Ogni scrittore, se
veramente tale, è sempre un lettore e un testimone del proprio tempo: di esso
incarna le domande e le contraddizioni, le speranze e le frustrazioni. In altre
parole è la coscienza critica dell'esistente, ma anche il luogo
del grido e della profezia di ciò che dovrebbe essere, ma che invece
non è. In conseguenza di ciò la letteratura non può essere elusione del
confronto o fuga nell'immaginario: se il più delle volte purtroppo lo è,o è
perché il vivere quotidiano possiede soltanto la sintassi della banalità e
dell'insignificanza,o perché l'immaginario è l'unico percorso possibile per
ridare al reale un senso e una sua ragion d'essere. Il fallimento dì tanta
produzione letteraria sta proprio in questo: nel voler sovrapporre la propria
voce, a volte con violenza, alla necessità invece di saper estinguere se stesso
e ascoltare con più umiltà e attenzione il linguaggio delle cose.
Uno scrittore, romanziere o poeta che sia, è grande non tanto per la quantità o
lo spessore metafisico di quello che dice quanto per
l'acutezza e la profondità con cui sa dar corpo all'inconscio collettivo. L'arte,
quindi, sta in questa capacità di decrittare il simbolo e nell'elasticità e
inventività nel dar inizio a un gioco di combinazioni creative. Parlare,
allora, di tradizione o di modernità nell'opera di un qualunque scrittore
significa misurare la natura e la consistenza del suo relazionarsi alla storia
comune e il tuffo proiettivo, e quindi conoscitivo, nel futuro, nel possibile
dispiegamento cioè della realtà con tinte e forme diverse da
quella presente.Un equivoco, però ,ritengo utile chiarire: tradizione e modernità sono
da assumersi come concetti relativi nel senso cioè di fedeltà o
meno alla sensibilità del tempo, non come giudizio storicistico in base al quale
far dipendere la validità di
un'opera dall'esclusivo riferimento positivo al dopo, cioè al moderno. Non tutto ciò che è tradizione infatti è
comunque da scartare, come non tutto
ciò che è moderno è sempre acriticamente da accettare: senza radici c'è solo gattopardismo. Scriveva in
proposito Thomas Stearns Eliot: "Ciò che avviene quando una nuova opera
d'arte viene creata è qualche cosa che avviene simultaneamente a tutte le opere
d'arte che l'hanno preceduta. I monumenti esistenti formano tra loro un ordine
ideale che viene modificato dall'introduzione di un'opera d'arte nuova. L'ordine
esistente è completo prima dell'avvento del nuovo lavoro, perché l'ordine persista dopo l'intervento della novità, tutto l'ordine esistente deve essere alterato,
sia pure in misura minima". E' quello che con altre parole lo psicologo ed
epistemologo Jean Piaget chiamava
""equilibrazioni maggioranti". Un vero scrittore, dunque, sovverte le regole del gioco, creando
crisi, se crisi significa crescita.
A oltre quarant'anni
dalla morte di Umberto Fraccacreta (22-2-1947), questo poeta figlio della
nostra terra, aristocratico di nascita oltre che di vita, si sentiva la
necessità di una rivisitazione della sua figura e della sua opera. Per quanto
attiene a me, nella relazione mi limiterò soltanto a indicare alcuni paradigmi
di lettura dell'opera del Fraccacreta, nella speranza che servano, così mi
auguro, a restituire il Poeta a se stesso, al suo tempo e un po'
anche a noi. Le tematiche di fondo,così come emergono dalla lettura
delle opere del Fraccacreta (e di cui a parte è stato dato un elenco), possono
essere ricondotte a questi argomenti: la terra, la donna, la madre, la malinconia,
la casa, la religione, S.Severo. Il linguaggio è quello classico
sia nell'accostamento delle parole e delle analogie sia nella metrica seguita
(sonetti,quinari, endecasillabi sciolti...). Ciascuno di
questi due aspetti (temi-linguaggio) può essere studiato e analizzato secondo logiche interpretative diverse ed è
quello che tenterò di fare qui schematicamente, ben consapevole che una
breve relazione, com'è questa, non può esaurire ne tantomeno liquidare con
due battute un Autore, la cui rilettura storica, per serietà, meriterebbe ben
altri tempi,se non vuol trasformarsi in celebrazione o peggio in superficiale stroncatura.
