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La disabilità psicofisica, comunque la
si voglia definire (diversa-abilità, handicap,ecc.), in ogni caso è,
clinicamente parlando, l'assenza di una compiutezza che può esplicitarsi sia a
livello strettamente fisico (patologie varie) che a livello mentale (minorazioni
di vario tipo) ed emotivo-comportamentale (diversità, tossicodipendenze,
aggressività accentuate, psicopatie, disturbi dell'umore...).
È chiaro che di questi casi va fatta innanzitutto una diagnosi precoce, precisa
e attenta per stabilire poi un adeguato protocollo d'intervento, che dovrà
prevedere, oltre a un apporto terapeutico di natura farmacologica, anche e,
forse, soprattutto uno di natura psicologica. Non si dimentichi mai che ci si
trova dinanzi non a delle malattie da curare ma di fronte a persone portatrici
di uno stato di sofferenza, che va comunque alleviato in tutte le sue varie
sfumature e componenti. Si sa che questo incrina l'equilibrio della persona,
indebolisce la reattività dell'Io, crea delle sfasature sul piano affettivo e
conseguentemente anche operativo. È dunque sulla possibile ricostruzione di
questa complessità ferita che occorre intervenire con competenza, umanità e,
perché no, anche con una grande e disponibile apertura di
cuore.
L'intervento psicologico-clinico sostanzialmente può essere
ricondotto a tre ambiti generali e fondamentali:
1. quello rassicurativo e di
accettazione in un contesto di empatia sincera;
2. quello
ricostruttivo delle varie parti lese o destrutturate della
personalità;
3. quello dell'attivazione delle forze-risorse positive
alle quali il soggetto può far ricorso per affrontare con fiducia la sua vita.
Certamente un insieme di stimoli luminosi derivanti dalla fede religiosa non
guasta, anzi.
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