L'ineludibile dilemma
Sostanzialmente l'uomo più o meno
consapevolmente tende a una duplice meta: voler conoscere tutto senza le ombre
del dubbio e vivere pienamente felice in ogni fibra del proprio essere, cosa
quest'ultima che in fin dei conti s'identifica con il contemplare e l'amare per
sempre la Bellezza, come rapiti e inglobati da questa potentissima forza
magnetica.
Tutto il resto è un girare attorno a questi due poli che s'integrano
armonicamente fra di loro: in fondo la Bellezza è sempre frutto di una scoperta
da parte della Conoscenza. C'è da dire, però, che nell'attuale condizione umana
condizionata e legata strettamente ai limiti dello spazio-tempo queste due
sponde vanno raggiunte "camminando", affrontando cioè la faticosa "salita" della
montagna della Luce e selezionando con prudente e accorta intelligenza
l'essenziale dall'effimero, il vero dal falso, il significativo dal banale, il
nobile dal volgare, insomma ciò che "vale" da ciò che è vuoto. Qui entra
necessariamente in gioco il dilemma "rinuncia-scelta", cioè
morte-vita, nulla-tutto, sensi-spirito, paura-fortezza interiore,
ignoranza-saggezza. Si rinuncia, e si deve rinunciare, non per una ragione
sadomasochista ma sempre in vista di una scelta superiore, si accetta la croce
cioè non in quanto valore in sé ma perché preludio alla resurrezione, si dice un
"no" al piccolo ma per aprirsi con un gioioso "si" al grande: questo passaggio
costa e non poco, ma è indispensabile se non si vuole rimanere prigionieri di
ciò che non è né Conoscenza né Amore.
Entrando nel dettaglio, a cosa
bisognerebbe "rinunciare" e cosa invece occorrerebbe
"scegliere"?
Innanzitutto c'è da dire che la prima e generale
rinuncia è a quello che si chiama comunemente "male" nelle sue varie espressioni
sia di natura spirituale che materiale. Il male è ciò che non fa crescere, che
deturpa la coscienza e la vita, che ferisce e offende la propria e l'altrui
dignità, che fa violenza alla giustizia e alla libertà, che distrugge qualunque
forma di bellezza e di armonia. E qui potrei esemplificare con alcuni
comportamenti concreti: la superbia, la sopraffazione, la furbizia e la slealtà,
lo stupro e la pedofilia, lo sfruttamento e l'omicidio, l'inciviltà e
l'illegalità, l'egoismo e quel vago e indefinito delirio di onnipotenza, la
vanità e il misconoscimento degli altrui diritti, l'odio con le sue
manifestazioni criminali di ogni colore e la non volontà di perdono, la guerra e
la distruzione di vite, beni e città, la gratuita molestia, o peggio lo sfregio,
del bello della natura e dell'arte, ecc. Naturalmente a ciascuno di questi
atteggiamenti si oppone la scelta del contrario, che sinteticamente potrebbe
essere riassunto nelle parole "rispetto per sé, gli altri e il mondo": è
proprio a questo livello che si posizionano i grandi valori della vita, della
voglia di esistere, del progetto e del progresso, del servizio e dell'aiuto
generoso, dell'umile modestia e del senso del limite, della pace e dello
sviluppo posto a disposizione di tutti, della concordia civile e
dell'illuminante e benefica fruizione dei prodotti della mente, del cuore e
dell'ambiente circostante. Sono queste ultime "scelte" che determinano la
crescita qualitativa di una persona, della cultura di un'intera società, con la
positiva conseguenza che si può ancora accedere alla mensa della fede in un
qualcosa, della speranza, del sogno, dell'amore, di un'età adulta sul piano
operativo, della salvezza dall'inverno del buio, della menzogna e della morte
fisica e psichica. Ovviamente, essendo cosa preziosa, ciò implica un costo da
pagare, che poi è quello dell'impegno, del procedere talora anche in solitudine,
del non sostare nel comodo salottino del quieto vivere, del saper guardare il
sole oltre la collina dell'apparente penombra: è alla fine di questo faticoso
percorso che si dischiudono gli ampliamenti negli orizzonti vitali che poi danno
un senso, un respiro e un profumo a questa contorta esperienza
terrena.
Questo è il primo gradino della dicotomia
"rinuncia-scelta".