Il
primo livello di lettura è quello consistente nella individuazione
dei leit-motiv intorno a cui ruota l'espressione
poetica e, per quanto riguarda il Nostro, sono quelli indicati sopra.
Primo fra tutti la terra.
E' un tema questo che attraversa quasi tutta la sua produzione
(da Motivi lirici a Poemetti, Nuovi poemetti, Amore e terra...).
Il Fraccacreta proviene da una famiglia di ricchi e antichi proprietari
terrieri, per cui conosce bene la campagna circostante, le condizioni
dei contadini (i sacerdoti della terra, come Egli li chiama), i problemi
della sopravvivenza legati alla fertilità e generosità dei campi, la necessità
della manodopera bracciantile, perché è la sola forza-lavoro su cui il
proprietario può fare affidamento oltre che sulla clemenza del cielo.
Il pane che ne risulterà è pane dei poveri, ma "anche" pane dei rischi. Al di
là di qualche venatura paternalistica, in molti tratti
(specie ne "La sementa" e "Povera gente", Elevazione;
ne "La canzone del viandante", Motivi lirici; in "Ruralia",
Motivi lirici; "Il pane",
Poemetti; "La strada d'erba", Nuovi poemetti),
il Fraccacreta riesce a calarsi con commossa sincerità nella psicologia del
contadino, ne sa leggere 1'angoscia, la paura del futuro, il radicamento
ombelicale del suo destino a quello della terra:ne scaturisce un idillio di
natura elegiaca e georgica, fatto di descrizioni di tramonti, di arature, di
trebbiatura del grano, di raccolta dell'uva e di molitura di olive, di
strumenti agricoli (zappa,falce,...). Bello in "Congedo"
(Elevazione) quel Gargano "pallido cembalo d'argento"
: un mondo che sembra lontano ormai chissà quanti anni-luce e
che invece è alla radice del
nostro presente. Il Fraccacreta, però, se parla del contadino, della
terra e delle sue contraddizioni, lo fa da aristocratico, non lo si
dimentichi; se partecipazione o lamento si esprime per le
ingiustizie, resta tale e diventa rassegnazione e attesa, mai autocritica ne
tantomeno grido di rivolta in vista dm un riscatto. E questo è un limite,
anche se comprensibile.
Un altro tema
ricorrente, per stare al primo livello di lettura, è la donna, questo
simbolo del non totalmente detto, sempre sfuggente e inseguito dalla poesia di
tutti i tempi. Per il Fraccacreta, rimasto celibe, la donna è un'amante infelice, talvolta languida e
romantica, talaltra invenzione necessaria del cuore, con la quale
confrontarsi e semmai fondersi: in ogni caso, quando si è sul punto di attingere e
di fermare la suprema sensazione dell'amore, il tempo si precipita a
cancellarne l'attimo e la traccia e tutto rovina nell'illusione. Dice in "Veglia"
(Elevazione):
"Sogna,o cara,
e sarai sempre
ignara
del mio pianto
infinito.
Come tutto è
svanito!"
Aggiunge
in "Ignota" (Motivi lirici):
"Né baci né parole
seppi ritrovare
per disperder via
dall'abbassate ciglia
l'ombre dolorose.
Sulla tua testa invece
passai la mano
nella carezza lieve...
Da un'arcana
ansia ineffabile
i tuoi sensi eran tocchi:
dal vago terrore
di qualcosa
d'oscuro,
che la nostra gran
gioia
inesorabilmente
mutar volesse
in polvere vana."
Continua
in "Straniera" (Motivi lirici):
"E cinta dal
mio braccio,
paura avevi
che tutto,corpo vita
amore,dovesse
trovar precipitando
nel
cupo abisso,
tenebrosa
morte...
Io già
ti vedevo
disfatta nel volto
e negli occhi
cerchiata,
o mia Straniera,
col
triste moto
agitar dell'addio
la
bianca mano,
ancora
una volta
sospesa nel vuoto."
Strettamente legato alla
sensazione che tutto tramonta, compresa la donna e ciò che essa significa, è
l'uso di immagini in termini sfocati (come "ombre
dolorose"), ma anche di un lessico carico di sensi nascosti,
come dirò più avanti (oscuro, cupo, tenebroso, abisso). Cosa resta,
dunque, della donna se tutto si disfa nel nulla?
