Recentemente il Papa, riferendosi alle tante assurde vicende umane, ha sollevato
il tema del silenzio di Dio nel presente momento storico. Dio tace, sembra
volgere altrove il suo sguardo paterno, vista la sordità nell'agire di ogni
giorno.
Nel 1997, commentando alla Pontificia Università Urbaniana di Roma la
poesia di don SANTINO SPARTÀ, anch'io accennavo a questo argomento, ma in un
contesto diverso, quello del rumore dell'uomo che gli impedisce di leggere i
palpiti di Dio e a Questi di essere accolto e percepito dalla coscienza in una
sorta di presenza-assenza velata. Da allora si sono aggiunte le poco
diplomatiche, e tragiche, scorciatoie della storia come sono le tante guerre
(non ultima quella annunciata, e sciagurata, contro l'Iraq), il folle e sempre
attivo terrorismo con le mille ferite da esso aperte, gli orrori di devastanti
pulizie etniche, di crudeli massacri che hanno macchiato e macchiano
spietatamente di sangue strade e giardini, di emigrazioni di interi popoli che
disperati fuggono su misere carrette per una briciola di speranza. Per non
parlare dei circa 913 miliardi di euro che ogni anno si investono in spese
militari a fronte dei 30 contro la fame, degli oltre 18 milioni di morti per
conflitti bellici in questi ultimi decenni e dei 2 miliardi di persone che non
dispongono di acqua potabile. Nulla di sostanziale è cambiato: a Dio mancano gli
interlocutori liberi e giusti in grado di ascoltarne la voce, che è e resta
comunque tenera, leggera, discreta e che solo nel silenzio e nel deserto della
mente può essere avvertita come morbida parola di sicura salvezza.
La nostra
è una società stranamente malata di violenza e di ciniche e nevrotiche
convulsioni, di eclissi dei figli delle stelle non più centro d'equilibrio, di
discorsi non poche volte ridotti ad una confusa e stravagante fusione di suoni
senza senso, di pensieri imperfetti angustamente legati prevalentemente al
contingente provvisorio, spesso identificato con l'effimero, come possono essere
il potere, il successo ad ogni costo, l'immagine a spese della dignità,
l'arroganza come sindrome di una fatua onnipotenza, la mutilazione dell'Io nel
nome di una serie di pulsioni istintive che non hanno né il colore né il sapore
di una saggia ed evoluta umanità. Come si può cogliere l'avvolgente carezza di
un Dio, quando si è preda dei venti ingannando il proprio destino o quando
attorno regnano sovrani il clamore delle cose, l'assenza di un saper andare più
su, un gesto seppur timido di amore fatto di sincera attenzione e di fraterno
altruismo? Come è possibile discernere la parola di un Dio quando si afferma
solo un Sé infermo, non si riconosce un segno di amicizia, si chiudono le porte
del cuore a un sorriso o a una dimensione diversa e superiore di vita? Perciò il
cielo tristemente, e terribilmente per noi, si allontana!
Dio tace con dolore
per le sue creature. Non è giusto lamentarsi: dov'è il Suo amore? Semplicemente
si ritira perché estromesso da un libero arbitrio divenuto delirante
supposizione di sostituirsi con sufficienza a Lui, in una visione di vita dove
tecnica e mercato della vita, della morte e del pudore sembrano mutati in unici
surrogati e affari da perseguire senza scrupoli. Si sono dimenticati i limiti
della decenza e della razionalità, che, autopromossa a onniscienza, rigenera
come in uno specchio solo la propria sostanziale cecità. Si ignorano con troppa
facilità i confini della conoscenza, il faticoso cammino della ricerca, i
profondi abissi del mistero, la presunzione di scelte e soluzioni, che solo
all'apparenza sembrano tali, ma che in realtà finiscono con il divenire il vero
problema.
Se si avessero meno paura e rassegnazione e più coraggio nel non
temere di essere derisi, se si fosse un po' più testimoni e profeti e meno
spettatori, se maggiormente dominassero il buon senso e l'accortezza nel
ritagliarsi momenti e spazi di silenzio esterno ed interno, restituendo fantasia
ed emozioni a giovani e bambini e superando il temporaneo buio della notte,
quante seducenti ma false direzioni si eviterebbero, quante selezioni più
intelligenti si opererebbero, quanti meno sbagli si commetterebbero!
Dio tace
e nasconde il suo volto non perché non esista o sia morto (H. Cox, M. Heidegger)
o sia quel Totalmente Altro distinto e distante dalla nostra storia (K. Barth),
ma unicamente perché l'uomo, purtroppo, non sa più porsi in ascolto con umiltà,
prima che di Lui, di se medesimo, murandosi così in una paurosa e oscura
solitudine: in fondo Egli non sta al di fuori dell'uomo ma all'interno della sua
stessa coscienza. È solo qui che la domanda del vivere, rimossa come rinuncia in
un pigro torpore, si può sciogliere in un'armonica e luminosa frontiera. E
allora da noi distratti, perché né eroi né santi, in attesa di un Suo ritorno,
più non si chiederebbe "Dio, nostro Padre, ora dove Tu sei?" quanto piuttosto
"Chi siamo, cosa stiamo facendo, dove crediamo di andare?"
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