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In ogni società, avanzata o meno che
sia, l'istruzione è un bene inalienabile e quindi un diritto, il cui esercizio
dovrebbe essere consentito e garantito a tutti senza distinzione di razza,
condizioni socioeconomiche e soprattutto di salute psicofisica. Se una
preferenza e un'attenzione particolari vanno prestate, queste andrebbero date a
chi per nascita, traumi o altre cause accidentali tale accesso se lo vede
inesorabilmente precluso. Per fortuna nei Paesi occidentali questa possibilità è
stata codificata anche legislativamente, come in Italia con la Legge n° 104 del
5.02.1992, ma in quelli meno sviluppati il problema esiste e in maniera anche
grave.
Un altro aspetto che occorre tenere ben presente è che l'integrazione
universitaria e sociale del portatore di handicap è spesso un vantaggio anche
per la stessa cultura e la medesima società. Chi non conosce il grande
contributo dato alla scienza dal fisico e cosmologo inglese Stephen Hawking,
professore all'Università di Cambridge, paraplegico dall'età giovanile, o dal
matematico americano John Forbes Nash jr, Premio Nobel nel 1994, che ha vissuto
il devastante dramma della schizofrenia (psicosi bipolare maniaco-depressiva),
dal matematico italiano Renato Caccioppoli, che pose termine ai suoi giorni, e
alle sue sofferenze, purtroppo con il suicidio nel 1959, o dallo stesso
Presidente americano Franklin Delano Roosvelt, che, paralitico su una sedia a
rotelle, guidò la sua nazione e il mondo libero alla vittoria sul nazismo? Non
parliamo poi dei Van Gogh, Schuman e Ligabue, notoriamente affetti da
schizofrenia. Questi sono solo alcuni esempi di menti geniali, che, pur
prigioniere di un corpo imperfetto, hanno saputo diffondere una luce di speranza
e di conoscenza, alla quale oggi tutti possono attingere.
Quando si
parla di integrazione si afferma un diritto da estendersi fino ai più alti gradi
del sapere e della gerarchia sociale o, perlomeno, della propria piena
realizzazione umana, senza condizione alcuna o pregiudizi di qualsivoglia
natura: in una comunità che si definisce civile tutti hanno diritto di parola e
di cittadinanza; ognuno ha una funzione da svolgere o qualcosa da insegnare o da
dare e questo in alcuna maniera va represso, ignorato o, peggio, deriso. Se a
queste ragioni aggiungiamo anche la prospettiva della Fede, allora occorre dire
che il sofferente non è solo l'immagine di Cristo nel tempo ma Cristo stesso,
che può ancora salvare il mondo, perché, purtroppo, senza dolore non c'è presa
di coscienza del "senso" del vivere né quindi possibilità di riscatto
spirituale: il "segnato" da una croce psicofisica potrebbe essere, se
riconosciuto, accettato e rispettato un elemento "positivo" per il progresso del
genere umano e un "testimone" del vero, specialmente oggi in cui il valore della
vita e dell'esistere sembra essere stato soffocato dalle cieche e tiranniche
esigenze della tecnologia e dell'economia. Questo, però, non vuol significare
che il crocifisso debba rimanere sempre tale: anch'egli ha diritto a una sua
risurrezione o almeno a un aiuto. Non a caso, dal momento che ci troviamo in
questo luogo, il Beato Padre Pio ha voluto chiamare il suo ospedale "Casa
Sollievo della Sofferenza", intendendo per essa un "tempio di preghiera e di
scienza" e un "centro di studio intercontinentale" (Cfr: Copia Pubblica degli
Atti del Processo del Servo di Dio Padre Pio da Pietrelcina, Raccolta 34, volume
LXXX, pp. 80-85).
Ma cosa è l'handicap e quali sono le principali
strategie da seguire perché chi ne è portatore possa sentirsi un "normale"
fruitore di ogni bene della natura, della storia, della cultura e della società?
È quanto esporrò brevemente nelle seguenti
riflessioni.
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