Rifacendosi chiaramente al D'Annunzio dell'Alcyone, per il Fraccacreta la donna
conserva ancora una funzione, se si trasforma in natura, facilmente palpabile e
soggetto di quotidiana esperienza. E' quanto scrive in
Antea:
E tu, o Antea, protesa dalla loggia
agli
spruzzi dischiudi
l'avida
bocca,
e riversa bevi
anche tu la pioggia,
riempi di luce gli occhi
e all'immagine sorridi...
Di fresca rugiada
s'imbeve il tuo viso.
Ti
svegli alfine
come umida foglia,
e in un
barbaglìo d'oro schiudi
le lunghe ciglia, o Antea,
fra lacrime di luce."
La donna, com'è
presentata dal Fraccacreta, se è trasfigurazione, lo è,
però, molte volte di un qualcosa di indefinito, di sfuggente, dai tratti
crepuscolari, che sanno cioè più di tramonto e di tormento che di meriggio.
Indubbiamente, se questo è un limite, è anche un anticipo del gusto moderno, se
per tale s'intende quello nostro,che tutto vede senza veli e metafore,
col freddo computer della nostra razionalità esasperata e
disperata, orfana della fantasia, del sogno, del sorriso e dell'ironia.
Un terzo tema, che
con frequenza ritorna nel Fraccacreta, è quello della madre,
Angiolina Sassi, donna mite e tenera, ispiratrice di tanta parte
della sua produzione poetica. Ad essa dedica in modo particolare
"Sotto i tuoi occhi", una raccolta di 12 sonetti, tutti
soffusi di delicati sentimenti filiali. La madre è uno sprone a
vivere per il
Poeta:
"Alla veranda,
mamma, tu t'affacci,
le gracili piantine
metti al sole,
e all'aria il viso
tuo si ricolora.
Un non so che di
nuovo par si cacci
nel vento :pare effluvio
di viole,
e invece, cara,
senti è il sol che odora."
Odor di sole)
"Il picciol corpo di vigor sì pieno
che d'opre e vite multiple feconda
la casa rese, a cui l'aura gioconda
trasfuse
della sua marina"
(I silenzi orrendi)
La madre, però, è
anche e soprattutto un sostegno psicologico, sul quale poggia quel
residuo di fiducia nella vita e nelle cose. Scrive in "Esortazione":
"Dolce è il tuo
viso al sole ma sfiorito,
e assai dure alle tempie
son le vene;
tu sei abbattuta, e
sono anch'io sfinito...
Risorgi, e del patito
dolor
vedrai che più non ci sovviene;
...e sappi, il solo
che ti butta le
braccia se rincasa,
quegli che se tu più non vivi,
muore !"
La mamma muore
nell'ottobre del 1944.Con la sua scomparsa il dolore darà un ulteriore impulso
allo scavo interiore, che ormai è giunto alla sua fase conclusiva (il Poeta
infatti muore tre anni dopo, nel 1947). Dice in merito:
"Tu vivi in me con l'anima tua vera,
e non vuoi il pianto sterile, ma vuoi
ch'io riprenda il mio libero cammino
sotto il bel sole,
e scampi la bufera
delle cose più tristi sotto i tuoi
soavi occhi, così come un bambino".
In diverse forme
anche altri Poeti hanno parlato della madre (si pensi a Ungaretti), di questa
figura che il pudore molte volte relega nel segreto delle cose
sempre pensate ma mai dette.Il Frac-cacreta, forse,
esterna di più questo suo bisogno di
parlare della madre e qualche ragione pure ci dev'essere. Ad essa,
comunque, accennerò più sotto. In ogni caso anche qui il Poeta
sostanzialmente rimane
ancorato alla tradizione.
Un altro tema che
permea di sé la poetica del Fraccacreta è quello della malinconia.
Questa aleggia sottile e sovrana in ogni lirica e sonetto e in
tutti i personaggi da Lui tratteggiati, come un colore che conferisce una
particolare tonalità all'ambiente circostante.
La malinconia è la consapevolezza che tutto finisce e
niente v'è di
certo e di duraturo cui aggrapparsi.
"L'anima mia è ingenua ed errabonda"
(Il primo sogno,
Elevazione)
"Tutto vien meno"
(Fine d'autunno,
Elevazione)
"Fuor
di me lontano muoion
fredde
le voci delle cose"
(Enigma,
Elevazione)
"Con
quel pianto
che
scorre nelle torbide mie vene...
(sono)
come un randagio senza meta".
