Don Santino Spartà, oltre che essere un sacerdote ben
impegnato nel suo ministero,è anche un giornalista dalle mille curiosità e
soprattutto uno scrittore, che, tramite la parola ; in prosa o in poesia, cerca di
tradurre nel tempo l'interno ed eterno dissidio che da sempre attraversa
ogni coscienza: chi siamo e dove andiamo? Il suo essere un siciliano
dice poi molto, perché nostalgia, pessimismo, apertura sfaccettata al
multiforme linguaggio della natura, uniti a un'analisi impietosa della
realtà e al desiderio di leggerezza si coniugane così bene che, se
non ci fosse la luce della Fede a spianare il cammino, non so se sarebbe da
inserirsi nel filone della letteratura meridionalistica di
denuncia o se da accostare ad altre
esperienze letterarie di altri luoghi. Il don Santino Spartà
sacerdote-poeta in qualche modo riscatta questa valenza provinciale della scrittura e la fa
assurgere a voce più universale di una coscienza cristiana e nel
contempo critica, ma sempre in un contesto, direi, di umana solidale
laicità, Le sue domande sono quelle di tutti, così i suoi dubbi, la sua
angoscia per "un'intervista non avuta", la vita intesa come ricerca
non fuori ma dentro di sé, dove solo alberga la forza motrice delle cose, che
è l'amore: è questo che porta alla scoperta delle realtà vitali,
non tanto la mediazione del
pensiero, che, se pur necessaria, davanti allo stadio dell'incontro
deve fermarsi per il semplice motivo che il diaframma mentale
non serve più. In questo gioco, perché la ricerca è anche questo, conta
l'immediatezza dell'intuizione, una sorta di lettura superiore delle cose che
lascia intravedere più che vedere (dai nostri occhi psicofisici,
d' altronde, cosa si può pretendere?),
insomma una Fede, che trascende le leggi dell'usuale itinerario conoscitivo e va, senza alcun intermediario,
al nocciolo della domanda. E', quindi, solo ricerca religiosa
in chiave poetica la sua? Credo di no, perché la domanda umana è legittima
e comune, oltre che espressa in termini talora di crudo realismo:
ognuno cerca di trovarsi le proprie risposte. Quelle di don Santino si
configurano e si sintetizzano in due sole parole: Divina Presenza.
Qualcuno parlerà di rinuncia all'indagine, io,
invece,preciserei, con Wittgenstein, che se un quesito s'impone deve
esserci anche la possibilità di una soluzione e questa, piaccia o no, si
situa sempre al livello della coscienza e della responsabilità personale.
D'altronde don Santino non è né il primo né l'ultimo
che si è dato questa conclusione. Da Dante, a Manzoni, a C. Rebora, a D.
M. Turoldo, a B. Pastemak, a Th. Merton, a M. Quoist, a M. Guidacci e a
tanti altri lunga è la schiera dei poeti, che, miscelando mente e
cuore, sono approdati al fondo del mistero, che è l'Essere di luce,, cioè
quello che la teologia chiama Dio. E' qui che il "cor
inquietum" di agostiniana memoria trova la sua pace:a
un bisogno venato d'immenso e d'infinito non si pub non rispondere che con
l'abbandono fra le braccia dell'Immenso e dell'Infinito, quel
Totalmente Altro, come vuole Barth, ma anche molto più vicino all'uomo
di quanto ciascuno possa immaginare. Perciò non mi trovo totalmente d'accordo
col Guicciardini quando afferma che "Gli uomini sono al
buio delle cose, e questa indagazione ha servito e serve più a esercitare
gli ingegni che a trovare la verità". Se l'Indagabile non pub essere
oggetto d'indagine per l'inidoneità dello strumento razionale, non
per questo pub essere rimosso
dall'attenzione dell'indagatore.
Entro ora nel merito di questa raccolta di liriche, in
tutto 184, delle quali 153 già pubblicate in precedenti sei miniraceolte e
31 inedite. Esse abbracciano un arco di tempo che va dal 1969 fino
ad oggi, quindi quasi trenta anni di intensa ricerca: questo appunto
è il titolo che
il don Spartà dà a questa summa "Continuo a cercarti". Le
sezioni del libro sono sei, con l'aggiunta delle inedite, e già dai titoli
è possibile evincere le tappe nello sviluppo del pensiero del Poeta:
Immutato è il sorriso tra i solchi (30 liriche fino al 1969), Nelle
mani, mistero (30 liriche dal 1969 al 1975), Vorrei intervistare
il mistero ( 3 liriche dal 1975 si 1980), Quando aprirai la lettera (21
liriche dal 1980 al 1984), Rincorro l'eterno ( 40 liriche dal 1984 al
1988), Mi sono innamorato (29 liriche dal 1988 al 1992), le inedite (31
liriche dal 1992 ad oggi).
