalla propria cosiddetta "cultura" ossificata e fossilizzata, e un andare incontro all'Ignoto per sondarne qualcosa della sua misteriosa ineffabilità. La "certezza" non si compra a buon mercato, è una "merce", passi questa banale parola, pregiata che si offre solo a chi ha il coraggio di cercarla con costanza, interrogando e percorrendo tutte le vie possibili. Alla fine, come si ripete spesso, "chi cerca trova": il vero problema sta tutto qui e non nella razionalità, che non può pretendere di limitare il tutto al solo visibile o al solo sperimentabile, dimenticando che se la fonte della conoscenza per la nostra attuale struttura psicofisica è quella costituita dai sensi, questi ultimi si presentano estremamente circoscritti con la conseguente limitazione nella produzione dei loro effetti. Ciò, però, non induce, o non dovrebbe indurre, a una sorta di inerzia o di sconfitta della ragione: queste sono nei fatti se si pretende di assolutizzarne la portata.
Dio, allora, invia i suoi "messaggeri" e, secondo la religione cristiana, addirittura "s'incarna" per rendersi accessibile all'umana coscienza e comunicarle così una parte dei suoi indecifrabili segreti. E questo è uno squisito atto di amore, che richiederebbe solo capacità silenziosa di ascolto, umiltà e una risposta altrettanto amorosa: l'amore fa scoprire realtà non solo qualitativamente ma anche quantitativamente maggiori di quelle desumibili o rintracciabili con la semplice ragione.
La teologia, quindi, si pone non come un qualcosa di fantasioso, di sovrastrutturale e d'improponibile, ma come offerta di un apporto gratuito e delicato donato dall'esterno perché la conoscenza umana possa e sappia andare "oltre" la siepe del silenzio e del percepibile ma non dell'intuibile. Essa si presenta, o si dovrebbe presentare sempre, come una fresca sorgente alla quale attingere acqua e linfa continuamente nuove, che assolutamente non soffocano né annegano la ragione, ma la sostengono e la spingono a immergersi con più sicura, lucida e serena consapevolezza nel grande oceano del pensiero e del mistero, soltanto solcando il quale si arriva alla sospirata isola della Terra Promessa.

 

.:Statistiche:.

Visite: 50398
Visite in questo mese: 0
Visite Oggi: 0