Una beffa del destino, una vita perduta, negata o
semplicemente ritrovata? Dinanzi a una domanda di questo genere si rimane, come
in un gioco degli specchi, sempre
perplessi, muti, quasi vinti e comunque
con un carico sospeso di interrogativi spesso senza risposte. Talora
scoppia la rabbia nel vedere una giovane esistenza spezzata nel fiore degli
anni e tutto si farebbe per impedirlo. Purtroppo, però, non è così. Malgrado
tutto, si è costretti non molto di raro, anzi in questi ultimi tempi con
maggiore frequenza, a essere passivi e impotenti testimoni davanti a questa
umana terrena tragedia. Chi scrive ne conosce personalmente tanti di questi
casi. E allora mi sono chiesto: perché questa assurdità? Una risposta dovevo
pur darmela, dal momento che non credo affatto nella accidentale casualità.
Questa penso di averla trovata nel cercare una soluzione a una serie di
considerazioni: il mistero del vivere, il ruolo di ciascuno nella storia,
l'essere e la funzione di un giovane che non c'è più, la condizione dei
sopravvissuti.
Il mistero del vivere.
Nello svolgimento della vita una logica sembra non esserci. Non si può
progettare troppo a lungo nel tempo, perché spesso ogni disegno o si sfalda o
si frantuma o è costretto dagli eventi a essere forzatamente modificato. Ci
sono troppi imprevisti, molti episodi che sfuggono al controllo, numerosi
condizionamenti che impediscono un fluire lineare e continuo delle cose.
Piangono frequentemente i poveri, ma anche i ricchi non sono immuni dal
soffrire. In giro tutto sembra essere precario, anche lo stesso esistere:
quante volte quest'ultimo dipende dalla più o meno folle volontà degli altri o
dalla cosiddetta fortuità assolutamente imponderabile! In tutto questo quadro
di incertezza e di insicurezza non meraviglia, allora, che, seppur contro ogni
forma di razionalità e sovente senza apparenti moventi se non la ricerca di
forti emozioni, anche una vita giovane possa essere improvvisamente troncata.
Il mistero di tutto ciò ha, però, una spiegazione? Io penso di sì, ma occorre
cercarla al di là del visibile: niente si spiega con se stesso (K. Gődel), come
il significato del vivere lo si può scoprire solo al suo cessare (L.
Wittgenstein). È fuori, dunque, dal personale spazio-tempo che si può "leggere"
il "filo conduttore" che lega i vari frammenti della realtà: e questo è
molto sottile e solamente occhi acuti
ed esperti possono in qualche modo riuscire a intravederne la sagoma. Anche la
scomparsa di un giovane, se inserita in questa metavisione del reale, può
acquistare un suo senso. Ma è una cosa difficile da accettare, specialmente da
parte di chi è stato colpito direttamente da questa lacerante ferita dovuta
alla soppressione di una componente di
sé, come può essere appunto un figlio giovane. La vita, purtroppo, allora
cambia e per sempre: in positivo se si riesce a trovare una risposta; in
negativo se ci si lascia prendere dalla rassegnata, subita e non ribaltabile
realtà dei fatti o, peggio, dalla disperazione.
Il ruolo di ciascuno nella
storia. Ogni essere umano non è inutile, ma fa parte di un grande
progetto nel quale deve, o dovrebbe, giocare un proprio ruolo, che è unico,
originale, insostituibile e indelegabile. Tale scopo è ovviamente tutto da
scoprire e ognuno avrebbe il compito di farlo. Per i più esso consiste
nell'assolvere le funzioni naturali dell'alimentazione, dell'innamoramento, del
matrimonio, della procreazione di figli e della loro futura sistemazione
economica. Questo è più che legittimo, ma non è sufficiente. Si dimentica
troppo spesso l'area dell'apertura alla socialità, alla promozione di valori e
della civiltà, a saper "guardare" oltre il contingente. La chiusura
nella ristrettezza dei propri personali confini produce utilità limitata per sé
e per gli altri e soprattutto uno sciupio del vivere, che di sé non lascerebbe
non solo traccia ma neanche un colore che sappia di significatività. Una volta
un simile impegno nell'amministrare con saggezza e intelligenza la propria
esistenza veniva chiamato "missione" o "vocazione": tale
terminologia oggi sembra essere diventata desueta e, a causa di ciò, tante vite
risultano con il presentarsi alla fine opache, sprecate e quindi fallimentari.
