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Diceva Albert Einstein: "È del tutto
possibile che oltre la percezione dei nostri sensi si nascondano mondi a noi
ignoti". Credo che sia lecito e possibile proiettare lo sguardo sulla natura e
consistenza dell'Aldilà, argomento per il quale le varie religioni, le
esperienze mistiche, quelle di pre-morte e di transcomunicazione offrono un
materiale ormai abbondante di dati e di sollecitazioni. So che m'inoltro in un
sentiero impervio e nel mistero più affascinante dell'esistenza, ma un tentativo
è doveroso farlo, avvertendo sempre che si ha a che vedere con una dimensione
"diversa" di vita, che, seppur sconosciuta, è pur sempre, al dire di Prince, "il
nostro prossimo mondo". Dall'indagine viene fuori una possibile realtà
tutt'altro che conturbante o soltanto fantasmatica, ma radiosa e piena di
elementi che non solo illuminano il destino dell'uomo ma che arricchiscono
enormemente le nostre più profonde aspettative.
La fede nella sopravvivenza
è sempre stata praticata dall'uomo, che l'ha poi trasferita nella religione,
nella mitologia e nella filosofia: a questo proposito basta ricordare il Fedro e
il Fedone di Platone. La morte è la fine di un certo tipo di "ordine", quello
organico (fenotipo) con tutte le funzioni a esso connesse (nervose,
respiratorie, circolatorie...). Ma è anche la fine della "coscienza" umana? Una
coscienza, che ha voglia naturale, e quindi tendenziale, di immortalità, può mai
avere autocoscienza della propria fine? Non sarebbe una contraddizione? O la
coscienza è da identificarsi esclusivamente con le funzioni cerebrali e i loro
infiniti riverberi neuronali (cento miliardi di cellule nervose, con circa 2000
possibilità di collegamenti fra l'una e l'altra), sicché, distrutti i secondi,
anche la prima scomparirebbe? O, forse, con i soli meccanismi biochimici e
biofisici (Riduzionismo), peraltro messi in discussione dalle osservazioni dei
Premi Nobel E. P. Wigner e P. Jordan, secondo i quali esiste una "coscienza"
nella produzione dei fenomeni anche fisici?
La diversità riscontrata
nell'organizzazione funzionale dei singoli cervelli umani è solo dovuta a
fattori genetici, molecolari e ambientali? In situazioni di sostanziale
uguaglianza in simili fattori, come mai tale "diversità" sussiste e anche in
maniera sensibile? Come si spiega, d'altro canto, il pensiero creativo?
Solamente, forse, con la riorganizzazione dei dati archiviati o con
un'improvvisa e imprevista illuminazione? Da dove proverrebbe quest'ultima? E la
libertà? C'è, allora, un "quid" (lo si chiami anima, psiche, spirito, Io,
intelligenza...non importa) che presiede alla formazione di tale strutturazione
funzionale, conferendo un'identità inconfondibile a tale diversità? In realtà,
al dire di G. M. Edelmann, nonostante la presenza di "mappe cerebrali" tra loro
correlate da fibre di "neuroni rientranti", ogni cervello è individuale, unico e
irripetibile non tanto nelle sue funzioni, quanto nei suoi
"prodotti".
Non sembra convincente il ragionamento portato avanti dai
sostenitori della neurobiologia (cfr. F. Crick e C. Koch, Il problema della
coscienza, in "Le Scienze"-Quaderni, 82-1995-90/5), secondo i quali il fatto
"coscienza" si spiegherebbe con le sole correlazioni fra le varie reti di
neuroni (memoria profonda e superficiale: luogo della coscienza). Non escludo
che questa, come tante altre, possa essere una delle "modalità" esplicative
della mediazione cerebrale, ma resta sempre da chiedersi: "perché così" e
soprattutto "chi" organizza quel "particolare" ordine di informazioni, tipico di
ogni individuo? È, forse, il caso? Mi sembra improbabile, riduttivo, poco
scientifico e certamente fuorviante parlare di una "diversità" casuale, che non
riguarderebbe solo qualche dettaglio, ma elementi sostanziali e complessi, come
i pensieri, i sentimenti, i desideri, i comportamen,ecc.A questo punto mi sembra
stimolante quanto prospettato dalla Meccanica Quantistica, secondo la quale
nulla vi è di deterministico, ma solo di probabile, sicché, e mi rifaccio in
questo alle ipotesi di J. Eccles e R. Penrose, la coscienza è una sorta di
"salto quantico", imprevedibile, dotato di una certa "libertà" creativa di
fenomeni, assolutamente indipendente dal determinismo delle semplici interazioni
neuronali. A tale proposito afferma Roger Penrose, il celebre matematico di
Oxford: "Le nostre menti lavorano in un modo che non è computazionale...Ci
troviamo di fronte a qualcosa di non riducibile alla fisica odierna. Voglio dire
che ci sono buone ragioni per credere che la coscienza sia al di fuori della
fisica che conosciamo" (Repubblica, 12/03/2002, p.37). Siamo cioè di fronte, per
dirla con Eccles, a "psiconi che dialogano" e selezionano informazioni
provenienti dai neuroni (archivi o dati), organizzandoli poi in un sistema
unitario di conoscenze finalizzato al proprio sviluppo cognitivo e operativo.