(La casa morta, Elevazione)
"Eterno
camminante
allor mi
vidi
senza focolare"
(Alla figlia,
Motivi lirici)
La malinconia
diventa tristezza indefinita ne "La canzone del giardiniere"
(Motivi lirici), solitudine vana e inquieta in "Ammonimento"
(Elevazione), nostalgia della vecchia casa e dei cori di Chiesa in
"La casa morta" (Elevazione) e "Cantoria"
(Nuovi poemetti), dolore in "Vivi e morti". La malinconia del
Fraccacreta, però, differisce da quella moderna. Mentre quest'ultima
è esistenziale, senza speranza, direi quasi metafisica, perché
conseguenza di una rivolta contro un mondo che si scopre ogni giorno scritto
senza senso; quella del Fraccacreta è psicologica, più frutto di emotività, in
alcuni momenti espressa con tratti da tardo romanticismo, e comunque mai scomposta,
perciò sopportabile, perché quasi connaturale alla condizione
umana. Si potrebbe dire che quella moderna è urlata, quella
del Fraccacreta è più accoratamente meditata., com'è la constatazione
di un tramonto che chiude un giorno che non tornerà più. A confortare il Poeta
ci sono la casa e la religione, altri due temi spesso ricorrenti.
La casa non è solo il luogo dei ricordi, degl-i affetti, della certezza, ma
anche l'approdo ("Traluce nella nebbia/ una casa lontana": in "Sera",
Motivi lirici), anche se non definitivo ("Sembra che nelle
stanze si nasconda / il dramma pauroso e la rovina": in "Malombra",
Elevazione). Il Poeta teme di perdere questo rifugio, lo pensa
nostalgicamente anche quando da esso è temporaneamente
lontano, perché a Parigi o sul lago di Como. Una notte sognò la sua casa
diventata spoglia e senza vita. Si svegliò improvvisamente in preda a
un profondo turbamento:
"Soltanto so che, come piange
un bimbo, io ruppi
in disperato pianto.
Vorrei che fosse
stato un sogno, nulla,
nulla più che un
tremendo, spaventoso
sogno"
("La casa morta, Elevazione)
Nella casa ci sono la mamma, il passato, la ragione
ultima del suo esistere, quella cioè di essere un poeta eternamente
fanciullo ("Il fanciullo è poeta", :in 'Il primo
sogno", Elevazione). Oa religione del focolare domestico
richiama la religiosità più universale, che, per Fraccacreta, talvolta è fatta
di compiaciuta rievocazione di antiche tradizioni legate alla Fede
(la calza dei morti, in "La calza",
Elevazione; Il Viatico, Elevazione; la processione della Domenica delle
Palme, in "La canzone dell'ulivo", Motivi lirici; il portatore
della croce il Venerdì Santo, in "La terra",
Nuovi poemetti), talaltra di ammirata visione di scene di pellegrini che
imboccano la via sacra per i vari Santuari del Gargano ('La
canzone dell'asfodelo", Motivi lirici), talaltra infine
di riferimenti a Chiese, all' l'Arcangelo Michele, alla Madonna del Soccorso ('Rosa
mistica", Elevazione), a edicole votive (Stelle e lucerne,
Poemetti). La religiosità del Fraccacreta, pur denotando la presenza di
suggestioni pascoliane, si risolve in un atteggiamento di pacata mistica contemplazione,
quasi un voler trascendere gli elementi visibili del cristianesimo
in un qualcosa di meno percettibile ma pur tuttavia carico dì valore
affettivo.
Per i temi della casa e
della religione Fraccacreta si muove sostanzialmente nel solco della
tradizione. Forse il suo non bigottismo ce lo rende un po' più
vicino, ma è poco per dire di essere stato un profeta degli attuali movimenti carismatici.