E allora qual è la verità della propria presenza temporanea sulla terra? Io
credo che si possa sintetizzare nella "responsabilità per sé e per il mondo"
(V. Havel), cioè illuminando sé e gli altri, sforzandosi di "crescere"
internamente e aiutando anche gli altri con l'esempio e la parola a farlo per
proprio conto. In questo composito mosaico ognuno è necessario e, se viene meno
il personale apporto di fede e di speranza, l'intero sistema ne risente. Allora
non stupisce più se troppe cose non vanno per il loro verso giusto: l'armonia
globale in qualche modo è stata come frenata dalla lentezza di una sua parte.
Questo è il dono del tempo: imparare a scoprirne il senso profondo, anche nel
dolore, e saperlo valorizzare ai fini di una evoluzione spirituale di sé e di
tutti.
L'essere e la funzione di
un giovane che non c'è più. Quando un giovane viene meno, per qualsiasi
causa ciò accada (anche per noia o per orribile divertimento), si crea sempre un immenso vuoto e nessuna elaborazione
puramente culturale può riempirne l'abisso che si è spalancato: è come se una
fiamma di energia vitale si venisse a spegnere e attorno ci si senta più
freddi, poveri e orfani. Eppure niente avviene a caso. Un motivo che vada al di
là del fatto luttuoso dovrebbe pur generare un barlume di giustificazione.
Questo, purtroppo, non può essere rintracciato all'interno dell'evento stesso,
perché inaccettabile e assurdo per la ragione. Allora occorrerebbe allargare un
po' di più la vista e osservare con maggiore attenzione la condizione umana,
per sua natura precaria, provvisoria e destinata, prima o poi, ad abbandonare
il teatro di questo mondo. Una giovane vita che se ne va, pur costituendo una
ferita difficilmente rimarginabile, è vero che lascia il suo involucro fisico,
ma è anche vero che man mano che quest'ultimo si consuma tanto maggiormente si
potenzia quello psico-spirituale. Sicché all'esuberanza materiale svuotata con
la morte si sostituisce un altrettanto ampliamento di quella mentale. Quindi il
giovane si "trasforma" in un potente "Essere di Luce", ma a me
piace chiamarlo Angelo di Luce, e si sa che questa tende a illuminare, a
dare calore e colore diversi
all'esistenza. Tale "Essere-Angelo di Luce" si pone al servizio
dell'umanità errante (il modo ci sfugge), in maniera misteriosa l'aiuta a
procedere meglio nel proprio pellegrinare e a scegliere con più sapienza
selezionando l‘essenziale dal banale e dal transitorio: in fondo la meta non è
il cimitero, ma qualcosa d'altro che supera la barriera del sensibile. Un
giovane che va via, proprio perché evento non scontato, è come un improvviso
shock per ricordare questa verità, non sempre bene percepita e tenuta presente,
presi e immersi come si è nel vortice di una velocità stressante ma anche nelle
maglie che imprigionano e inchiodano pensieri, fantasia e aspirazioni al solo
terreno. Sarà duro questo discorso, ma è così. Il giovane "Essere-Angelo di
Luce" diventa, allora, una sorta di Profeta e di Testimone,
che in qualche maniera, portato a termine il proprio percorso vitale, è come se
volesse ricordare anche ad altri, non solo suoi coetanei, che la dimora-casa
stabile non è quaggiù e che l'esistenza è un qualcosa di diverso ed Egli
contribuisce a illuminarne l'ultimo senso
con la sua "apparente assenza": anche il silenzio parla! La sua
funzione principale è quella di stimolare tutti a andare oltre i confini di se
stessi per scoprire gli autentici orizzonti del vivere. Qui la ragione si ferma
e viene superata dalla Fede, dalle esperienze paranormali, da un salto
intuitivo più coraggioso verso piani di
esistenza superiori, certamente non più finiti e limitati ma in continua
espansione in quanto a Conoscenza e Amore. Questo è l'invito che
il giovane Essere-Angelo di Luce intende rivolgere a tutti.