Siamo, in altre parole, davanti a una realtà programmata in codice, secondo la
"logica" di un "programmatore" intelligentissimo ("Io codificato
nell'informazione genetica": Alain Connes, matematico), sicché a spiegarne le
funzioni non può essere né la meccanica né l'elettronica ma la "fotonica" e la
"logonica" (=Scienza dell'Informazione). Alla morte della "corporeità somatica"
segue la vita della "corporeità fotonica" (secondo la nota equazione di
Einstein), perché il genoma è immortale, come il DNA (=luogo delle
informazioni). Conseguentemente, con A. Turing, il dualismo mente-cervello, come
voleva Cartesio. diventa insostenibile: del resto questo affermano, anche se
sotto altre prospettive, l'informatica di Shannon e la cibernetica di
Wiener.
Allora è ipotizzabile un'esistenza autonoma della coscienza: questa
non "muore", dissolvendosi, con la scomparsa dell'ordine organico.
Queste sono domande cruciali e fondamentali. Unendo insieme tutta una
serie di "indizi", si è indotti a credere in un Aldilà, luogo dove la coscienza
esprime e realizza la sua autonoma esistenza. Giustamente fa notare L.
Wittgenstein: "La risoluzione dell'enigma della vita nello spazio e nel tempo è
fuori dello spazio e del tempo" e, con altre parole, lo stesso precisa: "La
risoluzione del problema della vita si scorge allo sparire di essa". Niente,
cioè, si può spiegare con se stesso, quindi neanche la coscienza con le sue
esigenze di immortalità e questa, secondo Platone, per due motivi: perché
l'anima è "prigioniera del corpo e poi perché i sensi possono ingannarci". La
risposta agli interrogativi, dunque, è da situarsi "altrove", in quel
ragionamento analogico basato sul ricomporre in una unità di pensiero, e quindi
di conclusione, ciò che solo apparentemente si presenta slegato: e qui ritorna
il discorso sugli "indizi" e sul lavoro intuitivo, mediante il quale i vari
"segni" (e, nel nostro caso, ce ne sono veramente tanti) riacquistano forma e
figura e vanno a creare il mosaico della conoscenza. D'altronde quante volte
anche nell'attuale condizione terrena di vita si procede così, a partire dai
rapporti interpersonali e sociali per finire ai sondaggi demoscopici o nel
marketing, come, per altro verso, lo stesso K. Gödel, nel suo famoso teorema,
parla dell'esistenza di realtà indimostrabili, a condizione, però, che, per
provarle, si faccia ricorso a linguaggi non ad esse interni.
La
sopravvivenza, allora, è postulata da una serie di esperienze (escluse
naturalmente quelle fondate sulla frode), sulla cui veridicità nutrire dubbi è
legittimo perché alla base della scienza, ma è anche vero che l'evidenza e la
concordanza dovrebbero indurre a un minimo di prudenza nei giudizi. Del resto,
perché si ammette anche da parte della scienza la complessità del nostro essere
e poi si nega dalla stessa la possibilità di altri ambiti della medesima
complessità, come quella appunto della sopravvivenza? Non sembra una posizione
pregiudizialmente difensiva, perciò ingiustificabile e preconcetta? In queste
cose un po' di umiltà non farebbe male!
Da alcuni anni a questa parte il
mondo dell'invisibile sta restringendo e avvicinando sempre più i suoi confini,
diventando ogni giorno più visibile: il cannocchiale, il telescopio, il
radiotelescopio, la radio ricevente, i Rx, la TAC, la Tomografia a Emissione di
Positroni (TEP), il microscopio elettronico, l'acceleratore di particelle e
tutte le altre apparecchiature elettroniche stanno squarciando il velo di Maia
delle grandi come delle piccole dimensioni. Non parliamo poi dell'annullamento
di tempi e distanze attraverso l'informatica (Internet) e la telematica.
S'immagini che il nostro orecchio può percepire solo onde della lunghezza
compresa tra i 17 m e i 2 cm, mentre il nostro occhio può spaziare fra onde
luminose della lunghezza espressa fra i 0.4 e i 0.8 , una radio ricevente capta
onde fra alcuni centimetri e molti metri. C'è ancora tanto, quindi, da scoprire
e "vedere" ancora. Scrive J. Ratzinger nel suo libro-intervista "Dio e il
mondo": "Dalle forze che non possiamo vedere e le cui azioni però avvertiamo,
traspare il fatto che il mondo va ben oltre la portata del nostro sguardo, oltre
quanto ci rivelano i fenomeni sensibili".
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