L'ultimo tema, infine, che
è come la cornice esterna del quadro in cui si svolgono la vita, le
riflessioni, i sogni, le proiezioni nel simbolico e il reale
astratto è indubbiamente la nostra San Severo, questa,
città mistica e profana, contadina e illuministica, vicina alla
terra e ai suoi problemi, ma anche al cielo e ai suoi richiami,
questa città, luogo di transito delle voci provenienti dai quattro punti
cardinali, mai nominata, ma
  sempre presente, perché ritenuta come il sacco
amniotico nel quale si sviluppa la trama dell'essere e
dell'esistere quotidiano del Poeta. Il Fraccacreta, come verso la madre, così
verso San Severo ha un grande pudore: senza citarla si avverte struggentemente
la sua presenza, carica del peso delle sue case, delle guglie dei
suoi campanili, del lamento dell'assiolo, del cigolio dei suoi carri,
dei tramonti malinconici dietro silenziosi
e misteriosi monti. Forse è la vera protagonista della sua poesia e noi per
questo gliene siamo grati. Fraccacreta è il poeta di
San Severo e può essere apprezzato a sufficienza solo da chi è
nato in questa città, non certo da chi scrive letteratura stando oltre
il Garigliano o oltre l'Ofanto. E San Severo non è un ghetto, ma
un simbolo se non di quello che è, almeno di quello che potrebbe essere,
se non intervenissero forze mediocri a frenarne il cammino. In
questi ultimi tempi la città è stata ingrata nei confronti del Poeta e il fatto è
sotto gli occhi di tutti.
Se questo è un primo piano
di lettura per quanto riguarda i temi, c'è anche un piano esterno di lettura
per quanto concerne il linguaggio. Non si dimentichi che
Fraccacreta è stato un fine
conoscitore delle lingue moderne oltre che di quelle classiche,
e sa quindi masticava bene le parole e le loro combinazioni, nonché
la musicalità nella loro distribuzione. A una lettura attenta, però,
non pochi debiti egli ha verso movimenti letterari e Autori
passati o a lui contemporanei. Nella sua opera si notano chiari influssi
della poesia georgica (specie quella virgiliana), molti del tardo Romanticismo
(come ne "L'appassionata", Poemetti, ma di più in " L'ombra",
Nuovi poemetti, dove i toni sono decisamente deamicisiani),
moltissimi del Decadentismo. Probabilmente il Fraccacreta volutamente ha
escluso dal suo linguaggio il ricorso a forme nuove e sperimentali, perché trovava
più congeniale alla sua arte esprimersi nelle cadenze e nei ritmi classici, che
gli davano meglio il senso del chiaro e
del compiuto.
Evidenti reminiscenze e
affinità, talora anche verbali, si notano con il Parini: il
contadino del Fraccacreta che coi
"sacri arnesi" va alla campagna
rassomiglia molto a quello del Parini; con il Foscolo:
"...tanto assordare di tumulti,
sogna,
unico dono, il
pianto che le stelle
tue disciolgono, pie all'umano dolore!"
(l'assiolo, Poemetti)
"Fu sacro il luogo ed una nera
croce,
per placar gli errabondi e irati mani,
sorse e dalla pietà comune presto
alimentata fu la
fiamma..."
(Stelle e lucerne, Poemetti)
con
il Leopardi: si confronti L'assiolo con il leopardiano 'Il passero solitario":
"Tu erri deserto per codesta torre
sconsolata.. .
Io che la sera, alla
campagna errando...
Il capino, dal torpore,che
l'avvince
or sciogli, che al costume
tuo solingo...
Sì familiare m'era il tuo
costume..."
con il Pascoli:
come Pascoli, il Fraccacreta umanizza la vita dei volatili ; quel "padiglion del
cielo" o il "vago suon dell'alba" (ne L'assiolo)
hanno tanto del Pascoli, come il verso pascoliano "Un chiù (l'assiolo)
singhiozza da non so qual torre" onomatopeicamente ritorna spesso nel
Fraccacreta;
con il Carducci: la
Chiesa come asilo di pace richiama di frequente la carducciana "Chiesa di
Polenta";
con
il D'Annunzio:
"O pastore
d'Abbruzzo...
Or sceso sei di già dalla montagna..."
(Stelle
e lucerne, Poemetti)
"Bisogna seminare.
Incalcinate !
Garzoni, fate presto, all'aratro !"