Il libro è corredato dalla Prefazione di
Ferdinando Castelli e dall'Introduzione di Giuliano Manacorda, che ben
sottolineano il silenzio di Dio e dell'inquietudine del Poeta, e si chiude con
due Postfazioni, quella di Mario Luzi e quelle di Giampaolo
Rugarli, ambedue scritte sul filo d'un discorso che tende a far rilevare
lo sforzo posto da don Spartà a rendere più umana la Fede che non si nutre solo
di certezze ma anche di dubbi. In appendice sono riportati alcuni dati utili a
far conoscere meglio la personalità dell' Autore: l'elenco di 26
pubblicazioni, le 279 recensioni (fra le quali quelle di A.
Bevilacqua, G. Saviane, D.
Rea...), i 12 studi bibliografici sul
Poeta e le numerose presenze in RAI
(Domenica in, Mezzanotte e d'intorni, Più sani più belli, TG-I e TG-2.,.).
Ritornando ai titoli delle sezioni, dicevo prima che già
da essi può essere intravisto l'itinerario spirituale del Poeta, che
ha voluto servirsi dello strumento nobile del verso, oggi tanto
bistrattato dall'ipocrita idiozia di tanti fruitori ed editori: partendo
dalle radici ben solidamente piantate nella sua terra di origine, la Sicilia
(Immutato è il sorriso tra i solchi),via via don Spartà diventa cittadino del mondo,
alle prese con i mille interrogativi del vivere, al desiderio di fissare
nelle mani qualcosa di stabile ma che sfugge (Nelle mani,mistero),
alla voglia di spezzare il "velo" (Vorrei intervistare il mistero),
alla delusione di una lettera spedita ma che non ha avuto una risposta
(Quando aprirai la lettera), alla caparbietà di non arenarsi dinanzi
allo sciopero del "postino celeste" (Rincorro l'eterno), all'abbandono
fiducioso, nonostante l'apparente assenza, fra le braccia dell'Amato
silenziosamente Presente (Mi sono innamorato).
Come si pub notare don Santino è come il
Tommaso evangelico con il Divino:insistente, testardo (passi questo
brutto termine), bramoso di sedersi al tavolo della Cena
Pasquale con il Cristo, anche se comprende bene che questo tavolo non
è ancora quello della Risurrezione ma della Passione, dove tutto si
prepara, perché tutto non è ancora compiuto. E' più Lazzaro, la Veronica,
la Maddalena che l'Elia della Trasfigurazione. Passo ora ad
analizzare più da vicino le sei sezioni della raccolta.
Nella prima (Immutato
è il sorriso tra i solchi) acuta si avverte la nostalgia del Poeta nei
confronti della propria terra (La mia aia è senza grano), degli affetti
familiari ivi lasciati (madre, sorella), dell'antivo cimitero dove
il respiro dei morti è ravvivato dal
profumo dei crisantemi (Sei ai sogni ironia). La lontananza
si sostanzia delle prime struggenti domande: qua! è il senso del proprio vivere
("Sento di essere inutile alla sagra"), il perché del male
fatto carne storica nell'urlo di Caino, il balbettio sul futuro che chiede risposte
nel presente (Dammi una risposta), lo svanire di tante promesse illusorie
("gomitolo di promesse"), la tenacia nel voler andare avanti
nonostante tutto ("a nessuno è dato di fermarsi") e soprattutto la speranza che si
trasforma in preghiera:
Con le pietre
levigate
del tuo sangue,Signore,
hai costruito un altare.
Il mio cuore la vittima...
Cosi
a passo d'esule ascendo
il calvario per accostarmi,
Veronica vivente,
alla tua croce.
