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Il 1968 PDF Stampa E-mail
Mentre scrivo siamo ancora nel 1998, a circa trent'anni da quel fatidico 1968. Era allora il tempo delle grandi speranze aperte alcuni anni prima da PAPA GIOVANNI XXIII con il Vaticano II (inaugurato "come primavera della Chiesa con­tro i profeti di sciagure"), del sogno americano della NUOVA FRONTIE­RA kennediana, del disgelo nell'U­nione Sovietica di KRUSCEV, della fraternità fra le razze predicata da M.L.King. Molti di quei varchi lumi­nosi furono improvvisamente chiusi da morti naturali (PAPA GIOVANNI), dal sangue versato da M. L. King e dai fratelli KENNEDY (JOHN E ROBERT), dalla stagnazione gelida seguita nell'era di BREZNEV. Sor­sero, allora, i nuovi "maestri" a dare una forza a quella spinta di rinnova­mento della politica e dell'azione: fra questi il principale fra tutti fu il filosofo HERBERT MARCUSE, della Scuola di Francoforte (insieme a TH. ADORNO, J.HABERMAS e W.BENJAMIN), trasferitosi nel frat­tempo negli Stati Uniti. MARCUSE scriveva ne L'UOMO A UNA DIMENSIONE che il progetto-vita sarebbe fallito se il tutto si fosse ridotto alla sola espressione economica, ignorandone quel­la interiore. Il tutto doveva poggiare, secondo Marcuse, sull'appporto degli intellettuali e degli studenti, avendo la classe operaia esaurito il suo compito.
In questo contesto di fermenti culturali si svluppò da una parte, con l'elaborazione dela Teologia della Liberazione in Sud America (Boff, Gutierrez), un insieme di studi tendenti all'incontro fra il Cristianesimo e il Marxismo e dall'altra in Cina s radicalizzò l'idea d un comunismo puro con la Rivoluzione Culturale ispirata a e da Mao Tse-Tung. Sulla scia di tutto questo, e in seguito alla ricerca di una evoluzione del primo centro-sinistra che poi porterà al "compromesso storico" (incontro fra DC e PCI), in Itala sorgono le prime "Comunità di Base" nelle quali si cerca di coniugare la Fede con la politica. Famosa è stata quella dell'Isolotto di Firenze (don Enzo Mazzi), come anche ben nota rimane l'esperienza condotta allora avanti dalla Scuola di Barbiana (Firenze) di don Lorenzo Milani a favore dell'istruzione attiva da offrire ai più poveri. Sue sono le opere: Lettera a una professoressa, Esperienze pastorali, L'obbedenza non è più una virtù. Sindaco del capoluogo toscano in quel periodo era il piccolo-grande Giorgio La Pira, apertamente schierato a favore dei lavoratori.
Negli USA (Berkeley, California) da qualche anno era sorto un grande movmento avverso alla guerra in Vietnam e in favore della pace, con la nascita della cosiddetta "beat generation" (hippyes, frebies, le "comuni") con i loro "profeti" (J. Kerouac, A. Ginsberg:::). In Itala questa "moda" prese il nome di "capelloni". Non poco qui influirono alcune esperienze musicali come quelle dei Beatles e dei vari gruppi che nacquero in quegli anni (Rolling Stones...) e di alcuni cantautori che ne furono il simbolo (fra tutti Bob Dylan).
Quello è stato anche il periodo delle lotte per il femminismo (A. Faccio) e quelle che porteranno all' approvazione delle leggi sul divorzio e l'aborto.
Da queste premesse, fondamentalmente basate su un bisogno di giustizia e di libera crea­tività, presero l'avvio la PRIMAVE­RA DI PRAGA (con DUBCEK. SVOBODA, HAJEK e il giovane martire JAN PALACH: comunismo dal volto umano), il MAGGIO FRAN­CESE, le rivolte studentesche a Berlino (Daniel Cohn-Bendit), l'Autunno sindacale italiano e il grande Movimento studentesco che fece sentire il suo peso a livello mondiale. Il motto era: "E' vietato vietare".