(Il
pane, Poemetti)
"0
notte fresca e pura ! Tu discendi
sull'assetata terra qual sorgente
d'ineffabili ebbrezze, e la rugiada
argentea, che tu in lagrime riversi,
all'erbe infonde rapido
ristoro"
(L'assiolo)
Queste risonanze non fanno,
però, del Fraccacreta un plagiatore, se per tale s'intende chi pratica un
semplice e meccanico trasferimento di' parole, perché il
contesto nel quale egli le cala è totalmente diverso. In ogni
caso denotano, anche se parzialmente, un limite linguistico, cosa
che si riscontra, d'altronde, anche in
qualche espressione, in verità non molto frequente, che sa di eccessiva
discorsività nel narrare gli eventi, con alcune metafore leziose forse
di troppo e qualche inutile ridondanza come nei versi:
"La terra è
madre all'uomo che non deve
essere in lotta
contro lei, né deve
abbandonarla al suo
martirio; !'uomo
se vuol da lei il
benessere e la vita,
deve amare qual
madre la sua terra"
(La terra, Nuovi poemetti)
Ciò, comunque, non
toglie che nel complesso il Fraccacreta è generalmente ben controllato, sobrio
e sorvegliato nel verseggiare e mostra di conoscere abbastanza il mestiere, se
così si può dire, di fare il poeta.
Forse alla nostra sensibilità di uomini del post-moderno quel
linguaggio sembra piuttosto aulico, arcaico, tanto lontano dal nostro
gusto , ma, tant'è, ogni pezzo di storia, quindi anche di lingua, va sempre
rapportato e raccordato alla cultura nella quale è nato ed è cresciuto.
E anche questa è una forma di ascolto e di rispetto per il
passato, verso il quale in diversa misura siamo un po' tutti debitori.
Quanto detto fin qui è un primo sommario livello di lettura dell'opera
del Fraccacreta, ma, poiché ogni messaggio estetico è sempre una struttura che
si gioca a più livelli, ce ne sono anche altri possibili, cui qui di seguito accenno.
C'è, per esempio,
il livello stilistico. Qui il Fraccacreta non è chiaramente un innovatore
né volle esserlo. Lo dice, del resto, espressamente
in terza persona nel Prologo a Elevazione: "Egli vide la mostra invereconda d'assai
ben variopinti giocolieri che gran scempio
di te, soave Musa, faceano sul
trapezio e sulla corda; e tacque masticando il forte assenzio".
La sua pagina segue
procedimenti perlopiù descrittivi, in alcuni tratti tendenti alsolare. I toni
espressivi privilegiano gli aggettivi delle piccole cose (es.: fragili, tenui,
lievi, diafani, come ne "Il gelsomino", Elevazione), il
rafforzamento della regressione al minimo con l'aggiunta
di parole al diminutivo (es.: piccole stelline, piccole boccucce,
tenui foglioline, come ne "Il gelsomino^). In
qualche caso l'allitterazione gioca un ruolo rafforzativo di ciò che
il pensiero magari non riesce a esprimere con più intuitività, la
grammatica si presenta lineare con tendenza al lirismo, alla sospensione del
pensiero per dar più spazio alla contemplazione. In conclusione il codice
stilistico del Fraccacreta non si presta a informazioni e
interpretazioni di natura ambigua:ha: ha una sua connotazione ben precisa, con
significati accessori utili a meglio evidenziare la complessità
della personalità. Questo potrebbe essere un suo merito estetico, ma anche un limite.
Il livello
stilistico postula quello sociologico,
perché chiama in causa la genesi e i destinatari dell'opera. E anche qui
il Fraccacreta asseconda molto il suo istinto più che inseguire il
movimento delle idee tipico di ogni periodo storico, quindi
anche del suo. Sta con il sicuro, che, per lui, è il passato letterario
rappresentato dai Grandi e se guarda al contadino non è certo con l'occhio del
contadino, ma con quello del Manzoni. Nella sua opera non traspare quasi mai la
rabbia e la collera, poco poetiche in verità, del contadino del Sud: non
poteva, d'altronde, attingere quel linguaggio, del quale solo il dialetto
poteva esprimere i contenuti (non mi pare ci siano parole dialettali nella
poesia del Fraccacreta).11 parlare della terra
rimanda,quindi, più a un'esigenza psicologica del Poeta che non a un
progetto di rilettura critica, anche se in chiave artistica,
della realtà meridionale. Questo, però, nulla toglie al merito
che il Fraccacreta ha avuto nell'aver posto, lui aristocratico, il problema di
San Severo agricola all'attenzione dei lettori, letterati e non.
Nella poesia del Fraccacreta c'è anche un livello
stratigrafico, in cui le immagini si liberano, si sovrappongono, diventano
evanescenti, dandoci un quadro d* insieme, che solo apparentemente
sembra semplice e sconnesso, ma che in realtà e sottilmente articolato.