Qui vorrei consumarmi
come quella lampada,
mentre sofferenze ed aromi
hanno voce
di dolcezza sul mondo"
(Qui vorrei consumarmi)
In questo aggrovigliato e movimentato succedersi di pensieri
e di sentimenti agiscono sullo sfondo i panorami montani e
marini, i fiori, le piante, le albe e i tramonti, la solitudine e
l'entusiasmo della terra dei suoi padri: è tutta una sequenza gradevole e
ininterrotta di immagini, di odori, di visioni che palpitano ancora
prepotenti nel cuore del Poeta, che si sente un figlio sradicato per scelta e
vocazione ma pur sempre parte integrante di quella secolare società che vive sempre
nell'attesa di tempi migliori, che però mai vengono. "Vattinne, chista è terra
maledetta" diceva in Nuovo Cinema Paradiso
l'anziano gestore del cinema al giovane in procinto di partire: don
Spartà ribalta il concetto e benedice quei silenzi, quella rassegnazione,
quel curvarsi sotto un cielo muto: lo fa senza rimpianto ma con
dignità, perché l'unico luogo psicologico di riflessione pacata per
chi un segnale o un impulso divino intende percepire, lontano dal frastuono assordante
della civiltà dei consumi.
La seconda sezione (Nelle mani,mistero)
mostra un cambio e un salto di prospettiva rispetto alla prima. I levigati
paesaggi siciliani si trasformano e si mutano in un esteso paesaggio
dell'anima, scenario dove il tormento si unisce alla richiesta accorata di
aiuto, il buio della morte al superamento del tunnel dopo il quale
s'intravede il segreto rischiaratore della dimora divina. Sullo sfondo
campeggia sempre con le sue ali il mistero ma anche il bisogno di
leggerezza (I cipressi mi consigliano), la coscienza di vagare fra le aride
pietre della vita ma anche l'anelito profondo all'aurora della purificazione.
Sono liriche brevi queste,sussurrate e poco parlate, sospiri
dell'animo che non trovano adeguata verbalizzazione, perché alla frontiera le
sillabe si sciolgono perché c'è l'incontro con la Parola di
Vita.
La terza sezione (Vorrei intervistare il
mistero) se da una parte evidenzia il consueto bisogno di sapere
dall'altra comincia ad apparire la coscienza che è più utile smettere di
inquietarsi, tanto il mistero non dà risposte: il giornalista don
Spartà ha a che fare con un interlocutore, cioè Dio, che non
ha bisogno di farsi pubblicità, che non si dà cioè in pasto alla
curiosità anche se legittima. E' un interlocutore esigente che non vuol farsi
riconoscere per vie distorte, ma è come se dicesse: perché mi cerchi
fuori di te, sulla luna, quando già io sono in te, nelle fibre più
profonde del tuo essere, nei tuoi pensieri, nei moti del tuo cuore? E' lì che
devi cercarmi. La luna pub inviare solo "virgole di luce" (Luna della
mia terra), il rifugio nell'infanzia può essere solo una forma
di rimozione della domanda ma non la soluzione. Ora è tempo di
attesa e il Poeta se ne rende ben conto:
"Dio,
verso incompiuto sulla terra"
(Nell'attesa)
e
"La
vita in Te,Signore è onda,
sulla sabbia, schiuma"
(Senza di Te)
Questi versi ricordano molto da vicino alcuni di
D.M.Turoldo:
"Pare che Dio sia una consonante
e
neppure quale tu sia..."
(E
neppure quale)
Il Poeta,dunque, si sente parte molle di questo
sconfinato oceano, cullato dal potente alito della vita, onda senza
riposo:quando si ferma sulla battigia diventa allora schiuma e questa don Spartà
non intende essere,
sembra voler dire.
Anche queste sono liriche brevi, con domande e
sensazioni di abbandono, pervase dal ricorrente incupirsi del siciliano
ma attraversate anche
dal delicato e limpido solco della Fede.Si avverte molto in questi
componimenti l'eco dell'intimo travaglio dell'ultimo Turoldo: sincero
e razionale, fiducioso e talora inquietante, comunque sempre espressione
della nuda verità dello spirito che si interroga.
La condizione umana nella quarta sezione (Quando aprirai la lettera)
qui approda al suo lido naturale chiamato "Divina Presenza", il Tu o
Deità o Ruah del Turoldo: il Poeta non trova altro nome per
parlare di Dio, come del resto accade all'autore del Cantico dei
Cantici o al povero Giobbe.
In essa si acquieta la mente, si placa la tempesta del
cuore, ma non la tortuosità del cammino solitario, come avviene
nella quinta sezione (Rincorro l'eterno):
"Perché mai continuo a essere
sempre più solo?"
(Ogni giorno)
E' il momento del deserto,
del Sinai, in vista della Terra Promessa. Il Poeta sembra
rassegnato a non ricevere risposte, anche se conserva il broncio nei confronti
del mancato intervistato. L'altalena
di questi stati d'animo del Poeta è umanamente comprensibile, perché è quella di
tutti.