Poi c'è un secondo più alto, che è
quello costituito dall'ascesi mistica verso il superamento delle proprie
imperfezioni esistenziali, anticipando con questo ciò che sarà il comune
"prossimo futuro". È inutile ricordare o nascondersi il fatto che sulla terra si
è tutti dei provvisori passeggeri, con una morte fisica da non esorcizzare ma da
imparare a saperla "guardare in faccia" (Kierkegaard). Occorre, dunque, pensare
al "dopo", scrivendone in qualche modo alcuni tratti quaggiù. E anche qui mi
limito ad alcune brevi osservazioni. Come prima cosa sarebbe necessario
liberarsi dall'ansia, dalla paura e dall'angoscia, che non sono certamente buone
premesse per intraprendere un cammino sereno verso la Luce, anzi si presentano
non solo come interferenze ma più spesso come blocchi che inchiodano l'individuo
a una determinata sfera evolutiva, impedendogli così di andare e spaziare
"oltre". È una sorta di asfissia interiore che paralizza e inibisce le energie
creative. Questo prelude a una rinuncia senza pentimenti all' eccessivo legame
ai beni materiali, ben sapendo che, pur importanti e talora anche indispensabili
per la sopravvivenza, non si definiscono però come elemento essenziale che dà un
valore alla qualità del vivere, perché transitorio e aleatorio, come del resto
lo sono tutte le realtà inanimate. Un'analoga rinuncia, inoltre, va fatta anche
nei confronti dell'assordante e nevrotico rumore dei giorni, del condizionamento
dagli stessi affetti terreni: la serenità è figlia delle tante pause di silenzio
e non può essere modulata dalla fluttuazione di questi ultimi, ma dovrebbe
essere incisa a partire dall'interno della stessa persona. Infine c'è la
rinuncia alla dipendenza ossessiva dal tempo e dallo spazio, imparando a sapersi
proiettare al di là della logica del contingente, della cultura dominante e del
conformistico appiattimento su usi e tradizioni, da rispettare certamente ma mai
da assolutizzare come verità uniche e ultime alle quali ispirare il proprio
agire. Il risvolto di queste tipologie di rinunce richiama la natura delle
scelte da operare. In primo luogo sono da porre la chiarezza e il coraggio, come
a dire un discernimento attento e selettivo delle vere priorità con la volontà
di deciderne l'applicazione in tempi ragionevolmente non dilatati. A queste non
farebbe male aggiungere un granello di ironia e di sorriso, che mai guastano per
non cadere nell' avventurismo o nel solo freddo calcolo opportunistico. Ciò
prevede l'uso e la pratica della discrezione e della prudenza, fattori
essenziali perché si possa parlare di un'intelligenza sinceramente aperta
all'autentica evoluzione. Da qui origina l'etica della responsabilità, con il
tutto da innestare in un contesto di fiduciosa e tranquilla pacatezza. Questa
modalità di ascesi mistica può essere considerata ancora umana, ma è la
precondizione per quella più alta che s'identifica con l'esperienza
religiosa.
Il terzo gradino è quello che potremmo indicare
come "l'incontro con il mistero". Perché questo avvenga occorrono alcune precise
rinunce che sintetizzo di seguito con qualche indicazione: la distanza dalla
distrazione e dall'apatia, lo scioglimento di qualunque forma di pregiudizio e
di ogni a-priori che favorisca irrazionali chiusure, la rinuncia al dare per
"assoluto e definitivo" di tutto ciò che è conosciuto, il rifiuto al considerare
come certezze ciò che in realtà sono solo resistenze più o meno inconsce sia a
un eventuale cambiamento sia a un conseguente "andare controcorrente",
rimettendo così in discussione sia se stessi che la cultura comunemente
accettata come l'unica e scientificamente credibile. Se queste sono le rinunce,
la scelta è diretta soprattutto verso l'"ascolto". Con quest'ultimo s'intende
sviluppare la capacità di attenzione alle varie vibrazioni suscitate dalla
musica, dalla poesia, dalla bellezza, dall'amore, l'osservazione delle sfumature
e dei dettagli degli esseri che a un orecchio "mentale" parlano, il lasciarsi
sfiorare dal mistero di Dio, dal Suo silenzio, dalla Sua invisibile eppur
palpabile presenza, il saper scoprire cosa c'è oltre il dramma del dolore e il
muro del finito, l'intravedere e seguire le altezze spirituali. Con questo
insieme di scelte si arriva a cogliere il nocciolo dell'esistere, direi a
gustare il genuino "sapore del vivere" e, perché no, il suo vero "ultimo
senso".
Il quarto gradino è quello costituito dalla chiara
e netta distinzione fra ciò che serve solo per sopravvivere e ciò che invece
serve realmente per "Vivere". Questo vuole che si rinunci alla confusione e alla
commistione fra i due piani di esigenze, che, seppur legate e interconnesse,
sono sempre e comunque distinte. Concretamente da un lato ciò esclude la lotta
esasperata, l'uso del sotterfugio per un lavoro, gli egoismi di parte e di
gruppo; dall'altro prevede la pratica della solidarietà, della condivisione,
dell'equità e della fraternità. In questa luce il sopravvivere, non più
configurato come un inquieto girovagare per una giungla pericolosa e piena di
insidie nemiche della persona e della vita, ben si potrebbe coniugare con il
"Vivere", che in ogni caso si colloca a un livello più fine e autonomo
dell'esistere. E qui siamo sul piano della Saggezza e della Santità, come
peraltro è qui che si esprime e si respira il candore della libertà e
l'appagante attuazione della Pienezza del proprio Essere.
Allora: essere
per morire o morire per Essere? La risposta da dare all'ineludibile dilemma non
mi sembra difficile. Si tratta solo di capire bene se si desidera per sé il
non-vivere o il Vivere, il nulla o il Tutto, una breve anche se sofferta notte
alla schiusura di una giornata luminosa, insomma lo spazio che imprigiona o
l'Infinito che riempie di stupore, il tempo che svanisce o l'Eterno che resta.
Il vero problema sta proprio qui, scomodo certamente ma necessario da affrontare
per non fare della propria una inutile pagina bianca mai scritta e finita poi
nell'insignificante dimenticatoio di una discarica. In giro, purtroppo, si
notano tanti fantasmi di vite come fossero mai vissute, come a dire poche aquile
sulle vette dei monti e moltissimi esseri striscianti per terra pronti a
soccombere e a farsi inghiottire da alluvioni, uragani e terremoti.
Io
credo che tutti si è stati creati per la vita, dono prezioso e irripetibile, e
questa andrebbe spesa intensamente giorno dopo giorno, sapendo scegliere con
sagacia le giuste priorità, dopo averle ben selezionate con lucidità mentale, e
scartando senza tanto timore ciò che non meriterebbe alcuna attenzione. Se
quest'ultima è rinuncia, allora ben venga: in fondo è un morire a una notte
senza stelle per abbandonarsi, come in un canto polifonico, all'abbraccio
dell'Immenso e all'avvolgente splendore della propria originale affascinante
avventura.
(da 'Il Giornale dei
Misteri')
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