In "Nevicata" (Elevazione), per esempio, c'è una
sequenza di immagini, che, partendo dall'alba, incorniciata dal
bianco della neve, passa attraverso un riferimento-mitologico (la
fata scesa dai monti) e ornitologico (il passerotto che scuote le
ali), diventa discorso intimo (la vita che si ferma) e coscienza del proprio
amaro destino ("preme il dolore della miseria") e infine ritorna alla
natura (la neve che ricama gli oggetti): inizia, quindi, e chiude con la
natura, attraversando con stacchi delicati e piacevolezza di scansioni musicali
lo spazio intermedio che esiste fra cielo (alba-fata) e terra (i fiorami composti
dalla neve). Interessante notare come nei 40 versi, di cui è composta la
lirica, ben 36 hanno al loro interno la vocale "a", segno dell'apertura
e della spazialità senza contorni definiti, come son quelli della neve. La
poesia sembra traspirare chiarezza e
innocenza, perché la neve copre miserie e angolosità. E questo non è che un
esempio non raro di delicata combinazione fra elementi formali e
linguistici. Sotto questo aspetto il Fraccacreta ha qualcosa da dire anche a noi di
quarant'anni dopo.
Un ultimo livello di
lettura dell'opera del Fraccacreta è quello simbolico-psicanalitico.
Al di là del senso manifesto c'è sempre in ogni attività creativa,
compresa quella artistica, una proiezione di significati nascosti, che legano,
attraverso il simbolo, la cosa detta a una realtà internamente
in movimento. Il simbolo, questo
concettuale trait-d'union, va decodificato e quasi nudato del suo
valore di significato per assurgere a quello di significante. Si sa che
se da un lato la simbolizzazione è un processo importante nella
formazione del pensiero e delle conseguenti strutture mentali, fondate
sull'astrazione, dall'altra è un ottimo meccanismo inconscio di
difesa e oggetto d'investimento delle pulsioni più profonde della persona.
Il simbolo è maschera, simulazione e linguaggio, è in altre parole la lingua
dell'Altro, come direbbe Lacan. Sta nella strategia di chi legge individuare
il volto e la natura di questo Altro.Venendo al Fracca-creta, dirò subito che
egli si presta molto bene a questo tipo di indagine e in effetti ne viene fuori
una personalità d'artista molto sofferta e quanto mai emblematica per la
condizione dell'uomo d'oggi. Si sa che l'inconscio segue le leggi della
condensazione, dello spostamento, della frammentarietà e della atemporalità:
ebbene il Fraccacreta ne presenta uno molto duttile e fluido, aperto a facili
movimenti di segni e di accenti, sempre proteso a fissare quello che il tempo
non dovrebbe distruggere. In lui regna sovrana la religione della casa, il nido
pascoliano, una sorta di regresione verso uno stato prenatale, in una
condizione dell'esistenza prima del tempo, ove la vita, la memoria e le azioni
perdono i loro connotati usuali per assumere quelli delle ombre, ora cariche
di ricordi, ora mute (cfr., per esempio,"La casa morta",
Elevazioni). La malinconia domina in questo paesaggio interno, perché ci
troviamo in un mondo incerto, sospeso fra realtà e mito, sogno e ossessione: ò
il luogo dell'informe e del primordiale, dal quale a fatica il Fraccacreta
cerca di venirne fuori e ogni volta che lo fa, fallisce (cfr. l'uso frequente
di aggettivi come misterioso, tenebroso, oscuro, cupo , e di nomi come morte,
fine...). Il simbolo umano di questo mondo è la madre, alla quale è legato
visceralmente e dalla cui presenza dipende la sua ragion d'essere
nella vita: morta lei, muore anche lui e insieme con loro due anche la loro casa:
"E poi,mamma, cuore a cuore sostiamo,
senza parole...
Ma puoi tutto...
... e sappi, il solo
che ti butta le braccia se rincasa
quegli che se tu più non vivi, muore!"