La risposta definitiva è trovata nelle ultime due
sezioni: la sesta (Mi sono innamorato)
e le inedite. La ricerca è solo un avvio, ma alla fine tutto
si deve risolvere nella certezza dell'amore nei confronti della Divina Presenza:
"Ti chiedo unicamente
che Tu mi faccia sentire
di non averti
mai amato abbastanza"
(Non ti invoco)
L'amore è già
risposta ultima,perchè è li che si riassume la totalità dell'essere:tutto
il resto è solo parabola terrena, segno comprensibile ansia
conoscitiva, ma non certamente la sostanza del vivere. Nell'amore per
la Divina Presenza s'intravede uno squarcio di quel sole il cui velo
per qualche attimo è caduto. E qui il Poeta non ha che da ringraziare.Il
"grazie" è la preghiera dei santi in Paradiso, stupiti anche
loro del grande dono di Dio, meraviglioso Essere d'amore,di
pace e di bellezza ineguagliabile. Con umile consapevolezza don Santino
si associa a questo
coro:
"Ti ringrazio, Divina Presenza,
per aver pianto con me
in quel momento di dolore...
Ti ringrazio, Divina Presenza,
per avermi fatto capire
che ora invece ho bisogno
di Qualcuno.
Ti ringrazio, Divina Presenza,
per avermi fatto sapere
che solo quando ritornerò
innocente
deciderai a risolvere
i miei problemi...
Ti ringrazio, Divina Presenza,
per aver ridotto il tuo splendore
a uno spicchio di luce...
Tà ringrazio, Divina Presenza,
per aver nascosto la divinità
nel corpo mortale...
Ti ringrazio, Divina Presenza,
per esserti incarnata
in una creatura debole...
Ti ringrazio, Divina Presenza,
per aver ceduto
durante il quotidiano colloquio con Te
ad uno struggente atto d'amore.
Ti ringrazio, Divina Presenza,
per aver scritto di tuo pugno
che tu sei il TUTTO.
Cosi finalmente metterò punto
alla mia inquietudine"
(Grazie)
Non so cosa ci darà o ci dirà in seguito don Spartà. L'epilogo della ricerca
sarà un approfondimento o una dilatazione d'orizzonte dell'Immenso paesaggio
divino? Non saprei prevederlo. Certamente siamo al superamento delle
"recherches" proustiane e
all'immersione nel mistico mare della visione di S.Teresa d'Avila o di
S.Giovanni della Croce. Il pellegrino sanguigno diventa qui, dopo la lunga pausa
della meditazione, eremita della contemplazione, dove la parola muore perché
inizia ciò che essa significa, cioè la vita con la "v" maiuscola.
Sarà anche dispensatore di speranza e di amore in un mondo
addormentato e drogato dal sonno della ragione e del cuore, oltre che
da un disastro di miserie e di orrori? Sarà acqua nel deserto anonimo
delle nostre città e pane per gli affamati di verità e di giustizia? Sarà un
profeta che non annuncia il futuro, ma che,per dirla ancora
con il Turoldo, "in pena denuncia il presente"?(Non abbiamo
ingegni). Non lo so, però, con le anime migliori,me lo auguro tanto,
stando simili premesse.
Tutto questo insieme di pensieri poetici dello Spartà è
sorretto e strutturato da un robusto e lucido edificio linguistico, costruito e
organizzato con sapiente dosaggio di immagini, di metafore, di allusioni, di
rinvìi, di ritorni e di fughe nel tessuto verbale. La leziosità, talora pure presente, in
genere cede il posto alla compostezza espressiva, alla nudità
semantica del segno linguistico,
all'essenzialità pur
nell'impetuosità delle sequenze poetiche.
Concludo con un pensiero: se al
vertice di ogni cosa c'è l'amore per il Creatore e il suo
oggetto creato (Unità e Divisione Divina), la poesia,
quella vera, pub diventare un potente veicolo di aggancio dei cuori
per elevarli a respirare il silenzio palpitante delle vette e di là dialogare
con occhio più puro con la terra sottostante, il verde dei prati, lo scorrere
dei fiumi, l'uomo che soffre e muore, il misterioso scintillio dell'universo e
delle sue stelle. Qui la voce diventa parte di quel Tutto, armonia nel
canto polifonico degli Esseri di luce, come tale guida nella notte del
tempo. Don Spartà è una di queste comete. E tutti possiamo esserlo, se lo vogliamo.
(Relazione tenuta su don Santino Spartà, San Severo,
Associazione Culturale "Lo Scrigno", 23 aprile 1997)
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