La condizione dei
sopravvissuti. Indubbiamente questa non è delle migliori né di quelle
più auspicabili, anzi! Lo scacco a un progetto personale e/o familiare di vita,
per la scomparsa di un giovane, è troppo forte e pesante per essere assorbito
e, in verità, non lo sarà mai. Il tempo in qualche modo potrà lenire il bruciore della separazione, ma
questo resta e anche vivo e dolorante
nella mente e nella carne dei sopravvissuti. Perché, allora, proprio in quella
realtà umana e non in altre?
Francamente qui nessuno può dirlo con chiarezza e certezza: resta solo
un diffuso, spesso e buio mistero. L'urgenza di sciogliere il bandolo della
matassa, cioè del "voler sapere" e del "desiderio di capire" si
scontra il più delle volte con la constatazione della inspiegabilità e
soprattutto della inaccettabilità. In questi casi il rifiuto della scomparsa
può darsi, dico può darsi, sia motivato dal fatto che un giovane che va via e
una famiglia che resta, per tanti "segni", illuminata dalla sua "presenza"
è perché questa è chiamata a essere in qualche modo a sua volta testimone dell'
Altro e dell'Oltre: e la sua testimonianza, proprio perché
radicalmente sofferta, diventa quanto mai credibile agli occhi della realtà
umana circostante. Ma è un duro processo questo e non sempre prevedibile nei
suoi risultati! Solo chi si sforza non dico di capire ma di "vedere"
arriva a questa conclusione, suffragata peraltro da tante esperienze di
frontiera: il
figlio-marito-fratello giovane prematuramente scomparso è Vivo,
Presente, Vicino in una forma di esistenza contigua e parallela e con una
modalità più "vera" e amorevole di prima. E sprona a essere forti, a
sperare, ad affrontare in pienezza e più saggiamente il tempo e quanto in esso
è contenuto o da esso è prodotto. Questo Essere-Angelo di Luce ha
compiuto la missione nel suo ciclo terreno, ha lasciato una traccia da seguire,
invia continuamente segnali, talora tangibili e spesso impercettibili, che
andrebbero solo colti e "riletti" nel segreto della propria coscienza. È
come se volesse dire: non guardate alla porta che si è chiusa ma piuttosto a
quella che si è aperta; oltre quella ci sono Io ad attendervi, perché Là è la
Patria di tutti; non temete, Io vi ho solo preceduto; per il momento siate luce
per voi e per gli altri; Io ho lasciato ogni cosa, compresa quella più preziosa
che è la giovinezza, e questo accadrà anche a voi, però ho trovato la Risposta,
cioè il Tutto; è qui che riannoderemo il senso autentico del nostro esistere.
Io credo che questo sia e voglia
essere il messaggio che il giovane scomparso comunichi ogni giorno ai propri
cari: è come un invito a oltrepassare i confini troppo contraddittori della
materialità e ad aprirsi a quelli più consistenti della spiritualità. In fondo
il giovane che se n'è andato è figlio di genitori in quanto a corporeità, ma
figlio di Dio in quanto ad anima. E Lui ha voluto richiamarlo a Sé, perché il
suo compito continui a esprimersi in maniera
più incisiva e universale.
Mi rendo ben conto che questo non
è un orizzonte di sempre facile comprensione, ma è quello che questi Esseri-Angeli
di Luce intendono indicare.
Su questo così delicato
argomento, il cui ricordo riacutizza in molti una sensibilità ancora
sanguinante, per discrezione e rispetto di più non si può e, forse, non si
deve dire!
(Da Il Giornale dei Misteri, gennaio 2008)
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