(Esortazione)
"Tu
vivi in me con l'anima tua vera"
(Sotto i tuoi occhi)
La donna e
la terra saranno i due tentativi messi in atto
dal Poeta per affermare il suo contatto con le cose e quindi la sua
autonomia di uomo e di artista: è il momento più significativo del suo pathos,
l'atto di coraggio più sincero dove esprime il meglio del suo Io bramoso
di percorrere il cammino della sua liberazione, ma ahimè!, pur
dandoci la parte più alta di sé, non riesce a dar corpo a una realtà a se
stante, perché la donna in sostanza è una creatura sconfitta e senza risposta
(cfr. La Straniera e L'Ignota, Motivi lirici, dove dice:
"Non può qui finire / il nostro amore: altro cielo ci vuole / per
noi due soli". "In me non era / che l'amarezza / di veder già finita
/ la promessa gioia / appena intravista
"), e la terra sembra sadicamente divertirsi, burlandosi non
poche volte del sudore e della fatica dell'uomo che la lavora ("Arida
terra sotto il ciel ostile..Or son due anni 1'insistente
pioggia / piegò i campi, lottammo con la falce, / ma
li perdemmo.../ A che giova ritentare? / Squallida è la terra...Questo
nostro pane.../ resta duro qual macigno": Il pane, Poemetti). Ma
donna e terra in fondo non potevano essere la via d'uscita al suo bisogno di
libertà, perché anche loro legate come in un circolo vizioso
a quel primitivo regno della negazione del tempo. In questo il Fraccacreta
è quanto mai attuale. La crisi dell'uomo d'oggi in ultima analisi è una crisi
di identità, di spontaneità, di creatività. Nel suo vicolo cieco l'uomo dei
nostri giorni, come il Fraccacreta, sperimenta il dramma dell'incomunicabilità,
ma anche dell'impossibilità ad attingere la sia pur minima parvenza di
felicità. Il poeta è il luogo di confluenza e di coscienza di tutte queste
contraddizioni. E' l'eterno discorso del ritorno dell'identico, dove
l'urlo o il lamento sono solo echi del desiderio del diverso, ma restano
scritti come tali su un terreno, dove il vento delle forze più disparate sagomerà forme
che non hanno nulla a che vedere con le tracce del passato. La
malinconia esterna del Fraccacreta, è, come si evince del resto anche
dal suo sguardo, letta più profondamente significa angoscia, paura del ritorno
nel buco nero del non-essere, disperazione e rabbia per il modo come
la vita è beffata dalla storia: questi son sentimenti così diffusi nel mondo
d'oggi e ci rendono il Fraccacreta tanto fraternamente vicino, al di là
dei toni letterari secondo cui questo
discorso è modulato.
"Al poeta...
giunga liberatrice
alfin la morte"
(Motivi lirici)
Venendo a una conclusione si può dire che il
Fraccacreta si presta a una varietà di letture. Non è certamente un Autore da
sottovalutare ne tantomeno lo si può liquidare sbrigativamente con due
parole come riduttivamente fanno Flora e Dell'Aquila. Possiede una sua potenzialità
che ha bisogno ancora di uno storico della letteratura del meridione
per essere compresa e apprezzata a sufficienza. Mi astengo dal
dire se il Fraccacreta sia da considerarsi un grande o un piccolo,
un conservatore o un innovatore: :non sono queste le categorie che
interessano. Sarà il tempo, nella sua diacronia, a dircelo. Alcune tracce,
però, ha lasciato. Una, fra le tante, è l'aver sposato un linguaggio chiaro,
lontano dalle asprezze lessicali e metafisiche, che molte
volte sanno più di oscuro e ossessivo che non di creativo. Si è rifatto
ai modelli classici e questi sono armonia, equilibrio e bellezza, ma con
risonanza interna tutta sua, personale, originale, e io aggiungerei,
sineera. Suo merito é anche
l'aver portato questo pezzo di Sud, che è la nostra realtà locale,
a dignità di materia poetica. Se è stato tradotto anche in francese e
se diversi critici si sono occupati di lui, da Valgimigli a Potolicchio, allo
spagnolo Consinos, a Casiglio, a Carlo Gentile, all'ottimo lavoro
della Venturo-Lamedica vuol dire che il suo messaggio qualcosa di
serio pur contiene. Il Fraccaccreta si pone nella migliore
tradizione della poesia meridionale. Un Convegno come questo, se non esaurisce
la portata della domanda e l'importanza di un'analisi ancora da approfondire,
che serva almeno a sollevare un problema: la necessità cioè
di recuperare la memoria storica e letteraria collettiva, per costruire
su di essa la nostra identità di uomini del presente, che vogliono
preparare un Duemila meno dominato dall'eclissi del buon senso e dai fantasmi
dell'Apocalisse»
(Relazione tenuta
al Convegno su Umberto Fraccacreta, San Severo, Sala San Benedetto, 15 ottobre
1988)
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