In Italia le prime avvisaglie si avvertirono già dal 1966 con il pungente giornalino d'Istituto del Liceo Parini di Mlano "La Zanzara" (a San Severo "L'Ape" del Liceo Scientifico, il cui Direttore era chi scrive) e con le occupazioni da parte degli studenti dell'Universtà Cattolica di Milano (17 novembre 1967) e del Palazzo Campana a Torino (27 novembre 1967). L'anno successvo il Movimento dilagò in tutte le città d' Italia (Bologna, Pisa, Firenze, Roma...) e interessò non solo le Università ma anche gli Iatituti Speriori: in alcuni casi non mancarono scontri anche violenti con la polizia, come a Valle Giulia a Roma presso la sede della Facoltà di Archietettura. Molte furono le conquiste sociali conseguite in quel periodo, perché senza lotta a nulla si pervie­ne: questo almeno insegna realisti­camente la storia.
Numerose, però, furono anche le delusioni, perché le maglie vischiose della politica e l'asservimento ad essa della cultura tutto amalgamarono in una oppri­mente "normalizzazione", sicché nessuno spazio più si concesse alla sana utopia, che poi non è altro che il grido di riscatto che sale prepo­tente dal cuore dì ognuno. Diversi, allora, si rifugiarono nel privato, altri imboccarono tristemente la via della lotta armata, non pochi si lasciarono ammaliare dalla sirena del potere, integrandosi completamente in esso, la "primavera praghese" morì soffocata dai carri armati sovietici.
Il 1968 fu un momento di grandi passioni ideali e di accesi dibattiti, talora forse un po' confusi, ma cer­tamente rivelatori di un profondo malessere e della conseguente voglia di vivere e di lasciare di sé una traccia nella storia. Grandi responsabilità incombono sulla coscienza di chi li ha uccisi e quello che ne è seguito dopo (terrorismo, stragi, "misteri di Stato" rimasti irri­solti, grigiore, caduta verticale dei valori, pragmatismo esasperato e diffuso disagio esistenziale) ne è stato il drammatico segno.
Cosa è rimasto oggi di tutto quel passato cosi intensamente vissuto? Innanzitutto un grato e commosso ricordo stampato nella memoria, ma soprattutto la coscienza di aver compiuto un po' del proprio dovere. Poi ciascuno si è ritagliato una stra­da da seguire nel percorso della pro­pria esistenza, in piena libertà, ben consapevole di tro­varsi in una giun­gla di egoismi da dissodare, attento a non essere risuc­chiato dall'omolo-gante conformi­smo, vigile al ten­tativo ogni giorno posto in atto per non farsi catturare da strumentaliz­zazioni di vario genere: una presen­za certamente scomoda, spesso non pagante, frequentemente incompresa e avversata, ma alme­no soddisfatta per non aver tradito o distrutto la propria identità.
Verrà un giorno, per dirla col MANZONI, in cui la storia sarà rilet­ta con altri occhi e da altre menti ben più aperte e, certamente, un giudizio positivo sarà allora emes­so: ma non è questo che alla fin fine poi più interessa. Quello che conta­va e conta e l'essere stati dignitosa­mente fedeli a se stessi: su questo non c'è e non vi sarà alcun penti­mento. Se il vivere è una scommes­sa irripetibile, penso sia valsa e valga ancora la pena, nonostante l'attuale mare di vuoto dilagante e le tante forme spesso insignificanti di aggregazione giovanile, continuare a non far morire la speranza del cuore. Al realismo opportunista dei furbi ("quel popolo che agisce come tante pecore in un solo gregge" di cui parlava I. MONTANELLI al TG-2 del 12.12.1998) occorre saper con­trapporre sempre la forza della fede nella possibilità di un disegno diver­so: la sfida, quindi, è ancora aperta e in atto, se al credersi mai biso­gnerebbe sacrificare indecorosa­mente l'essere.


 

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